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Anthony Fauci: come siamo arrivati a questo punto?

19.11.2020

Ai primi di settembre, sulla rivista Cell, è uscito un lungo articolo di prospettiva che non ha ricevuto l’attenzione che merita. Il titolo è chiaro: come siamo arrivati a questo punto? (“Emerging Pandemic Diseases: How We Got to COVID-19”, Cell, 182: 1077-1092). Il primo autore è David Morens, virologo presso il National Institute of Allergy and Infectious Diseases degli NIH di Bethesda. Il secondo, sempre dagli NIH, è l’ormai celeberrimo Anthony Fauci, che abbiamo visto in questi mesi interagire non senza difficoltà con il Presidente del suo paese impegnato a sottovalutare la pandemia.

I due scienziati esordiscono definendo l’attuale pandemia una “tempesta perfetta” nel mondo delle infezioni. Essa infatti assomma in sé tre caratteristiche letali: un agente patogeno sconosciuto al nostro sistema immunitario; con una straordinaria efficienza di trasmissione; e una relativamente alta morbilità e mortalità, soprattutto fra gli anziani e le persone con altre patologie. Questi “assalti alla specie umana” non sono però nuovi nella storia. Sono cominciati almeno dalla transizione neolitica in poi, da quando le popolazioni umane sempre più stanziali iniziarono a convivere con gli animali domesticati, scambiando con loro virus e batteri. Morens e Fauci proseguono nella disamina storica (la spagnola, l’HIV, Ebola, etc.), giungendo alla conclusione che quanto è accaduto nell’ultimo decennio rappresenta tuttavia uno stacco, una dinamica inedita. Le pandemie diventano infatti più frequenti e più violente. Per questo Morens ha definito la nostra come “l’era pandemica”.

Ne discende che dobbiamo stare più attenti alle nostre dinamiche di coevoluzione con gli agenti patogeni. I virus sono macchine biologiche che convivono da sempre con noi, obbedendo ai loro “geni egoisti”, secondo la definizione di Richard Dawkins. Si adattano, mutano velocemente, si diversificano, scompaiono e poi riappaiono, con il risultato che essendo più rapidi di noi “spesso ci sorprendono e ci colgono impreparati”. Morens e Fauci corredano l’articolo con un’efficacissima mappa di tutte le epidemie scoppiate nel mondo dal 1981 a oggi, dividendole in tre categorie: quelle nuove; quelle riemergenti; e quelle deliberatamente emergenti a causa di incidenti umani (come capitò con l’antrace in Unione Sovietica nel 1979), una terza categoria che non riguarda SARS-CoV-2.

Fra tutte queste pandemie recenti, ci sono prove robuste del fatto che una percentuale consistente sia dovuta “alla nostra crescente incapacità di vivere in armonia con la natura”. La civilizzazione ha portato enormi vantaggi all’umanità, ma la degradazione e l’impoverimento degli ecosistemi che ne sono conseguiti ci presenta oggi “il suo alto costo, che noi paghiamo anche in termini di mortali malattie emergenti”. E “poiché non possiamo tornare ai tempi antichi, occorre almeno imparare le lezioni delle pandemie di oggi per curvare la modernità verso una direzione più sicura”.

L’analisi si applica anche alla diffusione di malattie dovute a super-batteri che hanno evoluto la resistenza agli antibiotici, a causa dell’abuso di questi ultimi in campo umano e animale. Il quadro è chiaro: non c’è nulla di nuovo nelle pandemie, ma oggi viviamo in un mondo talmente dominato dalla presenza umana che le alterazioni sempre più estreme dell’ambiente inducono contraccolpi altrettanto estremi dalla natura. Dunque Covid-19 - è il messaggio finale dei due virologi statunitensi - è una sveglia, un monito: dobbiamo mitigare “le nostre interazioni aggressive, dannose e sproporzionate con la natura”. Se non agiamo sulle cause remote delle pandemie, cioè quelle ecologiche ed evolutive, i farmaci, i vaccini e gli altri argini della scienza non basteranno.

 

Telmo Pievani
Dipartimento di Biologia
Università degli studi di Padova