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Tra le stelle la “legge” non è uguale per tutti

03.05.2023

Pubblicato su «Monthly Notices of the Royal Astronomical Society» lo studio di un team di ricerca dell’Università di Padova in cui è emerso che “legge di reddening”, l’equazione matematica in grado di predire come la materia interstellare modifichi la luminosità e il colore dei corpi celesti, sia molto diversa da quella che fino ad oggi era ritenuta valida.
Un gran numero di studi basati sull’equazione tradizionale dovrà essere rivisto.

Prima del XX secolo l’umanità riteneva che lo spazio che separa gli astri celesti fosse vuoto. Il famoso astronomo americano Edward Emerson Barnard (1857-1923) fu il primo a comprendere che le regioni di cielo apparentemente vuote di materia non lo erano affatto. Lo spazio tra le stelle, detto interstellare, è permeato da una miriade di particelle che interagiscono con la luce delle stelle situate al di là di esse.
La materia interstellare si trova ovunque nella Via Lattea, persino in quei remoti pezzetti di cielo che, pur osservati con i più grandi telescopi, ci appaiono completamente oscuri. Queste microscopiche particelle di polveri e gas rarefatti che permeano le galassie danno origine a nubi oscure e informi. Sebbene intangibile, la materia interstellare interagisce con la luce emessa dai corpi celesti e ne cambia drammaticamente le proprietà: li rende meno luminosi e ne altera i colori. Di conseguenza queste nubi interstellari influenzano la nostra comprensione di una vasta gamma di fenomeni astrofisici che va dallo studio dei pianeti extrasolari, alle reazioni termonucleari che avvengono nelle stelle, fino alle proprietà dell'Universo su larga scala e al suo destino finale.

È essenziale, infatti, capire quanta luce sia stata assorbita dalle nubi interstellari per poter studiare qualsiasi corpo celeste. Tracciare con precisione la distribuzione della materia interstellare nella via Lattea e comprenderne le proprietà rappresenta, quindi, una delle sfide più avvincenti dell'astrofisica. Ma anche tra le più impegnative, proprio per il fatto che le nubi sono invisibili all'occhio dell'uomo e ai suoi telescopi.

Recentemente, una ricerca pubblicata sulla rivista «Monthly Notices of the Royal Astronomical Society» dal titolo “Differential reddening in the direction of 56 Galactic globular clusters” ha permesso di compiere un grosso balzo in avanti in questo settore. Si tratta del lavoro condotto da oltre due anni da un gruppo di ricerca guidato da Maria Vittoria Legnardi, una giovane dottoranda al dipartimento di Fisica e Astronomia dell'Università di Padova. Il team di Legnardi ha messo a punto una tecnica innovativa che sfrutta le straordinarie capacità del telescopio spaziale Hubble per ricavare delle mappe ad altissima risoluzione delle nubi interstellari.
«Le immagini di Hubble che usiamo – dice Maria Vittoria Legnardi – riprendono un gran numero di ammassi stellari, ovvero agglomerati di decine di migliaia di stelle gemelle, che si trovano oltre le nubi. Le nubi interstellari non sono affatto visibili nelle immagini, ma siamo riusciti a ricostruirle grazie a una lunga e laboriosa analisi della luce proveniente dalle stelle che le attraversa».

«La materia interstellare può assumere delle forme molto bizzarre – continua Sohee Jang, astronoma dell’Università di Seoul che ha trascorso gli ultimi due anni a Padova per studiare gli ammassi stellari e la materia interstellare –. È un po’ come sdraiarsi su un prato a sognare e guardare le nuvole: animali, volti di persone, o persino un grande cuore che batte possono apparire ai nostri occhi».
«Il risultato più sorprendente – commenta Emanuele Dondoglio, coautore dell'articolo e anche lui dottorando a Padova – riguarda però la cosiddetta “legge di reddening”, ovvero l’equazione matematica in grado di predire come la materia interstellare modifichi la luminosità e il colore dei corpi celesti».

Un risultato emozionante riguarda questa legge matematica. Infatti dallo studio del gruppo di Legnardi è emerso che tale legge, ricavata dalle loro mappe ad alta risoluzione, sia molto diversa dall'equazione che fino ad oggi era ritenuta valida.

«Alla luce di questa nuova scoperta – conclude Maria Vittoria Legnardi – un gran numero di studi basati sull’equazione tradizionale dovrà essere rivisto. È possibile dunque che alcune nozioni sull'Universo locale e a larga scala potrebbero subire importanti cambiamenti nei prossimi mesi o anni».