
Nuove scoperte sulla cultura paleolitica attraverso l'analisi dell'indigotina
10.10.2025
Un team di ricerca internazionale, coordinato dall'Università Ca' Foscari di Venezia in collaborazione con l'Università di Padova, ha scoperto su ciottoli di pietra risalenti al Paleolitico superiore tracce di indigotina. L'indigotina è un colorante blu derivato dalle foglie di Isatis tinctoria L., nota anche come guado, una pianta biennale appartenente alla famiglia delle Brassicaceae ed originaria del Caucaso. Questa scoperta, pubblicata sulla rivista scientifica «PLOS One», rappresenta la prima identificazione di una molecola organica colorante di origine vegetale su reperti così antichi.
La presenza di indigotina dimostra che la pianta veniva intenzionalmente lavorata attraverso un processo complesso, nonostante non fosse edibile. Questo suggerisce che le popolazioni del Paleolitico superiore utilizzassero le piante non solo come fonte alimentare, ma anche per funzioni complesse come la colorazione e l'uso medicinale.
«Il nostro approccio multi-analitico apre nuove prospettive per comprendere la complessità tecnologica e culturale delle popolazioni del Paleolitico superiore, in grado di sfruttare con competenza una risorsa inesauribile, quella vegetale, consapevoli del loro potenziale» precisa Laura Longo, archeologa all’Università Ca’ Foscari Venezia, primo autore dello studio.
«La ricerca inizialmente era mirato a capire la funzione degli strumenti di pietra, quando inaspettatamente ha rivelato la presenza di residui blu, a volte fibrosi e associati a granuli di amido, concentrati nelle aree degli strumenti con segni di usura» spiega Mauro Veronese, dottorando dell’Università di Padova e coautore della ricerca. Le analisi spettroscopiche presso il laboratorio NOL dell'Università di Padova hanno, successivamente, identificato e caratterizzato chimicamente questi residui blu, portando alla scoperta.
Una volta identificata la molecola responsabile del colore blu, si è presentata una nuova sfida: comprendere come e perché questi residui si trovassero su quegli strumenti.
Gli esperimenti di archeologia sperimentale successivi hanno, dunque, coinvolto la raccolta di materie prime litiche e la lavorazione meccanica di piante, tra le quali Isatis tinctoria, per replicare le condizioni paleolitiche e riconoscere le tracce d'uso e i residui vegetali. Per tre estati, presso Corte Badin a Marano di Valpolicella, Verona, sono stati condotti esperimenti durante i quali le piante di Isatis tinctoria, coltivate dall'agricoltore Giorgio Bonazzi, sono state macinate con ciottoli selezionati. I materiali ottenuti hanno così permesso di costruire una collezione di confronto per riconoscere le tracce d'uso e i residui vegetali.
Questo approccio interdisciplinare e innovativo ha illuminato l'uso precoce di composti vegetali nel Paleolitico, evidenziando il loro uso sofisticato delle risorse vegetali disponibili e aprendo nuove prospettive sulla complessità tecnologica e culturale delle popolazioni del Paleolitico e sul comportamento delle popolazioni preistoriche.