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Nanobodies: una svolta promettente per il trattamento del morbo di Parkinson

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28.05.2025

Un gruppo di ricerca internazionale guidato dall'Università di Padova e dal VIB-VUB Center for Structural Biology di Bruxelles, ha individuato un tipo di anticorpi che può migliorare la funzione di una proteina chiave nel morbo di Parkinson. Lo studio, pubblicato su «Nature Communications», apre nuove prospettive terapeutiche per questa malattia neurodegenerativa.

La ricerca si concentra sull'enzima glucocerebrosidasi, la cui perdita di funzione è collegata alla malattia di Parkinson. Quando l'enzima non funziona correttamente, le cellule cerebrali perdono la loro normale attività. Gli speciali anticorpi chiamati nanobodies potrebbero invertire questo processo, ristabilendo l'attività dell'enzima e il metabolismo cellulare.

Il morbo di Parkinson è la seconda malattia neurodegenerativa più comune, colpendo circa 10 milioni di persone nel mondo. I sintomi iniziali includono tremori e problemi di movimento che peggiorano nel tempo, portando a rigidità, lentezza, problemi di equilibrio e, negli stadi avanzati, demenza. Le cause della malattia sono ancora poco chiare, ma si ritiene che siano un mix di fattori genetici e ambientali. Il malfunzionamento dell'enzima glucocerebrosidasi, responsabile della degradazione di alcune classi di lipidi nelle cellule, è uno dei principali fattori di rischio.

«Un modo per ripristinare la funzione della glucocerebrosidasi è di stabilizzarla o attivarla utilizzando i cosiddetti "chaperoni molecolari", che sono delle molecole in grado di legare
la glucocerebrosidasi –spiega  Nicoletta Plotegher docente del Dipartimento di Biologia dell'Università di Padova e corresponding author dell'articolo. Tuttavia, la maggior parte degli chaperoni che esistono purtroppo legano il sito attivo dell'enzima, bloccando almeno in parte la sua attività, e questo limita enormemente la loro efficacia. Noi abbiamo sviluppato un approccio completamente nuovo per migliorare la funzione della glucocerebrosidasi, utilizzando dei "nanobodies", che sono piccoli frammenti di speciali anticorpi che vengono prodotti dai camelidi. Più precisamente, grazie a un finanziamento della Fondazione Michael J. Fox, abbiamo identificato nanobodies in grado di stabilizzare o attivare la glucocerebrosidasi legandosi a regioni dell'enzima lontane dal sito attivo.»

Le ricercatrici e i ricercatori hanno quindi sviluppato nanobodies che stabilizzano o attivano la glucocerebrosidasi senza bloccare il suo sito attivo, migliorando significativamente la funzione dell'enzima in modelli cellulari. Questo approccio potrebbe portare a nuove terapie per i pazienti affetti da Parkinson. Proprio per questo, nonostante i risultati siano ancora preliminari, il team di ricerca, afferma Chiara Sinigalli prima autrice dell'articolo, "continuerà a sviluppare metodi per far arrivare questi nanobodies nelle cellule cerebrali danneggiate, con l'obiettivo di trasformare queste scoperte in strategie terapeutiche innovative".