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Comunicazioni

Siamo davvero ciò che mangiamo?

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16.09.2025

Il recente studio We are what we eat: Cross-cultural self-prioritization effects for food stimuli pubblicato sulla rivista «British Journal of Psychology» è stato condotto da un gruppo di ricerca italo-giapponese, coordinato da Mario Dalmaso del dipartimento di Psicologia dello sviluppo e della socializzazione dell’Università di Padova in collaborazione con l’Università di Waseda di Tokyo, e ha indagato il legame tra cibo e identità personale.

Lo studio ha coinvolto partecipanti italiani e giapponesi, due culture con tradizioni culinarie ricche e molto diverse. Ai volontari e alle volontarie sono state mostrate immagini di piatti tipici italiani e giapponesi, chiedendo loro di associarli nel modo più rapido e accurato possibile a un’etichetta verbale rappresentante sé stessi o un’ipotetica persona sconosciuta. I risultati hanno rivelato che, anche se i partecipanti riuscivano ad associare alla propria identità entrambi i tipi di cibo, tendevano a sentirsi più vicini e “identificati” con i piatti tipici della propria cultura.

«Questo dimostra che il cibo non è solo nutrimento ma anche un elemento fondamentale della nostra identità – spiega Mario Dalmaso, primo autore dello studio –. Naturalmente viviamo in un mondo globalizzato e negli ultimi anni i piatti di differenti culture, come il sushi, sono diventati molto popolari anche in Italia e viceversa, visto che la cucina italiana è amatissima all’estero. Ma nonostante questa apertura e la contaminazione tra culture, le persone continuano a sentirsi più legate ai sapori che appartengono alle proprie radici». 

È noto che stimoli legati alla nostra identità, come il volto o il nome, vengono elaborati in modo prioritario dal cervello: un discorso analogo si può fare per il cibo, che è ciò che va fisicamente a costituire il nostro corpo. Ma cosa succederebbe se a confrontarsi fossero cucine più vicine geograficamente (ad esempio italiani e francesi o giapponesi e coreani)? E, ancora, se al posto di Italia e Giappone (che hanno due identità e cucine molto forti) si mettessero a confronto paesi con una cucina meno “identitaria” (per es. Singapore o Stati Uniti), i risultati sarebbero gli stessi? Queste domande aprono scenari interessanti da esplorare in futuro, perché è ipotizzabile pensare che l’effetto osservato potrebbe risultare meno marcato.