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Quanti sono e quanto durano gli anticorpi di chi è stato infettato dal SARS-CoV-2? Con quale probabilità ci si infetta all’interno di uno stesso nucleo familiare? Quanto è servito il contact tracing nel contenimento dell’epidemia?
A queste domande dà una risposta lo studio SARS-CoV-2 antibody dynamics and transmission from community-wide serological testing in the Italian municipality of Vo’, pubblicato su «Nature Communications» e condotto da un team di ricercatori e ricercatrici dell’Università di Padova e dell’Imperial College di Londra che, grazie allo screening sierologico della popolazione di Vo’ (Padova), ha consentito di stimare le dinamiche anticorpali nelle infezioni da SARS-CoV-2, la probabilità di trasmissione del virus all’interno dei nuclei familiari e l’impatto del contact tracing nel contenimento dell’epidemia.
Nei mesi di febbraio e marzo 2020 la popolazione di Vo’ è stata testata in massa attraverso due campagne di screening basate su tampone molecolare per la ricerca del nuovo coronavirus SARS-CoV-2. I risultati hanno dimostrato che una quota significativa degli individui infetti era completamente asintomatica (42,5%) ma che, nonostante questo, l’epidemia era stata controllata e soppressa grazie all’isolamento degli individui risultati positivi al tampone molecolare (studio Suppression of a SARS-CoV-2 outbreak in the Italian municipality of Vo’ pubblicato su «Nature»).
A maggio 2020, dopo un lockdown nazionale molto severo, i ricercatori hanno nuovamente testato l’86% della popolazione di Vo’ (2602 soggetti) con tre diversi tipi di test immunologici in grado di rilevare non solo la presenza di anticorpi contro gli antigeni virali spike (S) e nucleocapside (N), ma anche con un test che ha permesso di individuare gli anticorpi neutralizzanti, ovvero quegli anticorpi che bloccano il virus SARS-CoV-2 non rendendolo più in grado di infettare le cellule.
I soggetti positivi al test molecolare di febbraio/marzo, o ad almeno uno dei diversi saggi immunologici di maggio, sono stati testati di nuovo nel mese di novembre 2020.
«Grazie ai risultati ottenuti dai diversi test abbiamo stimato che a maggio il 3,5% della popolazione era stata esposta al virus – spiega il prof Enrico Lavezzo, co-autore dello studio, dipartimento di Medicina Molecolare dell’Università di Padova -. A novembre tutti i test hanno dimostrato una riduzione dei titoli anticorpali, sebbene il 98,8% dei soggetti mantenesse ancora una quantità rilevabile di anticorpi. Nel 18,6% dei soggetti si è registrato invece un aumento marcato del titolo anticorpale o neutralizzante tra maggio e novembre, segno questo di una probabile o documentata riesposizione al virus. In sostanza il nostro studio ha evidenziato come gli anticorpi abbiano una durata di almeno 9 mesi e che non c’è differenza tra chi ha contratto il virus in modo sintomatico o asintomatico, né per quantità né per durata.»
«Un grazie speciale va alla popolazione di Vo’, per la partecipazione in massa agli studi sierologici che ci hanno dato l’opportunità di capire come i livelli anticorpali variano nel tempo e di quantificare, per la prima volta, quanta trasmissione avviene in famiglia e l’impatto che ha avuto il tracciamento dei contatti sull’epidemia – commenta Ilaria Dorigatti, MRC Centre of Global Infctious Analysis dell’Imperial College di Londra -. Questo studio dimostra che i livelli anticorpali variano, anche marcatamente, in base all’antigene e al test usato. Questo significa che ci vuole cautela nel comparare stime di sieroprevalenza ottenute in diverse parti del mondo, con test diversi, e in tempi diversi. Inoltre, dimostra chiaramente come i modelli matematici siano uno strumento utile per ricostruire una visione coerente dell’evoluzione di un’epidemia e quantificare l’impatto dei vari interventi implementati. Le nostre stime suggeriscono che ci sia una probabilità di circa 1 su 4 che un infetto di SARS-CoV-2 passi l’infezione ad un familiare, e stimiamo che a Vo’ l’epidemia sia stata soppressa grazie all’isolamento dei casi infetti e ad un breve lockdown, mentre il tracciamento dei contatti ha avuto un effetto limitato sull’epidemia.
Inoltre, è chiaro che l’epidemia non è finita, né in Italia né all’estero. Andando avanti, penso sia di fondamentale importanza continuare con la somministrazione delle prime e seconde dosi dei vaccini e a monitorare la trasmissione, rafforzando in maniera sostanziale la genotipizzazione del virus, che permette di identificare le varianti, e il tracciamento dei contatti, ad esempio con il contact tracing digitale».
«Dallo studio emerge anche che l’attività di contact tracing per la ricerca degli individui positivi sulla base dei contatti noti e dichiarati avrebbe avuto un impatto limitato (scovando il 44% degli individui infetti) sul contenimento dell’epidemia, se non fosse stato affiancato da uno screening di massa – dice Andrea Crisanti, direttore del Dipartimento di Medicina molecolare dell’Università di Padova -. Per questo motivo riteniamo che per il controllo di future epidemie di SARS-CoV-2 sia necessario implementare delle strategie di testing rigoroso e migliorare gli approcci di contact tracing. Se infatti la metodologia del contact tracing non è stata sufficiente in una piccola comunità come quella di Vo’, che conta poco più di 3000 abitanti, è difficile pensare che lo possa essere in una città di medie e grandi dimensioni dove le reti di interazione sociale sono amplificate e meno tracciabili.»
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Nei mesi di febbraio e marzo 2020 la popolazione di Vo’ è stata testata in massa attraverso due campagne di screening basate su tampone molecolare per la ricerca del nuovo coronavirus SARS-CoV-2. I risultati hanno dimostrato che una quota significativa degli individui infetti era completamente asintomatica (42,5%) ma che, nonostante questo, l’epidemia era stata controllata e soppressa grazie all’isolamento degli individui risultati positivi al tampone molecolare (studio Suppression of a SARS-CoV-2 outbreak in the Italian municipality of Vo’ pubblicato su «Nature»).
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A maggio 2020, dopo un lockdown nazionale molto severo, i ricercatori hanno nuovamente testato l’86% della popolazione di Vo’ (2602 soggetti) con tre diversi tipi di test immunologici in grado di rilevare non solo la presenza di anticorpi contro gli antigeni virali spike (S) e nucleocapside (N), ma anche con un test che ha permesso di individuare gli anticorpi neutralizzanti, ovvero quegli anticorpi che bloccano il virus SARS-CoV-2 non rendendolo più in grado di infettare le cellule.
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A maggio 2020, dopo un lockdown nazionale molto severo, i ricercatori hanno nuovamente testato l’86% della popolazione di Vo’ (2602 soggetti) con tre diversi tipi di test immunologici in grado di rilevare non solo la presenza di anticorpi contro gli antigeni virali spike (S) e nucleocapside (N), ma anche con un test che ha permesso di individuare gli anticorpi neutralizzanti, ovvero quegli anticorpi che bloccano il virus SARS-CoV-2 non rendendolo più in grado di infettare le cellule.
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«Un grazie speciale va alla popolazione di Vo’, per la partecipazione in massa agli studi sierologici che ci hanno dato l’opportunità di capire come i livelli anticorpali variano nel tempo e di quantificare, per la prima volta, quanta trasmissione avviene in famiglia e l’impatto che ha avuto il tracciamento dei contatti sull’epidemia – commenta Ilaria Dorigatti, MRC Centre of Global Infctious Analysis dell’Imperial College di Londra -. Questo studio dimostra che i livelli anticorpali variano, anche marcatamente, in base all’antigene e al test usato. Questo significa che ci vuole cautela nel comparare stime di sieroprevalenza ottenute in diverse parti del mondo, con test diversi, e in tempi diversi. Inoltre, dimostra chiaramente come i modelli matematici siano uno strumento utile per ricostruire una visione coerente dell’evoluzione di un’epidemia e quantificare l’impatto dei vari interventi implementati. Le nostre stime suggeriscono che ci sia una probabilità di circa 1 su 4 che un infetto di SARS-CoV-2 passi l’infezione ad un familiare, e stimiamo che a Vo’ l’epidemia sia stata soppressa grazie all’isolamento dei casi infetti e ad un breve lockdown, mentre il tracciamento dei contatti ha avuto un effetto limitato sull’epidemia.
Inoltre, è chiaro che l’epidemia non è finita, né in Italia né all’estero. Andando avanti, penso sia di fondamentale importanza continuare con la somministrazione delle prime e seconde dosi dei vaccini e a monitorare la trasmissione, rafforzando in maniera sostanziale la genotipizzazione del virus, che permette di identificare le varianti, e il tracciamento dei contatti, ad esempio con il contact tracing digitale».
«Dallo studio emerge anche che l’attività di contact tracing per la ricerca degli individui positivi sulla base dei contatti noti e dichiarati avrebbe avuto un impatto limitato (scovando il 44% degli individui infetti) sul contenimento dell’epidemia, se non fosse stato affiancato da uno screening di massa – dice Andrea Crisanti, direttore del Dipartimento di Medicina molecolare dell’Università di Padova -. Per questo motivo riteniamo che per il controllo di future epidemie di SARS-CoV-2 sia necessario implementare delle strategie di testing rigoroso e migliorare gli approcci di contact tracing. Se infatti la metodologia del contact tracing non è stata sufficiente in una piccola comunità come quella di Vo’, che conta poco più di 3000 abitanti, è difficile pensare che lo possa essere in una città di medie e grandi dimensioni dove le reti di interazione sociale sono amplificate e meno tracciabili.»
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A queste domande dà una risposta lo studio SARS-CoV-2 antibody dynamics and transmission from community-wide serological testing in the Italian municipality of Vo’, pubblicato su «Nature Communications» e condotto da un team di ricercatori e ricercatrici dell’Università di Padova e dell’Imperial College di Londra che, grazie allo screening sierologico della popolazione di Vo’ (Padova), ha consentito di stimare le dinamiche anticorpali nelle infezioni da SARS-CoV-2, la probabilità di trasmissione del virus all’interno dei nuclei familiari e l’impatto del contact tracing nel contenimento dell’epidemia.
Nei mesi di febbraio e marzo 2020 la popolazione di Vo’ è stata testata in massa attraverso due campagne di screening basate su tampone molecolare per la ricerca del nuovo coronavirus SARS-CoV-2. I risultati hanno dimostrato che una quota significativa degli individui infetti era completamente asintomatica (42,5%) ma che, nonostante questo, l’epidemia era stata controllata e soppressa grazie all’isolamento degli individui risultati positivi al tampone molecolare (studio Suppression of a SARS-CoV-2 outbreak in the Italian municipality of Vo’ pubblicato su «Nature»).
A maggio 2020, dopo un lockdown nazionale molto severo, i ricercatori hanno nuovamente testato l’86% della popolazione di Vo’ (2602 soggetti) con tre diversi tipi di test immunologici in grado di rilevare non solo la presenza di anticorpi contro gli antigeni virali spike (S) e nucleocapside (N), ma anche con un test che ha permesso di individuare gli anticorpi neutralizzanti, ovvero quegli anticorpi che bloccano il virus SARS-CoV-2 non rendendolo più in grado di infettare le cellule.
I soggetti positivi al test molecolare di febbraio/marzo, o ad almeno uno dei diversi saggi immunologici di maggio, sono stati testati di nuovo nel mese di novembre 2020.
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Inoltre, è chiaro che l’epidemia non è finita, né in Italia né all’estero. Andando avanti, penso sia di fondamentale importanza continuare con la somministrazione delle prime e seconde dosi dei vaccini e a monitorare la trasmissione, rafforzando in maniera sostanziale la genotipizzazione del virus, che permette di identificare le varianti, e il tracciamento dei contatti, ad esempio con il contact tracing digitale».
«Dallo studio emerge anche che l’attività di contact tracing per la ricerca degli individui positivi sulla base dei contatti noti e dichiarati avrebbe avuto un impatto limitato (scovando il 44% degli individui infetti) sul contenimento dell’epidemia, se non fosse stato affiancato da uno screening di massa – dice Andrea Crisanti, direttore del Dipartimento di Medicina molecolare dell’Università di Padova -. Per questo motivo riteniamo che per il controllo di future epidemie di SARS-CoV-2 sia necessario implementare delle strategie di testing rigoroso e migliorare gli approcci di contact tracing. Se infatti la metodologia del contact tracing non è stata sufficiente in una piccola comunità come quella di Vo’, che conta poco più di 3000 abitanti, è difficile pensare che lo possa essere in una città di medie e grandi dimensioni dove le reti di interazione sociale sono amplificate e meno tracciabili.»
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Quanti sono e quanto durano gli anticorpi di chi è stato infettato dal SARS-CoV-2? Con quale probabilità ci si infetta all’interno di uno stesso nucleo familiare? Quanto è servito il contact tracing nel contenimento dell’epidemia?
A queste domande dà una risposta lo studio SARS-CoV-2 antibody dynamics and transmission from community-wide serological testing in the Italian municipality of Vo’, pubblicato su «Nature Communications» e condotto da un team di ricercatori e ricercatrici dell’Università di Padova e dell’Imperial College di Londra che, grazie allo screening sierologico della popolazione di Vo’ (Padova), ha consentito di stimare le dinamiche anticorpali nelle infezioni da SARS-CoV-2, la probabilità di trasmissione del virus all’interno dei nuclei familiari e l’impatto del contact tracing nel contenimento dell’epidemia.
Nei mesi di febbraio e marzo 2020 la popolazione di Vo’ è stata testata in massa attraverso due campagne di screening basate su tampone molecolare per la ricerca del nuovo coronavirus SARS-CoV-2. I risultati hanno dimostrato che una quota significativa degli individui infetti era completamente asintomatica (42,5%) ma che, nonostante questo, l’epidemia era stata controllata e soppressa grazie all’isolamento degli individui risultati positivi al tampone molecolare (studio Suppression of a SARS-CoV-2 outbreak in the Italian municipality of Vo’ pubblicato su «Nature»).
A maggio 2020, dopo un lockdown nazionale molto severo, i ricercatori hanno nuovamente testato l’86% della popolazione di Vo’ (2602 soggetti) con tre diversi tipi di test immunologici in grado di rilevare non solo la presenza di anticorpi contro gli antigeni virali spike (S) e nucleocapside (N), ma anche con un test che ha permesso di individuare gli anticorpi neutralizzanti, ovvero quegli anticorpi che bloccano il virus SARS-CoV-2 non rendendolo più in grado di infettare le cellule.
I soggetti positivi al test molecolare di febbraio/marzo, o ad almeno uno dei diversi saggi immunologici di maggio, sono stati testati di nuovo nel mese di novembre 2020.
«Grazie ai risultati ottenuti dai diversi test abbiamo stimato che a maggio il 3,5% della popolazione era stata esposta al virus – spiega il prof Enrico Lavezzo, co-autore dello studio, dipartimento di Medicina Molecolare dell’Università di Padova -. A novembre tutti i test hanno dimostrato una riduzione dei titoli anticorpali, sebbene il 98,8% dei soggetti mantenesse ancora una quantità rilevabile di anticorpi. Nel 18,6% dei soggetti si è registrato invece un aumento marcato del titolo anticorpale o neutralizzante tra maggio e novembre, segno questo di una probabile o documentata riesposizione al virus. In sostanza il nostro studio ha evidenziato come gli anticorpi abbiano una durata di almeno 9 mesi e che non c’è differenza tra chi ha contratto il virus in modo sintomatico o asintomatico, né per quantità né per durata.»
«Un grazie speciale va alla popolazione di Vo’, per la partecipazione in massa agli studi sierologici che ci hanno dato l’opportunità di capire come i livelli anticorpali variano nel tempo e di quantificare, per la prima volta, quanta trasmissione avviene in famiglia e l’impatto che ha avuto il tracciamento dei contatti sull’epidemia – commenta Ilaria Dorigatti, MRC Centre of Global Infctious Analysis dell’Imperial College di Londra -. Questo studio dimostra che i livelli anticorpali variano, anche marcatamente, in base all’antigene e al test usato. Questo significa che ci vuole cautela nel comparare stime di sieroprevalenza ottenute in diverse parti del mondo, con test diversi, e in tempi diversi. Inoltre, dimostra chiaramente come i modelli matematici siano uno strumento utile per ricostruire una visione coerente dell’evoluzione di un’epidemia e quantificare l’impatto dei vari interventi implementati. Le nostre stime suggeriscono che ci sia una probabilità di circa 1 su 4 che un infetto di SARS-CoV-2 passi l’infezione ad un familiare, e stimiamo che a Vo’ l’epidemia sia stata soppressa grazie all’isolamento dei casi infetti e ad un breve lockdown, mentre il tracciamento dei contatti ha avuto un effetto limitato sull’epidemia.
Inoltre, è chiaro che l’epidemia non è finita, né in Italia né all’estero. Andando avanti, penso sia di fondamentale importanza continuare con la somministrazione delle prime e seconde dosi dei vaccini e a monitorare la trasmissione, rafforzando in maniera sostanziale la genotipizzazione del virus, che permette di identificare le varianti, e il tracciamento dei contatti, ad esempio con il contact tracing digitale».
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Nei mesi di febbraio e marzo 2020 la popolazione di Vo’ è stata testata in massa attraverso due campagne di screening basate su tampone molecolare per la ricerca del nuovo coronavirus SARS-CoV-2. I risultati hanno dimostrato che una quota significativa degli individui infetti era completamente asintomatica (42,5%) ma che, nonostante questo, l’epidemia era stata controllata e soppressa grazie all’isolamento degli individui risultati positivi al tampone molecolare (studio Suppression of a SARS-CoV-2 outbreak in the Italian municipality of Vo’ pubblicato su «Nature»).
A maggio 2020, dopo un lockdown nazionale molto severo, i ricercatori hanno nuovamente testato l’86% della popolazione di Vo’ (2602 soggetti) con tre diversi tipi di test immunologici in grado di rilevare non solo la presenza di anticorpi contro gli antigeni virali spike (S) e nucleocapside (N), ma anche con un test che ha permesso di individuare gli anticorpi neutralizzanti, ovvero quegli anticorpi che bloccano il virus SARS-CoV-2 non rendendolo più in grado di infettare le cellule.
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Quanti sono e quanto durano gli anticorpi di chi è stato infettato dal SARS-CoV-2? Con quale probabilità ci si infetta all’interno di uno stesso nucleo familiare? Quanto è servito il contact tracing nel contenimento dell’epidemia?
A queste domande dà una risposta lo studio SARS-CoV-2 antibody dynamics and transmission from community-wide serological testing in the Italian municipality of Vo’, pubblicato su «Nature Communications» e condotto da un team di ricercatori e ricercatrici dell’Università di Padova e dell’Imperial College di Londra che, grazie allo screening sierologico della popolazione di Vo’ (Padova), ha consentito di stimare le dinamiche anticorpali nelle infezioni da SARS-CoV-2, la probabilità di trasmissione del virus all’interno dei nuclei familiari e l’impatto del contact tracing nel contenimento dell’epidemia.
Nei mesi di febbraio e marzo 2020 la popolazione di Vo’ è stata testata in massa attraverso due campagne di screening basate su tampone molecolare per la ricerca del nuovo coronavirus SARS-CoV-2. I risultati hanno dimostrato che una quota significativa degli individui infetti era completamente asintomatica (42,5%) ma che, nonostante questo, l’epidemia era stata controllata e soppressa grazie all’isolamento degli individui risultati positivi al tampone molecolare (studio Suppression of a SARS-CoV-2 outbreak in the Italian municipality of Vo’ pubblicato su «Nature»).
A maggio 2020, dopo un lockdown nazionale molto severo, i ricercatori hanno nuovamente testato l’86% della popolazione di Vo’ (2602 soggetti) con tre diversi tipi di test immunologici in grado di rilevare non solo la presenza di anticorpi contro gli antigeni virali spike (S) e nucleocapside (N), ma anche con un test che ha permesso di individuare gli anticorpi neutralizzanti, ovvero quegli anticorpi che bloccano il virus SARS-CoV-2 non rendendolo più in grado di infettare le cellule.
I soggetti positivi al test molecolare di febbraio/marzo, o ad almeno uno dei diversi saggi immunologici di maggio, sono stati testati di nuovo nel mese di novembre 2020.
«Grazie ai risultati ottenuti dai diversi test abbiamo stimato che a maggio il 3,5% della popolazione era stata esposta al virus – spiega il prof Enrico Lavezzo, co-autore dello studio, dipartimento di Medicina Molecolare dell’Università di Padova -. A novembre tutti i test hanno dimostrato una riduzione dei titoli anticorpali, sebbene il 98,8% dei soggetti mantenesse ancora una quantità rilevabile di anticorpi. Nel 18,6% dei soggetti si è registrato invece un aumento marcato del titolo anticorpale o neutralizzante tra maggio e novembre, segno questo di una probabile o documentata riesposizione al virus. In sostanza il nostro studio ha evidenziato come gli anticorpi abbiano una durata di almeno 9 mesi e che non c’è differenza tra chi ha contratto il virus in modo sintomatico o asintomatico, né per quantità né per durata.»
«Un grazie speciale va alla popolazione di Vo’, per la partecipazione in massa agli studi sierologici che ci hanno dato l’opportunità di capire come i livelli anticorpali variano nel tempo e di quantificare, per la prima volta, quanta trasmissione avviene in famiglia e l’impatto che ha avuto il tracciamento dei contatti sull’epidemia – commenta Ilaria Dorigatti, MRC Centre of Global Infctious Analysis dell’Imperial College di Londra -. Questo studio dimostra che i livelli anticorpali variano, anche marcatamente, in base all’antigene e al test usato. Questo significa che ci vuole cautela nel comparare stime di sieroprevalenza ottenute in diverse parti del mondo, con test diversi, e in tempi diversi. Inoltre, dimostra chiaramente come i modelli matematici siano uno strumento utile per ricostruire una visione coerente dell’evoluzione di un’epidemia e quantificare l’impatto dei vari interventi implementati. Le nostre stime suggeriscono che ci sia una probabilità di circa 1 su 4 che un infetto di SARS-CoV-2 passi l’infezione ad un familiare, e stimiamo che a Vo’ l’epidemia sia stata soppressa grazie all’isolamento dei casi infetti e ad un breve lockdown, mentre il tracciamento dei contatti ha avuto un effetto limitato sull’epidemia.
Inoltre, è chiaro che l’epidemia non è finita, né in Italia né all’estero. Andando avanti, penso sia di fondamentale importanza continuare con la somministrazione delle prime e seconde dosi dei vaccini e a monitorare la trasmissione, rafforzando in maniera sostanziale la genotipizzazione del virus, che permette di identificare le varianti, e il tracciamento dei contatti, ad esempio con il contact tracing digitale».
«Dallo studio emerge anche che l’attività di contact tracing per la ricerca degli individui positivi sulla base dei contatti noti e dichiarati avrebbe avuto un impatto limitato (scovando il 44% degli individui infetti) sul contenimento dell’epidemia, se non fosse stato affiancato da uno screening di massa – dice Andrea Crisanti, direttore del Dipartimento di Medicina molecolare dell’Università di Padova -. Per questo motivo riteniamo che per il controllo di future epidemie di SARS-CoV-2 sia necessario implementare delle strategie di testing rigoroso e migliorare gli approcci di contact tracing. Se infatti la metodologia del contact tracing non è stata sufficiente in una piccola comunità come quella di Vo’, che conta poco più di 3000 abitanti, è difficile pensare che lo possa essere in una città di medie e grandi dimensioni dove le reti di interazione sociale sono amplificate e meno tracciabili.»
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A maggio 2020, dopo un lockdown nazionale molto severo, i ricercatori hanno nuovamente testato l’86% della popolazione di Vo’ (2602 soggetti) con tre diversi tipi di test immunologici in grado di rilevare non solo la presenza di anticorpi contro gli antigeni virali spike (S) e nucleocapside (N), ma anche con un test che ha permesso di individuare gli anticorpi neutralizzanti, ovvero quegli anticorpi che bloccano il virus SARS-CoV-2 non rendendolo più in grado di infettare le cellule.
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«Grazie ai risultati ottenuti dai diversi test abbiamo stimato che a maggio il 3,5% della popolazione era stata esposta al virus – spiega il prof Enrico Lavezzo, co-autore dello studio, dipartimento di Medicina Molecolare dell’Università di Padova -. A novembre tutti i test hanno dimostrato una riduzione dei titoli anticorpali, sebbene il 98,8% dei soggetti mantenesse ancora una quantità rilevabile di anticorpi. Nel 18,6% dei soggetti si è registrato invece un aumento marcato del titolo anticorpale o neutralizzante tra maggio e novembre, segno questo di una probabile o documentata riesposizione al virus. In sostanza il nostro studio ha evidenziato come gli anticorpi abbiano una durata di almeno 9 mesi e che non c’è differenza tra chi ha contratto il virus in modo sintomatico o asintomatico, né per quantità né per durata.»
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Inoltre, è chiaro che l’epidemia non è finita, né in Italia né all’estero. Andando avanti, penso sia di fondamentale importanza continuare con la somministrazione delle prime e seconde dosi dei vaccini e a monitorare la trasmissione, rafforzando in maniera sostanziale la genotipizzazione del virus, che permette di identificare le varianti, e il tracciamento dei contatti, ad esempio con il contact tracing digitale».
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