Tradizioni
L’inaugurazione dell’anno accademico
Gli anni dell’immediato dopoguerra furono caratterizzati dalla necessità di svago e divertimento dopo anni bui e duri; in quest'epoca la goliardia ebbe modo di esprimere il lato più scherzoso e gioviale, tanto che anche la cerimonia dell’inaugurazione dell’anno accademico risentì di questa bonaria aria canzonatoria.
All’inizio della prolusione i goliardi presenti in buon numero in Aula Magna iniziavano a fare un chiasso che diventava talmente forte da coprire le parole del professore, che continuava imperturbabile la sua lezione. La cerimonia aveva termine con l’intonazione del Gaudeamus igitur da parte dei numerosi goliardi che omaggiavano il rettore di una gallina padovana, caratterizzata da un ciuffo di piume sul capo.
Durante l’inaugurazione dell’anno accademico 1951/52 gli studenti, che affollavano come sempre l’Aula Magna, disturbarono con fischi e grida anche il discorso del ministro della Pubblica istruzione, costringendolo a rinunciare all’intervento: ciò portò a una reazione durissima del rettore Guido Ferro, che negli anni successivi concesse l’accesso all’inaugurazione a un numero limitato di studenti, obbligati a esibire l’invito e le generalità.
La Festa Giustinianea
Si tratta di un giorno libero dalle lezioni e in cui l’Università di Padova rimane chiusa. La particolarità è che è una festa mobile, ovvero non è associata a una data precisa. Spetta agli organi universitari il compito di decidere in che giorno sistemare questa festività, quindi capita spesso che questa sia sfruttata per regalare a studenti, studentesse e personale Unipd un ponte. Il suo nome richiama probabilmente il Codice giustinianeo del sesto secolo, che nel trentesimo libro parla dei giorni iuridici e dei giorni festivi.
La prima traccia di questa festività risale al 1817, durante l'occupazione austriaca della città, quando da circa due anni era in atto una riforma generale degli studi universitari. Sua Maestà Francesco I aveva inviato al governatore di Venezia e al rettore dell’università di Padova 21 paragrafi di norme precise per gli atenei del Lombardo-Veneto. Per chiarire i dubbi riguardo queste nuove disposizioni, tutti i professori dell’ateneo padovano si riunirono e posero numerosi quesiti, tra cui anche quello riguardo ai giorni di vacanza. La risposta fu testualmente: “Sono tutte le feste di precetto, i giorni natalizi delle loro Maestà Imperatore e Imperatrice, e il giorno in cui cade il santo protettore del Paese; e oltre a ciò il rettore Magnifico potrà per particolari circostanze accordare i già d’antico tempo usati giorni Giustinianei, affiggendone l’avviso nel porticato dell’università”. Il rettore in carica stabilì per quell’anno che la festa Giustinianea fosse celebrata nel giorno di san Martino (11 novembre) con una motivazione curiosa: “giorno che un inveterato costume di più secoli ha in questi paesi consecrato alla gozzoviglia, sia giorno giustinianeo… acciocché con più buon umore ed energia sia poi ripigliato il così lodevolmente incominciato annuale corso degli studi”. Altri rettori, nel corso degli anni, hanno usato questo giorno per celebrare la visita in città di nobili e personalità, poiché la si vedeva ancora come una festa subordinata a qualche evento straordinario. Nel corso degli anni la festa giustinianea è diventata di routine e quindi tenacemente osservata. Nel 1866 il Veneto entra a far parte del Regno d’Italia e la tradizione rimase attiva e così continuò fino alla fine alla prima metà del Novecento: la festa, non segnata sul calendario accademico, veniva indetta con qualche giorno d’anticipo, a discrezione del rettore. Dal dopoguerra la festa viene stabilita dal Senato accademico, nel momento dell’approvazione del calendario per l’anno successivo.
Il motto
Il motto dell’Università di Padova è Universa Universis Patavina Libertas: tutta intera, per tutti, la libertà nell’Università di Padova. Sottolinea la libertà di pensiero e opinione che caratterizza l’Ateneo fin dalla sua origine, quando alcuni studenti migrarono dalla sede universitaria di Bologna, il cui Comune svolgeva sempre più frequentemente controlli e pressioni sulle corporazioni studentesche.
Anche durante il dominio di Venezia, la Repubblica garantì libertà religiosa e protezione dalla politica repressiva della Controriforma: Padova infatti fu l’unica università a restare aperta a studenti e docenti sospettati di eresia o ritenuti miscredenti. Anche Galileo, un anno e mezzo prima di morire, scriveva in una lettera: “Non senza invidia sento il suo ritorno a Padova, dove consumai li diciotto anni migliori di tutta la mia età. Goda di codesta libertà e delle tante amicizie che ha contratte costì, e nell’alma città di Venezia”.
Gli studenti si unirono ai cittadini nei moti dell’8 febbraio 1848 e parteciparono durante il Risorgimento alla prima guerra di indipendenza e alla spedizione dei Mille. L’apice dell’impegno per la libertà del Paese fu raggiunto nel 1943, quando il rettore Concetto Marchesi invitò a lottare contro il Fascismo, pronunciando nel discorso di inaugurazione dell’anno accademico quella che fu definita “una dichiarazione di guerra dell’Università di Padova agli oppressori d’Italia”; l’Università di Padova è l’unico ateneo italiano insignito della medaglia d’oro al valor militare poiché, come si legge nella motivazione, “nell’ultimo immane conflitto seppe, prima fra tutte, tramutarsi in centro di cospirazione e di guerra. Padova ebbe nel suo Ateneo un tempio di fede civile e un presidio di eroica resistenza.”
Il motto Universa Universis Patavina Libertas si legge anche in Aula Magna a Palazzo Bo, nella parete a mezzogiorno risistemata da Gio Ponti nel 1942.
Il rito dell’alzabara
Ai goliardi, gioviali e goderecci per tradizione, spettava anche un compito serio, e un tempo molto sentito: in occasione del decesso di un professore, il feretro veniva portato nel Cortile Antico e dopo il ricordo del preside o del collega più anziano di facoltà, proprio i goliardi rendevano gli onori alzando per tre volte la bara e accompagnando il feretro fuori dalle mura del Palazzo del Bo, mentre la campana della torre suonava a lutto.
Negli ultimi anni la partecipazione dei goliardi è quasi sparita e sono divenute numerose le figure che ricordano il valore accademico del docente o della docente, accentuando l’aspetto istituzionale della cerimonia.
La campana della torre del Bo
Oggi emette il suo suono solo per il rito dell’alzabara, ma forse pochi ricordano che i suoi rintocchi a stormo, come un richiamo, segnalavano l’inizio delle lezioni e, in alcuni momenti storici, come l’8 febbraio del 1848, la campana del Bo diede voce allo scontento degli studenti che, riuscendo a raggiungere la torretta, manifestarono il loro dissenso suonando il campanone in segno di allarme.
Per un breve periodo, la campana riprese la consuetudine di anni prima di suonare a mezzogiorno le prime note della Vispa Teresa, canto goliardico per eccellenza, facendo da "contro canto" a quella del Comune.
L’elezione del tribuno a botte
La posizione particolarmente dura presa nei confronti della goliardia dell’allora rettore, si rifletté anche nell’elezione del tribuno, il grado più alto nella gerarchia goliardica padovana, che aveva il diritto di parlare all’inaugurazione dell’anno accademico. Fino al 1951 infatti era scelto tra studenti del terzo anno di medicina che portassero la barba e non avessero sostenuto ancora l’esame di anatomia. Poco prima delle 11 si teneva una "battaglia" nell’Aula di Anatomia: veniva eletto tribuno colui che raggiungeva la cattedra, fronteggiando spintoni e bagarre, e vi ci si trovava seduto all’arrivo del professore.
Il rettore intervenne non concedendo più l’aula, e in seguito il tribuno fu scelto con le elezioni.
8 febbraio 1848
È il 7 febbraio del 1848 quando in città, al funerale di uno studente (deceduto per cause naturali), prendono parte oltre 5.000 persone appartenenti a tutti i ceti sociali. Tra questi, sfidando la legge e in aperto contrasto con il governo austriaco, alcune centinaia di giovani si presentano vestiti secondo la foggia italiana insieme ai domestici delle famiglie signorili, in livrea. La tensione è altissima.
Il giorno seguente, una delegazione di notabili, cittadini e studenti sottopone al comando austriaco una serie di richieste, che vengono respinte. È questa la miccia che accende lo scontro tra soldati austriaci, padovani e studenti. Inizia la guerriglia, gli austriaci sparano anche a quegli studenti che cercano rifugio all’interno del Caffè Pedrocchi e dell’Università. Il bilancio è di decine di feriti e di alcuni morti, due dei quali sono gli studenti Giovanni Leoni e Giambattista Ricci.
La rivolta si conclude con la ‘resa’ dell’esercito austriacoche si ritira di fronte al numero imponente degli avversari; il giorno seguente, tuttavia, la risposta non si fa attendere: 73 studenti vengono espulsi, molti arrestati e quattro professori sono destituiti dall’incarico.
Quella dell’8 febbraio 1848 a Padova, è considerata la prima insurrezione dettata da motivazioni politiche in cui gli studenti si fanno insieme interpreti e protagonisti di quella che sarà una vera e propria stagione di rinnovamento. Una rivoluzione che precede non solo le Cinque giornate di Milano, ma anche le rivolte delle grandi capitali come Parigi (22-24 febbraio) e Vienna (13 marzo).
Alle giornate di protesta del ’48 ne seguono altre che, fino al 1866, vedono come protagonisti gli studenti dell’Ateneo padovano ripetutamente coinvolti in manifestazioni anti austriache, regolarmente concluse con arresti ed espulsioni e culminate con una grande manifestazione nel 1865 durante la quale centinaia di studenti, nel Cortile Antico del Bo, danno alle fiamme diverse copie del Sillabo di Pio IX.
Non saltate la catena al Bo!
Nell’ultimo dopoguerra, via VIII Febbraio, alla quale si affaccia l’entrata principale di Palazzo Bo, era divenuta una strada piuttosto trafficata, perciò era stata posta una catena all’ingresso del palazzo per impedire l’ingresso alle automobili. La goliardia padovana inaugurò allora una nuova tradizione, che aveva come oggetto proprio quella catena. Era divenuto infatti uso “accompagnare” all’uscita gli studenti che si laureavano, anche con maniere a forti (a calci!): questi venivano obbligati scherzosamente a correre attraverso uno stretto passaggio formato dagli amici goliardi e, alla fine, a saltare la catena che dava verso l’uscita. Da allora, e per qualche decennio, si radicò la convinzione – o meglio, la superstizione – che saltare la catena prima della laurea avrebbe voluto dire non arrivare mai alla laurea, o almeno, non troppo in fretta.