La ricerca delle Università di Padova e Zaragoza, pubblicata su «Papers in Palaeontology», ha analizzato la dieta degli elefanti nani della Sicilia, Palaeoloxodon falconeri e Palaeoloxodon mnaidriensis, vissuti nel Pleistocene Medio. Grazie all'analisi dell'usura dentaria sui reperti fossili conservati al Museo della Natura e dell'Uomo, è stato scoperto che entrambe le specie erano pascolatori, consumando principalmente materiale erbaceo abrasivo.
Le ricercatrici e ricercatori analizzando l'usura dentaria per ricostruire la dieta degli elefanti nani si sono chiesti se questi animali preferissero vegetazione erbacea abrasiva (pascolatori), vegetazione tenera come foglie e frutti (brucatori), o una dieta mista. Utilizzando le tecniche di microusura e mesousura dentaria, hanno, quindi, scoperto che entrambe le specie avevano una dieta convergente basata su materiale abrasivo.
Il Museo della Natura e dell'Uomo dell'Università di Padova conserva numerosi resti fossili di elefanti nani della Sicilia, provenienti da quattro località del palermitano. Le due specie estinte, Palaeoloxodon falconeri e Palaeoloxodon mnaidriensis, discendono dall'antenato continentale Palaeoloxodon antiquus, giunto sull'isola e poi ridottosi in dimensioni.
Palaeoloxodon falconeri, vissuto tra 800.000 e 400.000 anni fa, era la specie più piccola, con un'altezza di circa 1 m nei maschi e 0,9 m nelle femmine.
Palaeoloxodon mnaidriensis, vissuto tra 400.000 e 100.000 anni fa, era alto tra 1,8 e 2 m al garrese, la metà del suo antenato continentale.
Nel Pleistocene Medio, la Sicilia era frammentata in isole più piccole con una fauna limitata. Palaeoloxodon falconeri non aveva competitori o predatori, favorendo la sua riduzione di taglia. Palaeoloxodon mnaidriensis, invece, viveva in una Sicilia con dimensioni simili a quelle attuali, coabitando con ippopotami, ruminanti e carnivori, il che ha portato a una riduzione di taglia meno marcata.
Nonostante la riduzione/assenza di competitori per l’accesso alle limitate risorse vegetali cheavrebbe potuto consentire quindi la selezione di materiale vegetale più tenero e digeribile, i risultati dimostrano, per entrambe le specie, un alto consumo di materiale abrasivo tipico di una dieta di tipo pascolatore.
Questo risultato è significativo perché dimostra l'adattamento ecologico degli elefanti nani alle limitate risorse vegetali delle isole e alle diverse pressioni ambientali. Il Palaeoloxodon falconeri, privo di competitori e predatori, ha potuto sfruttare le risorse vegetali limitate. Questo portò le piante a difendersi aumentando i depositi di silice e la lignificazione, causando l'usura dentaria osservata. mentre il Palaeoloxodon mnaidriensis ha coabitato con altri mammiferi, adattandosi alle praterie.
«Questo studio dimostra come il MNU non sia solo un moderno centro espositivo e didattico, ma anche un vivo laboratorio di ricerca - conclude Fabrizio Nestola, Presidente del Centro di Ateneo per i Musei e Direttore del Museo della Natura e dell'Uomo -. Si tratta ancora una volta di nuovi studi su vecchi esemplari, fossili che, nonostante facciano parte delle collezioni storiche, hanno ancora tanto da raccontare e mantengono quindi un alto valore scientifico. Il nostro compito è preservarli per le generazioni future».
(Immagine: © ricostruzione Palaeoloxodon falconeri e mnaidriensis - Simone Zoccante)
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Grazie all'analisi dell'usura dentaria sui reperti fossili conservati al Museo della Natura e dell'Uomo, è stato scoperto che entrambe le specie erano pascolatori, consumando principalmente materiale erbaceo abrasivo.
Le ricercatrici e ricercatori analizzando l'usura dentaria per ricostruire la dieta degli elefanti nani si sono chiesti se questi animali preferissero vegetazione erbacea abrasiva (pascolatori), vegetazione tenera come foglie e frutti (brucatori), o una dieta mista. Utilizzando le tecniche di microusura e mesousura dentaria, hanno, quindi, scoperto che entrambe le specie avevano una dieta convergente basata su materiale abrasivo.
Il Museo della Natura e dell'Uomo dell'Università di Padova conserva numerosi resti fossili di elefanti nani della Sicilia, provenienti da quattro località del palermitano. Le due specie estinte, Palaeoloxodon falconeri e Palaeoloxodon mnaidriensis, discendono dall'antenato continentale Palaeoloxodon antiquus, giunto sull'isola e poi ridottosi in dimensioni.
Palaeoloxodon falconeri, vissuto tra 800.000 e 400.000 anni fa, era la specie più piccola, con un'altezza di circa 1 m nei maschi e 0,9 m nelle femmine.
Palaeoloxodon mnaidriensis, vissuto tra 400.000 e 100.000 anni fa, era alto tra 1,8 e 2 m al garrese, la metà del suo antenato continentale.
Nel Pleistocene Medio, la Sicilia era frammentata in isole più piccole con una fauna limitata. Palaeoloxodon falconeri non aveva competitori o predatori, favorendo la sua riduzione di taglia. Palaeoloxodon mnaidriensis, invece, viveva in una Sicilia con dimensioni simili a quelle attuali, coabitando con ippopotami, ruminanti e carnivori, il che ha portato a una riduzione di taglia meno marcata.
Nonostante la riduzione/assenza di competitori per l’accesso alle limitate risorse vegetali cheavrebbe potuto consentire quindi la selezione di materiale vegetale più tenero e digeribile, i risultati dimostrano, per entrambe le specie, un alto consumo di materiale abrasivo tipico di una dieta di tipo pascolatore.
Questo risultato è significativo perché dimostra l'adattamento ecologico degli elefanti nani alle limitate risorse vegetali delle isole e alle diverse pressioni ambientali. Il Palaeoloxodon falconeri, privo di competitori e predatori, ha potuto sfruttare le risorse vegetali limitate. Questo portò le piante a difendersi aumentando i depositi di silice e la lignificazione, causando l'usura dentaria osservata. mentre il Palaeoloxodon mnaidriensis ha coabitato con altri mammiferi, adattandosi alle praterie.
«Questo studio dimostra come il MNU non sia solo un moderno centro espositivo e didattico, ma anche un vivo laboratorio di ricerca - conclude Fabrizio Nestola, Presidente del Centro di Ateneo per i Musei e Direttore del Museo della Natura e dell'Uomo -. Si tratta ancora una volta di nuovi studi su vecchi esemplari, fossili che, nonostante facciano parte delle collezioni storiche, hanno ancora tanto da raccontare e mantengono quindi un alto valore scientifico. Il nostro compito è preservarli per le generazioni future».
(Immagine: © ricostruzione Palaeoloxodon falconeri e mnaidriensis - Simone Zoccante)
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«Questo studio dimostra come il MNU non sia solo un moderno centro espositivo e didattico, ma anche un vivo laboratorio di ricerca - conclude Fabrizio Nestola, Presidente del Centro di Ateneo per i Musei e Direttore del Museo della Natura e dell'Uomo -. Si tratta ancora una volta di nuovi studi su vecchi esemplari, fossili che, nonostante facciano parte delle collezioni storiche, hanno ancora tanto da raccontare e mantengono quindi un alto valore scientifico. Il nostro compito è preservarli per le generazioni future».
(Immagine: © ricostruzione Palaeoloxodon falconeri e mnaidriensis - Simone Zoccante)
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