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Comunicazioni

“Cure Alzheimer's Fund” finanzia per la prima volta un team italiano

06.07.2021

Il “Cure Alzheimer's Fund”, una delle maggiori organizzazioni non‐profit statunitensi che finanziano le ricerche sul morbo di Alzheimer, ha deciso di finanziare un progetto di ricerca collaborativo biennale - l’unico in Italia - dell’importo di 345.000 dollari proposto dai laboratori di Paola Pizzo, del Dipartimento di Scienze biomediche dell’Università di Padova, e di Francesco Di Virgilio, dell’Università di Ferrara. Il progetto è stato considerato molto innovativo dal comitato scientifico di selezione perché si propone di studiare la neuro‐infiammazione che caratterizza questa malattia e di sviluppare un protocollo terapeutico sperimentale basato sulla modulazione di un particolare recettore per l’ATP, denominato P2X7, presente soprattutto nelle cellule non‐neuronali chiamate microglia, e sul controllo dei livelli extracellulari di ATP nell’interstizio cerebrale.

La professoressa Paola Pizzo si occupa da tempo dello studio del morbo di Alzheimer, in particolare dei meccanismi cellulari alla base della neurodegenerazione nelle forme genetiche molto aggressive e precoci della patologia determinate da mutazioni in Presenilina 2. Il Professor Francesco Di Virgilio è invece un leader internazionale nello studio dell’infiammazione mediata dalla molecola extracellulare ATP attraverso la sua interazione con il recettore purinergico P2X7, soprattutto in ambito oncologico e nelle malattie infiammatorie croniche.

La malattia di Alzheimer, la forma più comune di demenza nel mondo, è stata oggetto di intensi studi sperimentali e clinici per molti decenni, ma un’efficace terapia non è ancora disponibile. Non solo, molti ricercatori sono addirittura convinti che le attuali strategie di ricerca non abbiano alcun futuro. Ciò ha portato alcune delle più importanti ditte farmaceutiche ad abbandonare la ricerca su questa malattia. Quindi, tutte le principali associazioni internazionali che sostengono gli studi in questo campo sollecitano con urgenza idee originali che indichino nuovi approcci terapeutici.

Il team interuniversitario italiano, guidato da Pizzo e Di Virgilio, è stato riconosciuto come indiscusso gruppo di riferimento internazionale per entrambi questi temi di ricerca, la malattia di Alzheimer e il segnale infiammatorio innescato dall’ATP extracellulare e dal recettore P2X7.

«La nostra ricerca – spiega Paola Pizzo – ha lo scopo di individuare dei meccanismi precoci di attivazione dell’infiammazione cerebrale che potenzia e amplifica la neurodegenerazione caratterizzante la malattia. Un ruolo importante in questo è svolto dalle cellule non neuronali della microglia che rispondono ad un segnale, l’ATP extracellulare, principalmente attraverso il recettore P2X7. È stato dimostrato che nell’interstizio cerebrale infiammato sono presenti alte concentrazioni di questa molecola segnale responsabili dell’innesco di una cascata amplificativa di eventi culminanti nella morte neuronale – continua Pizzo –. Andando a modulare o a bloccare l’attività del recettore P2X7 auspichiamo di ridurre di molto tali fenomeni, preservando la funzionalità neuronale».

Il progetto di ricerca prevede anche uno studio in campioni biologici (sangue e liquor) raccolti da pazienti con disturbi cognitivi lievi (MCI, Mild Cognitive Impairment) o con morbo di Alzheimer, forniti da Carlo Gabelli, direttore del Centro di Ricerca dell’Invecchiamento Cerebrale (CRIC) dell’Azienda Ospedaliera di Padova, al fine di determinare se la presenza del recettore P2X7 attivato in fluidi periferici può essere considerato un biomarcatore precoce di neurodegenerazione.

«La possibilità di avere dei biomarcatori specifici e precoci di malattia è di fondamentale importanza per contrastare questa patologia, perché permetterebbe – conclude Pizzo – l’identificazione del processo neurodegenerativo prima di qualsiasi manifestazione clinica di demenza (momento in cui attualmente si inizia il trattamento farmacologico con un mero effetto palliativo), e la somministrazione al paziente di terapie innovative in un arco temporale precoce, ampliando di molto le possibilità di successo nel contrastare o bloccare la malattia».