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Comunicazioni

Uno studio sull'acquisizione di imprese italiane da parte di imprese straniere

23.03.2022

L’acquisizione da parte di un’impresa straniera incide realmente sulle performance dell’impresa acquisita? In Italia le imprese sono spesso oggetto di cross-border M&A (Mergers and Acquisitions), ossia di acquisizioni da parte di imprese straniere

Il tema delle acquisizioni da parte di imprese straniere anima il dibattito economico nazionale e vede solitamente schierate due prospettive: da una parte coloro che considerano queste operazioni causa di un impoverimento del tessuto economico, dall’altra chi ritiene che queste operazioni siano un’opportunità per assicurare crescita e continuità d’impresa.
Sebbene l’esperienza giustifichi in molti casi la prima prospettiva, a causa del ridimensionamento o della chiusura dell’impresa dopo l’acquisizione, è altrettanto vero che vi sono molte operazioni in cui la combinazione delle risorse dell’impresa italiana con quelle dell’acquirente straniero ha rappresentato un volano di crescita, anche internazionale, i cui effetti sono tangibili sia per l’impresa stessa che per il tessuto imprenditoriale circostante.

La ricerca “Cross-border M&As: The impact of cultural friction and CEO change on the performance of acquired companies”, condotta da Diego Campagnolo, docente di organizzazione aziendale e strategia del Dipartimento di Scienze economiche e aziendali “M. Fanno” dell’Università di Padova e da Giampiero Vincenti della Porsche Consulting di Milano, pubblicata sulla rivista scientifica «Journal of International Management», analizza le conseguenze delle operazioni di cross-border M&A e gli effetti legati al cambio dell’amministratore delegato.

Lo studio è partito da un campione originale di 100 imprese italiane la cui maggioranza del capitale è stata acquisita da un’impresa straniera negli anni 2011-2013. A parità di condizioni, l’ipotesi è che più le differenze culturali sono marcate e maggiore è il rischio che le performance post-acquisizione siano ridotte per effetto della scarsa conoscenza istituzionale e culturale del paese di destinazione da parte dell’acquirente.
Con riferimento al livello di integrazione tra impresa acquirente e impresa acquisita, lo studio evidenzia che, se da un lato il cambio dell’amministratore delegato è indice di una maggiore integrazione, dall’altro il cambiamento di logiche organizzative e culturali rischia di trovare resistenze al cambiamento e di registrare performance più basse dopo l’acquisizione.

«Diversamente da quello che la teoria e, in parte, l’esperienza suggeriscono – spiega Diego Campagnolo –, l’acquisizione da parte di un’impresa straniera non incide negativamente sulle performance che l’impresa acquisita avrebbe potuto ottenere se non fosse stata oggetto di acquisizione. Al contrario, sembra incidere positivamente sulla redditività della stessa ma non sulla crescita. A differenza di quanto si possa immaginare, questo risultato è confermato quando è maggiore il rischio di frizioni culturali e dunque di resistenze al cambiamento».

L’acquisizione da parte di imprese che non appartengono al cluster Latino Europeo (Belgio, Francia, Israele, Portogallo, Spagna, Svizzera Francese) ha effetti positivi sulla redditività: in presenza di maggiori differenze culturali, l’acquisita mostra performance più elevate, molto probabilmente perché questo tipo di acquirenti sono maggiormente consapevoli del potenziale di frizioni culturali. Se l’acquirente invece fa parte dello stesso cluster potrebbe valutare come “semplice” l’operazione di integrazione e sottovalutarne le complessità (over-confidence).
Infine, le acquisizioni nelle quali vi è stato un cambio dell’amministratore delegato mostrano un effetto positivo sulla redditività a differenza di quelle nelle quali l’amministratore delegato precedente è stato confermato: il nuovo amministratore delegato si trova nella condizione di avere minori legami con la gestione precedente ed è più “libero” di adottare dei cambiamenti nella gestione dell’impresa acquisita. Questo, ancora una volta, vale con riferimento alla redditività e non alla crescita.

«Va tenuto conto – conclude Campagnolo – che l’analisi si concentra solo sui tre anni successivi all’acquisizione ed è limitata alle imprese acquisite ancora attive. Il giudizio su queste operazioni non può essere del tutto positivo: il fatto che non vi sia incidenza sulla crescita che quelle imprese avrebbero comunque ottenuto non è certamente un buon segnale perché mentre la crescita avrebbe potuto creare maggiore benessere anche per il territorio circostante, l’aumento di marginalità va sicuramente più a beneficio della nuova proprietà e i suoi effetti dipenderanno da se e come deciderà di investire i maggiori guadagni».