
Identità senza confini. Team di ricerca italo-giapponese svela la possibilità di riconoscersi in gruppi etnici differenti
23.10.2024
È possibile che il nostro senso di identità sia più flessibile di quanto immaginiamo?
Un recente studio - The self can be associated with novel faces of in-group and out-group members: A cross-cultural study - condotto da un gruppo di ricerca italo-giapponese coordinato da Mario Dalmaso, professore del dipartimento di Psicologia dello sviluppo e della socializzazione dell’Università di Padova, ha esplorato questa domanda, indagando se siamo in grado di riconoscere una parte di noi stessi nei volti di persone sconosciute appartenenti a culture diverse.
Nel corso dello studio, a partecipanti giapponesi e italiani è stato inizialmente chiesto di associare la propria identità a un volto bianco o asiatico. In altre parole, ogni partecipante doveva identificare sé stesso con uno dei due volti presentati, stabilendo così un legame arbitrario e momentaneo tra la propria identità e il volto scelto. Successivamente, le persone partecipanti hanno completato un compito di corrispondenza al computer, in cui dovevano indicare se il volto presentato corrispondeva a quello precedentemente associato con sé stessi o a quello associato con un’altra persona. Infine, hanno eseguito un test per misurare i pregiudizi inconsci nei confronti di individui asiatici e bianchi.
«I risultati hanno rivelato un aspetto sorprendente e affascinante del nostro senso di identità: sia gli italiani che i giapponesi hanno dimostrato una significativa capacità di identificarsi con volti di altri gruppi etnici – spiega il Mario Dalmaso, primo autore dello studio -. Inoltre, questa capacità di vedere sé stessi negli altri non è stata influenzata dai pregiudizi verso l’altro gruppo sociale, suggerendo che la percezione di noi stessi è più adattabile di quanto pensiamo e può incorporare elementi sociali con caratteristiche diverse. Questo fenomeno offre uno sguardo profondo sulla psicologia umana, evidenziando come la flessibilità del sé possa essere una chiave per comprendere e accogliere l’altro.»
In un mondo sempre più multiculturale, la capacità di identificarsi in una persona sconosciuta, anche (e soprattutto) quando questa appartiene a un differente gruppo sociale, potrebbe dimostrarsi un’evidenza essenziale per promuovere società più inclusive e solidali.
«Questa ricerca apre nuove prospettive per future indagini su come questa flessibilità del sé possa aiutarci a superare le divisioni etniche e culturali, favorendo un dialogo più aperto tra comunità diverse. Forse scopriremo – o forse lo sappiamo già – che la nostra identità non è un’entità statica, ma un insieme dinamico, pronto a evolversi e arricchirsi attraverso l’interazione con ciò che è diverso da noi» conclude Dalmaso.
Alla ricerca hanno partecipato anche Michele Vicovaro, professore del Dipartimento di Psicologia Generale, e Akira Sarodo e Katsumi Watanabe, dell’Università Waseda di Tokyo.