Fotografare i beni culturali

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Ha inizio il 13 marzo il laboratorio 'Fotografare i beni culturali' organizzato dal Dipartimento dei Beni Culturali: archeologia, storia dell’arte, del cinema e della musica dell'Università di Padova.

Il laboratorio si propone l’obiettivo di fornire le conoscenze tecniche di base, teoriche e pratiche, per l’acquisizione e la lettura dell’immagine fotografica di documentazione per i beni culturali. 

A studentesse e studenti iscritti saranno fornite le basi per poter valutare queste tecniche applicate alla fotografia scientifica di documentazione dei beni culturali. Il corso evidenzia come le scelte operative rappresentino sempre una interpretazione personale della rappresentazione del soggetto e degli scopi della documentazione fotografica. Anche nelle applicazioni per le quali esistono delle linee guida più o meno standard (musei, studio e ricerca, pubblicità, per la stampa, per il web, ecc.), questa interpretazione può quindi essere realizzata dal fotografo sulla base delle indicazioni di uno studioso o committente adeguatamente informato su tecniche e procedure. 

Gli strumenti, le tecniche e le modalità di interpretazione del soggetto che saranno illustrate faranno riferimento ai servizi di fotografia scientifica professionale. 

Il laboratorio ha una durata totale di 20 ore con frequenza obbligatoria (ammessa una assenza); la partecipazione in presenza all’esercitazione è obbligatoria. 18 ore saranno di lezione e 2 saranno di esercitazione su un vero set fotografico predisposto per la ripresa di beni culturali. 

È possibile iscriversi dal 20 febbraio al 4 marzo 2023, inviando una email all'indirizzo: michele.barollo@unipd.it 

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Ha inizio il 13 marzo il laboratorio 'Fotografare i beni culturali' organizzato dal Dipartimento dei Beni Culturali: archeologia, storia dell’arte, del cinema e della musica dell'Università di Padova.

Il laboratorio si propone l’obiettivo di fornire le conoscenze tecniche di base, teoriche e pratiche, per l’acquisizione e la lettura dell’immagine fotografica di documentazione per i beni culturali. 

A studentesse e studenti iscritti saranno fornite le basi per poter valutare queste tecniche applicate alla fotografia scientifica di documentazione dei beni culturali. Il corso evidenzia come le scelte operative rappresentino sempre una interpretazione personale della rappresentazione del soggetto e degli scopi della documentazione fotografica. Anche nelle applicazioni per le quali esistono delle linee guida più o meno standard (musei, studio e ricerca, pubblicità, per la stampa, per il web, ecc.), questa interpretazione può quindi essere realizzata dal fotografo sulla base delle indicazioni di uno studioso o committente adeguatamente informato su tecniche e procedure. 

Gli strumenti, le tecniche e le modalità di interpretazione del soggetto che saranno illustrate faranno riferimento ai servizi di fotografia scientifica professionale. 

Il laboratorio ha una durata totale di 20 ore con frequenza obbligatoria (ammessa una assenza); la partecipazione in presenza all’esercitazione è obbligatoria. 18 ore saranno di lezione e 2 saranno di esercitazione su un vero set fotografico predisposto per la ripresa di beni culturali. 

È possibile iscriversi dal 20 febbraio al 4 marzo 2023, inviando una email all'indirizzo: michele.barollo@unipd.it 

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Ha inizio il 13 marzo il laboratorio 'Fotografare i beni culturali' organizzato dal Dipartimento dei Beni Culturali: archeologia, storia dell’arte, del cinema e della musica dell'Università di Padova.

Il laboratorio si propone l’obiettivo di fornire le conoscenze tecniche di base, teoriche e pratiche, per l’acquisizione e la lettura dell’immagine fotografica di documentazione per i beni culturali. 

A studentesse e studenti iscritti saranno fornite le basi per poter valutare queste tecniche applicate alla fotografia scientifica di documentazione dei beni culturali. Il corso evidenzia come le scelte operative rappresentino sempre una interpretazione personale della rappresentazione del soggetto e degli scopi della documentazione fotografica. Anche nelle applicazioni per le quali esistono delle linee guida più o meno standard (musei, studio e ricerca, pubblicità, per la stampa, per il web, ecc.), questa interpretazione può quindi essere realizzata dal fotografo sulla base delle indicazioni di uno studioso o committente adeguatamente informato su tecniche e procedure. 

Gli strumenti, le tecniche e le modalità di interpretazione del soggetto che saranno illustrate faranno riferimento ai servizi di fotografia scientifica professionale. 

Il laboratorio ha una durata totale di 20 ore con frequenza obbligatoria (ammessa una assenza); la partecipazione in presenza all’esercitazione è obbligatoria. 18 ore saranno di lezione e 2 saranno di esercitazione su un vero set fotografico predisposto per la ripresa di beni culturali. 

È possibile iscriversi dal 20 febbraio al 4 marzo 2023, inviando una email all'indirizzo: michele.barollo@unipd.it 

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Ha inizio il 13 marzo il laboratorio 'Fotografare i beni culturali' organizzato dal Dipartimento dei Beni Culturali: archeologia, storia dell’arte, del cinema e della musica dell'Università di Padova.

Il laboratorio si propone l’obiettivo di fornire le conoscenze tecniche di base, teoriche e pratiche, per l’acquisizione e la lettura dell’immagine fotografica di documentazione per i beni culturali. 

A studentesse e studenti iscritti saranno fornite le basi per poter valutare queste tecniche applicate alla fotografia scientifica di documentazione dei beni culturali. Il corso evidenzia come le scelte operative rappresentino sempre una interpretazione personale della rappresentazione del soggetto e degli scopi della documentazione fotografica. Anche nelle applicazioni per le quali esistono delle linee guida più o meno standard (musei, studio e ricerca, pubblicità, per la stampa, per il web, ecc.), questa interpretazione può quindi essere realizzata dal fotografo sulla base delle indicazioni di uno studioso o committente adeguatamente informato su tecniche e procedure. 

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Tesseramento FIDAL con il Cus (sezione atletica)

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Al personale, a studentesse e studenti di Ateneo che desiderano partecipare a manifestazioni sportive agonistiche organizzate dalla Federazione Italiana di Atletica Leggera o dai suoi affiliati ufficiali, è offerta la possibilità di richiedere in qualsiasi momento dell’anno il tesseramento federale ufficiale FIDAL al Cus Padova, ad una tariffa di Euro 30,00 per l’anno 2023.

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2022N52 Comunicazione calendario e sedi prove d'esame

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2022N50 Comunicazione calendario e sedi prove d'esame

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2022N38 Graduatoria generale di merito e dei vincitori (approvata con D.D.G. rep. n. 698/2023, prot. n. 25785 del 13/02/2023)

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Open day 2023 Locandina Professioni sanitarie

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2022N51 Esito prova pratica

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La ricerca Unipd per il fotovoltaico del futuro

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Lo studio pubblicato su «Energy & Environmental Materials» dal titolo “Pulsed Laser Annealed Ga Hyperdoped Poly-Si/SiOx Passivating Contacts for High-Efficiency Monocrystalline Si Solar Cellsdelle ricercatrici e dei ricercatori dell’Università di Padova e del National Renewable Energy Laboratory (NREL) - il principale laboratorio USA per le energie rinnovabili - mostra che sottoponendo il silicio a brevissimi shock termici indotti da impulsi laser è possibile realizzare una nuova tecnologia per la fabbricazione di celle fotovoltaiche ad alta efficienza. Grazie al laser si riesce a liquefare e ricristallizzare la superficie del silicio in tempi rapidissimi, dell'ordine di pochi miliardesimi di secondo, ottenendo materiali innovativi in grado di raccogliere la corrente fotovoltaica in maniera più efficiente.

L’attuale profonda crisi climatica ed energetica rende ora più che mai necessario lo sviluppo e la diffusione di fonti energetiche rinnovabili a basso costo, obiettivo cruciale a livello globale. Tra le varie possibilità, il fotovoltaico rappresenta certamente una delle tecnologie più promettenti per garantirci un futuro sostenibile. L’energia solare è infatti una fonte pulita, rinnovabile e inesauribile: è possibile trasformarla in energia elettrica in modo diretto tramite celle fotovoltaiche, una tecnologia relativamente semplice e che ben si presta ad un impiego capillare e distribuito nel territorio.

Le celle fotovoltaiche in commercio sono costituite di silicio, il secondo elemento per abbondanza presente sulla terra, il più importante semiconduttore, e si basano sulla capacità del materiale di assorbire la luce e convertirla in cariche elettriche. Le celle separano le cariche negative da quelle positive (l’assorbimento della luce produce cariche di entrambi i segni) e le estraggono dal silicio attraverso opportuni contatti posti sulle superfici, generando una corrente elettrica che possiamo poi sfruttare nella vita di tutti i giorni ad esempio per alimentare elettrodomestici, cellulari, auto elettriche e altro. L’efficienza della cella è quindi determinata principalmente dalla capacità di trasformare la luce solare in cariche elettriche, di separarle e di raccoglierle

Una metodologia estremante promettente, chiamata TOPCon (tunnel oxide passivated contacts), si basa sull’inserimento ad una certa profondità sotto la superficie del silicio di un sottilissimo strato di ossido di silicio, con uno spessore di circa un nanometro, pari a un miliardesimo di metro. Questo strato di ossido di silicio favorisce, grazie ad un fenomeno quantistico noto come effetto tunnel, la separazione delle cariche e la loro successiva raccolta. Non solo, con esso si spera di riuscire entro pochi anni ad aumentare ulteriormente l’efficienza delle celle fotovoltaiche e, al tempo stesso, limitarne i costi di produzione. Tuttavia, affinché lo strato di silicio che si trova sopra l’ossido riesca a raccogliere efficacemente le cariche e trasferirle ai contatti elettrici è necessario “drogarlo”, ovvero introdurre, mediante processi di diffusione ad alta temperatura, una certa quantità di atomi, detti appunto ‘droganti’, in grado di modificare opportunamente le proprietà del silicio.

Ebbene, prima della collaborazione tra Università di Padova e NREL, nessuna delle metodologie note era in grado di drogare efficacemente il silicio senza danneggiare l’ossido, rendendo quindi difficile lo sviluppo e l’implementazione della tecnologia TOPCon.

«La soluzione che abbiamo trovato assieme a NREL - spiega Enrico Napolitani, professore del Dipartimento di Fisica ed Astronomia dell’Università̀ di Padova, utilizza impulsi laser ultra-veloci della durata di una decina di nanosecondi, cioè dell’ordine dei centomilionesimi di secondo - disponibili nel nostro nuovo laboratorio di Laser Processing finanziato dall’Università di Padova - per applicare degli shock termici alla superficie del silicio. Il riscaldamento è tale da indurre un drogaggio di qualità eccellente ma il processo è così veloce che l’ossido di silicio, localizzato più in profondità, si scalda poco e rimane assolutamente intatto».

I fenomeni fisici coinvolti sono abbastanza complessi. Si utilizza luce ultravioletta, che viene assorbita entro pochissimi nanometri sotto la superficie. Essa induce un riscaldamento estremamente localizzato che si mantiene confinato grazie alla brevissima durata degli impulsi, in sostanza il calore non ha il tempo di diffondersi. Inoltre, gli impulsi hanno una energia così elevata da liquefare gli strati più superficiali del silicio (poche decine di nanometri) che, alla fine dell’impulso, ricristallizzano.

In realtà il cuore del processo è proprio questa transizione di fase solido-liquido-solido indotta dal laser denominata Pulsed Laser Melting (PLM), che nel laboratorio padovano si riesce a controllare a livello nanometrico. Grazie a essa il drogante, inizialmente posto sopra la superficie del silicio, si redistribuisce molto velocemente all’interno della fase liquida. Successivamente la ricristallizzazione avviene in modo talmente rapido da “congelare” il drogante incorporandolo nella fase solida cristallina a concentrazioni elevatissime, ben superiori alle solubilità solide di equilibrio. In questo modo si conseguono due risultati con una sola azione: da un lato si confina il drogaggio e il riscaldamento mantenendo l’ossido sottostante intatto, dall’altro si droga a concentrazioni molto superiori - rispetto a quanto ottenuto in precedenza con altre tecniche - con notevoli effetti benefici sul funzionamento della cella fotovoltaica.

«È una metodologia che applichiamo con successo in molti ambiti per sintetizzare nuovi materiali: dalla nanoelettronica, alla fotonica, alla fotocatalisi, ai rivelatori per le alte energie - conclude Napolitani - ma non l’avevamo mai applicata al fotovoltaico solare. I risultati sono molto incoraggianti e in futuro, nel gruppo di Fisica dei Semiconduttori del nostro Dipartimento, approfondiremo ulteriormente i nostri studi, anche grazie alla nostra partecipazione al Partenariato Esteso NEST - "Network 4 Energy Sustainable Transition", recentemente finanziato dall’Unione Europea nell’ambito del PNRR».

Autori e autrici della ricerca: Kejun Chen, Enrico Napolitani, Matteo De Tullio, Chun-Sheng Jiang, Harvey Guthrey, Francesco Sgarbossa, San Theingi, William Nemeth, Matthew Page, Paul Stradins, Sumit Agarwal, David L. Young.

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Lo studio pubblicato su «Energy & Environmental Materials» dal titolo “Pulsed Laser Annealed Ga Hyperdoped Poly-Si/SiOx Passivating Contacts for High-Efficiency Monocrystalline Si Solar Cellsdelle ricercatrici e dei ricercatori dell’Università di Padova e del National Renewable Energy Laboratory (NREL) - il principale laboratorio USA per le energie rinnovabili - mostra che sottoponendo il silicio a brevissimi shock termici indotti da impulsi laser è possibile realizzare una nuova tecnologia per la fabbricazione di celle fotovoltaiche ad alta efficienza. Grazie al laser si riesce a liquefare e ricristallizzare la superficie del silicio in tempi rapidissimi, dell'ordine di pochi miliardesimi di secondo, ottenendo materiali innovativi in grado di raccogliere la corrente fotovoltaica in maniera più efficiente.

L’attuale profonda crisi climatica ed energetica rende ora più che mai necessario lo sviluppo e la diffusione di fonti energetiche rinnovabili a basso costo, obiettivo cruciale a livello globale. Tra le varie possibilità, il fotovoltaico rappresenta certamente una delle tecnologie più promettenti per garantirci un futuro sostenibile. L’energia solare è infatti una fonte pulita, rinnovabile e inesauribile: è possibile trasformarla in energia elettrica in modo diretto tramite celle fotovoltaiche, una tecnologia relativamente semplice e che ben si presta ad un impiego capillare e distribuito nel territorio.

Le celle fotovoltaiche in commercio sono costituite di silicio, il secondo elemento per abbondanza presente sulla terra, il più importante semiconduttore, e si basano sulla capacità del materiale di assorbire la luce e convertirla in cariche elettriche. Le celle separano le cariche negative da quelle positive (l’assorbimento della luce produce cariche di entrambi i segni) e le estraggono dal silicio attraverso opportuni contatti posti sulle superfici, generando una corrente elettrica che possiamo poi sfruttare nella vita di tutti i giorni ad esempio per alimentare elettrodomestici, cellulari, auto elettriche e altro. L’efficienza della cella è quindi determinata principalmente dalla capacità di trasformare la luce solare in cariche elettriche, di separarle e di raccoglierle

Una metodologia estremante promettente, chiamata TOPCon (tunnel oxide passivated contacts), si basa sull’inserimento ad una certa profondità sotto la superficie del silicio di un sottilissimo strato di ossido di silicio, con uno spessore di circa un nanometro, pari a un miliardesimo di metro. Questo strato di ossido di silicio favorisce, grazie ad un fenomeno quantistico noto come effetto tunnel, la separazione delle cariche e la loro successiva raccolta. Non solo, con esso si spera di riuscire entro pochi anni ad aumentare ulteriormente l’efficienza delle celle fotovoltaiche e, al tempo stesso, limitarne i costi di produzione. Tuttavia, affinché lo strato di silicio che si trova sopra l’ossido riesca a raccogliere efficacemente le cariche e trasferirle ai contatti elettrici è necessario “drogarlo”, ovvero introdurre, mediante processi di diffusione ad alta temperatura, una certa quantità di atomi, detti appunto ‘droganti’, in grado di modificare opportunamente le proprietà del silicio.

Ebbene, prima della collaborazione tra Università di Padova e NREL, nessuna delle metodologie note era in grado di drogare efficacemente il silicio senza danneggiare l’ossido, rendendo quindi difficile lo sviluppo e l’implementazione della tecnologia TOPCon.

«La soluzione che abbiamo trovato assieme a NREL - spiega Enrico Napolitani, professore del Dipartimento di Fisica ed Astronomia dell’Università̀ di Padova, utilizza impulsi laser ultra-veloci della durata di una decina di nanosecondi, cioè dell’ordine dei centomilionesimi di secondo - disponibili nel nostro nuovo laboratorio di Laser Processing finanziato dall’Università di Padova - per applicare degli shock termici alla superficie del silicio. Il riscaldamento è tale da indurre un drogaggio di qualità eccellente ma il processo è così veloce che l’ossido di silicio, localizzato più in profondità, si scalda poco e rimane assolutamente intatto».

I fenomeni fisici coinvolti sono abbastanza complessi. Si utilizza luce ultravioletta, che viene assorbita entro pochissimi nanometri sotto la superficie. Essa induce un riscaldamento estremamente localizzato che si mantiene confinato grazie alla brevissima durata degli impulsi, in sostanza il calore non ha il tempo di diffondersi. Inoltre, gli impulsi hanno una energia così elevata da liquefare gli strati più superficiali del silicio (poche decine di nanometri) che, alla fine dell’impulso, ricristallizzano.

In realtà il cuore del processo è proprio questa transizione di fase solido-liquido-solido indotta dal laser denominata Pulsed Laser Melting (PLM), che nel laboratorio padovano si riesce a controllare a livello nanometrico. Grazie a essa il drogante, inizialmente posto sopra la superficie del silicio, si redistribuisce molto velocemente all’interno della fase liquida. Successivamente la ricristallizzazione avviene in modo talmente rapido da “congelare” il drogante incorporandolo nella fase solida cristallina a concentrazioni elevatissime, ben superiori alle solubilità solide di equilibrio. In questo modo si conseguono due risultati con una sola azione: da un lato si confina il drogaggio e il riscaldamento mantenendo l’ossido sottostante intatto, dall’altro si droga a concentrazioni molto superiori - rispetto a quanto ottenuto in precedenza con altre tecniche - con notevoli effetti benefici sul funzionamento della cella fotovoltaica.

«È una metodologia che applichiamo con successo in molti ambiti per sintetizzare nuovi materiali: dalla nanoelettronica, alla fotonica, alla fotocatalisi, ai rivelatori per le alte energie - conclude Napolitani - ma non l’avevamo mai applicata al fotovoltaico solare. I risultati sono molto incoraggianti e in futuro, nel gruppo di Fisica dei Semiconduttori del nostro Dipartimento, approfondiremo ulteriormente i nostri studi, anche grazie alla nostra partecipazione al Partenariato Esteso NEST - "Network 4 Energy Sustainable Transition", recentemente finanziato dall’Unione Europea nell’ambito del PNRR».

Autori e autrici della ricerca: Kejun Chen, Enrico Napolitani, Matteo De Tullio, Chun-Sheng Jiang, Harvey Guthrey, Francesco Sgarbossa, San Theingi, William Nemeth, Matthew Page, Paul Stradins, Sumit Agarwal, David L. Young.

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L’attuale profonda crisi climatica ed energetica rende ora più che mai necessario lo sviluppo e la diffusione di fonti energetiche rinnovabili a basso costo, obiettivo cruciale a livello globale. Tra le varie possibilità, il fotovoltaico rappresenta certamente una delle tecnologie più promettenti per garantirci un futuro sostenibile. L’energia solare è infatti una fonte pulita, rinnovabile e inesauribile: è possibile trasformarla in energia elettrica in modo diretto tramite celle fotovoltaiche, una tecnologia relativamente semplice e che ben si presta ad un impiego capillare e distribuito nel territorio.

Le celle fotovoltaiche in commercio sono costituite di silicio, il secondo elemento per abbondanza presente sulla terra, il più importante semiconduttore, e si basano sulla capacità del materiale di assorbire la luce e convertirla in cariche elettriche. Le celle separano le cariche negative da quelle positive (l’assorbimento della luce produce cariche di entrambi i segni) e le estraggono dal silicio attraverso opportuni contatti posti sulle superfici, generando una corrente elettrica che possiamo poi sfruttare nella vita di tutti i giorni ad esempio per alimentare elettrodomestici, cellulari, auto elettriche e altro. L’efficienza della cella è quindi determinata principalmente dalla capacità di trasformare la luce solare in cariche elettriche, di separarle e di raccoglierle

Una metodologia estremante promettente, chiamata TOPCon (tunnel oxide passivated contacts), si basa sull’inserimento ad una certa profondità sotto la superficie del silicio di un sottilissimo strato di ossido di silicio, con uno spessore di circa un nanometro, pari a un miliardesimo di metro. Questo strato di ossido di silicio favorisce, grazie ad un fenomeno quantistico noto come effetto tunnel, la separazione delle cariche e la loro successiva raccolta. Non solo, con esso si spera di riuscire entro pochi anni ad aumentare ulteriormente l’efficienza delle celle fotovoltaiche e, al tempo stesso, limitarne i costi di produzione. Tuttavia, affinché lo strato di silicio che si trova sopra l’ossido riesca a raccogliere efficacemente le cariche e trasferirle ai contatti elettrici è necessario “drogarlo”, ovvero introdurre, mediante processi di diffusione ad alta temperatura, una certa quantità di atomi, detti appunto ‘droganti’, in grado di modificare opportunamente le proprietà del silicio.

Ebbene, prima della collaborazione tra Università di Padova e NREL, nessuna delle metodologie note era in grado di drogare efficacemente il silicio senza danneggiare l’ossido, rendendo quindi difficile lo sviluppo e l’implementazione della tecnologia TOPCon.

«La soluzione che abbiamo trovato assieme a NREL - spiega Enrico Napolitani, professore del Dipartimento di Fisica ed Astronomia dell’Università̀ di Padova, utilizza impulsi laser ultra-veloci della durata di una decina di nanosecondi, cioè dell’ordine dei centomilionesimi di secondo - disponibili nel nostro nuovo laboratorio di Laser Processing finanziato dall’Università di Padova - per applicare degli shock termici alla superficie del silicio. Il riscaldamento è tale da indurre un drogaggio di qualità eccellente ma il processo è così veloce che l’ossido di silicio, localizzato più in profondità, si scalda poco e rimane assolutamente intatto».

I fenomeni fisici coinvolti sono abbastanza complessi. Si utilizza luce ultravioletta, che viene assorbita entro pochissimi nanometri sotto la superficie. Essa induce un riscaldamento estremamente localizzato che si mantiene confinato grazie alla brevissima durata degli impulsi, in sostanza il calore non ha il tempo di diffondersi. Inoltre, gli impulsi hanno una energia così elevata da liquefare gli strati più superficiali del silicio (poche decine di nanometri) che, alla fine dell’impulso, ricristallizzano.

In realtà il cuore del processo è proprio questa transizione di fase solido-liquido-solido indotta dal laser denominata Pulsed Laser Melting (PLM), che nel laboratorio padovano si riesce a controllare a livello nanometrico. Grazie a essa il drogante, inizialmente posto sopra la superficie del silicio, si redistribuisce molto velocemente all’interno della fase liquida. Successivamente la ricristallizzazione avviene in modo talmente rapido da “congelare” il drogante incorporandolo nella fase solida cristallina a concentrazioni elevatissime, ben superiori alle solubilità solide di equilibrio. In questo modo si conseguono due risultati con una sola azione: da un lato si confina il drogaggio e il riscaldamento mantenendo l’ossido sottostante intatto, dall’altro si droga a concentrazioni molto superiori - rispetto a quanto ottenuto in precedenza con altre tecniche - con notevoli effetti benefici sul funzionamento della cella fotovoltaica.

«È una metodologia che applichiamo con successo in molti ambiti per sintetizzare nuovi materiali: dalla nanoelettronica, alla fotonica, alla fotocatalisi, ai rivelatori per le alte energie - conclude Napolitani - ma non l’avevamo mai applicata al fotovoltaico solare. I risultati sono molto incoraggianti e in futuro, nel gruppo di Fisica dei Semiconduttori del nostro Dipartimento, approfondiremo ulteriormente i nostri studi, anche grazie alla nostra partecipazione al Partenariato Esteso NEST - "Network 4 Energy Sustainable Transition", recentemente finanziato dall’Unione Europea nell’ambito del PNRR».

Autori e autrici della ricerca: Kejun Chen, Enrico Napolitani, Matteo De Tullio, Chun-Sheng Jiang, Harvey Guthrey, Francesco Sgarbossa, San Theingi, William Nemeth, Matthew Page, Paul Stradins, Sumit Agarwal, David L. Young.

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L’attuale profonda crisi climatica ed energetica rende ora più che mai necessario lo sviluppo e la diffusione di fonti energetiche rinnovabili a basso costo, obiettivo cruciale a livello globale. Tra le varie possibilità, il fotovoltaico rappresenta certamente una delle tecnologie più promettenti per garantirci un futuro sostenibile. L’energia solare è infatti una fonte pulita, rinnovabile e inesauribile: è possibile trasformarla in energia elettrica in modo diretto tramite celle fotovoltaiche, una tecnologia relativamente semplice e che ben si presta ad un impiego capillare e distribuito nel territorio.

Le celle fotovoltaiche in commercio sono costituite di silicio, il secondo elemento per abbondanza presente sulla terra, il più importante semiconduttore, e si basano sulla capacità del materiale di assorbire la luce e convertirla in cariche elettriche. Le celle separano le cariche negative da quelle positive (l’assorbimento della luce produce cariche di entrambi i segni) e le estraggono dal silicio attraverso opportuni contatti posti sulle superfici, generando una corrente elettrica che possiamo poi sfruttare nella vita di tutti i giorni ad esempio per alimentare elettrodomestici, cellulari, auto elettriche e altro. L’efficienza della cella è quindi determinata principalmente dalla capacità di trasformare la luce solare in cariche elettriche, di separarle e di raccoglierle

Una metodologia estremante promettente, chiamata TOPCon (tunnel oxide passivated contacts), si basa sull’inserimento ad una certa profondità sotto la superficie del silicio di un sottilissimo strato di ossido di silicio, con uno spessore di circa un nanometro, pari a un miliardesimo di metro. Questo strato di ossido di silicio favorisce, grazie ad un fenomeno quantistico noto come effetto tunnel, la separazione delle cariche e la loro successiva raccolta. Non solo, con esso si spera di riuscire entro pochi anni ad aumentare ulteriormente l’efficienza delle celle fotovoltaiche e, al tempo stesso, limitarne i costi di produzione. Tuttavia, affinché lo strato di silicio che si trova sopra l’ossido riesca a raccogliere efficacemente le cariche e trasferirle ai contatti elettrici è necessario “drogarlo”, ovvero introdurre, mediante processi di diffusione ad alta temperatura, una certa quantità di atomi, detti appunto ‘droganti’, in grado di modificare opportunamente le proprietà del silicio.

Ebbene, prima della collaborazione tra Università di Padova e NREL, nessuna delle metodologie note era in grado di drogare efficacemente il silicio senza danneggiare l’ossido, rendendo quindi difficile lo sviluppo e l’implementazione della tecnologia TOPCon.

«La soluzione che abbiamo trovato assieme a NREL - spiega Enrico Napolitani, professore del Dipartimento di Fisica ed Astronomia dell’Università̀ di Padova, utilizza impulsi laser ultra-veloci della durata di una decina di nanosecondi, cioè dell’ordine dei centomilionesimi di secondo - disponibili nel nostro nuovo laboratorio di Laser Processing finanziato dall’Università di Padova - per applicare degli shock termici alla superficie del silicio. Il riscaldamento è tale da indurre un drogaggio di qualità eccellente ma il processo è così veloce che l’ossido di silicio, localizzato più in profondità, si scalda poco e rimane assolutamente intatto».

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In realtà il cuore del processo è proprio questa transizione di fase solido-liquido-solido indotta dal laser denominata Pulsed Laser Melting (PLM), che nel laboratorio padovano si riesce a controllare a livello nanometrico. Grazie a essa il drogante, inizialmente posto sopra la superficie del silicio, si redistribuisce molto velocemente all’interno della fase liquida. Successivamente la ricristallizzazione avviene in modo talmente rapido da “congelare” il drogante incorporandolo nella fase solida cristallina a concentrazioni elevatissime, ben superiori alle solubilità solide di equilibrio. In questo modo si conseguono due risultati con una sola azione: da un lato si confina il drogaggio e il riscaldamento mantenendo l’ossido sottostante intatto, dall’altro si droga a concentrazioni molto superiori - rispetto a quanto ottenuto in precedenza con altre tecniche - con notevoli effetti benefici sul funzionamento della cella fotovoltaica.

«È una metodologia che applichiamo con successo in molti ambiti per sintetizzare nuovi materiali: dalla nanoelettronica, alla fotonica, alla fotocatalisi, ai rivelatori per le alte energie - conclude Napolitani - ma non l’avevamo mai applicata al fotovoltaico solare. I risultati sono molto incoraggianti e in futuro, nel gruppo di Fisica dei Semiconduttori del nostro Dipartimento, approfondiremo ulteriormente i nostri studi, anche grazie alla nostra partecipazione al Partenariato Esteso NEST - "Network 4 Energy Sustainable Transition", recentemente finanziato dall’Unione Europea nell’ambito del PNRR».

Autori e autrici della ricerca: Kejun Chen, Enrico Napolitani, Matteo De Tullio, Chun-Sheng Jiang, Harvey Guthrey, Francesco Sgarbossa, San Theingi, William Nemeth, Matthew Page, Paul Stradins, Sumit Agarwal, David L. Young.

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L’attuale profonda crisi climatica ed energetica rende ora più che mai necessario lo sviluppo e la diffusione di fonti energetiche rinnovabili a basso costo, obiettivo cruciale a livello globale. Tra le varie possibilità, il fotovoltaico rappresenta certamente una delle tecnologie più promettenti per garantirci un futuro sostenibile. L’energia solare è infatti una fonte pulita, rinnovabile e inesauribile: è possibile trasformarla in energia elettrica in modo diretto tramite celle fotovoltaiche, una tecnologia relativamente semplice e che ben si presta ad un impiego capillare e distribuito nel territorio.

Le celle fotovoltaiche in commercio sono costituite di silicio, il secondo elemento per abbondanza presente sulla terra, il più importante semiconduttore, e si basano sulla capacità del materiale di assorbire la luce e convertirla in cariche elettriche. Le celle separano le cariche negative da quelle positive (l’assorbimento della luce produce cariche di entrambi i segni) e le estraggono dal silicio attraverso opportuni contatti posti sulle superfici, generando una corrente elettrica che possiamo poi sfruttare nella vita di tutti i giorni ad esempio per alimentare elettrodomestici, cellulari, auto elettriche e altro. L’efficienza della cella è quindi determinata principalmente dalla capacità di trasformare la luce solare in cariche elettriche, di separarle e di raccoglierle

Una metodologia estremante promettente, chiamata TOPCon (tunnel oxide passivated contacts), si basa sull’inserimento ad una certa profondità sotto la superficie del silicio di un sottilissimo strato di ossido di silicio, con uno spessore di circa un nanometro, pari a un miliardesimo di metro. Questo strato di ossido di silicio favorisce, grazie ad un fenomeno quantistico noto come effetto tunnel, la separazione delle cariche e la loro successiva raccolta. Non solo, con esso si spera di riuscire entro pochi anni ad aumentare ulteriormente l’efficienza delle celle fotovoltaiche e, al tempo stesso, limitarne i costi di produzione. Tuttavia, affinché lo strato di silicio che si trova sopra l’ossido riesca a raccogliere efficacemente le cariche e trasferirle ai contatti elettrici è necessario “drogarlo”, ovvero introdurre, mediante processi di diffusione ad alta temperatura, una certa quantità di atomi, detti appunto ‘droganti’, in grado di modificare opportunamente le proprietà del silicio.

Ebbene, prima della collaborazione tra Università di Padova e NREL, nessuna delle metodologie note era in grado di drogare efficacemente il silicio senza danneggiare l’ossido, rendendo quindi difficile lo sviluppo e l’implementazione della tecnologia TOPCon.

«La soluzione che abbiamo trovato assieme a NREL - spiega Enrico Napolitani, professore del Dipartimento di Fisica ed Astronomia dell’Università̀ di Padova, utilizza impulsi laser ultra-veloci della durata di una decina di nanosecondi, cioè dell’ordine dei centomilionesimi di secondo - disponibili nel nostro nuovo laboratorio di Laser Processing finanziato dall’Università di Padova - per applicare degli shock termici alla superficie del silicio. Il riscaldamento è tale da indurre un drogaggio di qualità eccellente ma il processo è così veloce che l’ossido di silicio, localizzato più in profondità, si scalda poco e rimane assolutamente intatto».

I fenomeni fisici coinvolti sono abbastanza complessi. Si utilizza luce ultravioletta, che viene assorbita entro pochissimi nanometri sotto la superficie. Essa induce un riscaldamento estremamente localizzato che si mantiene confinato grazie alla brevissima durata degli impulsi, in sostanza il calore non ha il tempo di diffondersi. Inoltre, gli impulsi hanno una energia così elevata da liquefare gli strati più superficiali del silicio (poche decine di nanometri) che, alla fine dell’impulso, ricristallizzano.

In realtà il cuore del processo è proprio questa transizione di fase solido-liquido-solido indotta dal laser denominata Pulsed Laser Melting (PLM), che nel laboratorio padovano si riesce a controllare a livello nanometrico. Grazie a essa il drogante, inizialmente posto sopra la superficie del silicio, si redistribuisce molto velocemente all’interno della fase liquida. Successivamente la ricristallizzazione avviene in modo talmente rapido da “congelare” il drogante incorporandolo nella fase solida cristallina a concentrazioni elevatissime, ben superiori alle solubilità solide di equilibrio. In questo modo si conseguono due risultati con una sola azione: da un lato si confina il drogaggio e il riscaldamento mantenendo l’ossido sottostante intatto, dall’altro si droga a concentrazioni molto superiori - rispetto a quanto ottenuto in precedenza con altre tecniche - con notevoli effetti benefici sul funzionamento della cella fotovoltaica.

«È una metodologia che applichiamo con successo in molti ambiti per sintetizzare nuovi materiali: dalla nanoelettronica, alla fotonica, alla fotocatalisi, ai rivelatori per le alte energie - conclude Napolitani - ma non l’avevamo mai applicata al fotovoltaico solare. I risultati sono molto incoraggianti e in futuro, nel gruppo di Fisica dei Semiconduttori del nostro Dipartimento, approfondiremo ulteriormente i nostri studi, anche grazie alla nostra partecipazione al Partenariato Esteso NEST - "Network 4 Energy Sustainable Transition", recentemente finanziato dall’Unione Europea nell’ambito del PNRR».

Autori e autrici della ricerca: Kejun Chen, Enrico Napolitani, Matteo De Tullio, Chun-Sheng Jiang, Harvey Guthrey, Francesco Sgarbossa, San Theingi, William Nemeth, Matthew Page, Paul Stradins, Sumit Agarwal, David L. Young.

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L’attuale profonda crisi climatica ed energetica rende ora più che mai necessario lo sviluppo e la diffusione di fonti energetiche rinnovabili a basso costo, obiettivo cruciale a livello globale. Tra le varie possibilità, il fotovoltaico rappresenta certamente una delle tecnologie più promettenti per garantirci un futuro sostenibile. L’energia solare è infatti una fonte pulita, rinnovabile e inesauribile: è possibile trasformarla in energia elettrica in modo diretto tramite celle fotovoltaiche, una tecnologia relativamente semplice e che ben si presta ad un impiego capillare e distribuito nel territorio.

Le celle fotovoltaiche in commercio sono costituite di silicio, il secondo elemento per abbondanza presente sulla terra, il più importante semiconduttore, e si basano sulla capacità del materiale di assorbire la luce e convertirla in cariche elettriche. Le celle separano le cariche negative da quelle positive (l’assorbimento della luce produce cariche di entrambi i segni) e le estraggono dal silicio attraverso opportuni contatti posti sulle superfici, generando una corrente elettrica che possiamo poi sfruttare nella vita di tutti i giorni ad esempio per alimentare elettrodomestici, cellulari, auto elettriche e altro. L’efficienza della cella è quindi determinata principalmente dalla capacità di trasformare la luce solare in cariche elettriche, di separarle e di raccoglierle

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Ebbene, prima della collaborazione tra Università di Padova e NREL, nessuna delle metodologie note era in grado di drogare efficacemente il silicio senza danneggiare l’ossido, rendendo quindi difficile lo sviluppo e l’implementazione della tecnologia TOPCon.

«La soluzione che abbiamo trovato assieme a NREL - spiega Enrico Napolitani, professore del Dipartimento di Fisica ed Astronomia dell’Università̀ di Padova, utilizza impulsi laser ultra-veloci della durata di una decina di nanosecondi, cioè dell’ordine dei centomilionesimi di secondo - disponibili nel nostro nuovo laboratorio di Laser Processing finanziato dall’Università di Padova - per applicare degli shock termici alla superficie del silicio. Il riscaldamento è tale da indurre un drogaggio di qualità eccellente ma il processo è così veloce che l’ossido di silicio, localizzato più in profondità, si scalda poco e rimane assolutamente intatto».

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L’attuale profonda crisi climatica ed energetica rende ora più che mai necessario lo sviluppo e la diffusione di fonti energetiche rinnovabili a basso costo, obiettivo cruciale a livello globale. Tra le varie possibilità, il fotovoltaico rappresenta certamente una delle tecnologie più promettenti per garantirci un futuro sostenibile. L’energia solare è infatti una fonte pulita, rinnovabile e inesauribile: è possibile trasformarla in energia elettrica in modo diretto tramite celle fotovoltaiche, una tecnologia relativamente semplice e che ben si presta ad un impiego capillare e distribuito nel territorio.

Le celle fotovoltaiche in commercio sono costituite di silicio, il secondo elemento per abbondanza presente sulla terra, il più importante semiconduttore, e si basano sulla capacità del materiale di assorbire la luce e convertirla in cariche elettriche. Le celle separano le cariche negative da quelle positive (l’assorbimento della luce produce cariche di entrambi i segni) e le estraggono dal silicio attraverso opportuni contatti posti sulle superfici, generando una corrente elettrica che possiamo poi sfruttare nella vita di tutti i giorni ad esempio per alimentare elettrodomestici, cellulari, auto elettriche e altro. L’efficienza della cella è quindi determinata principalmente dalla capacità di trasformare la luce solare in cariche elettriche, di separarle e di raccoglierle

Una metodologia estremante promettente, chiamata TOPCon (tunnel oxide passivated contacts), si basa sull’inserimento ad una certa profondità sotto la superficie del silicio di un sottilissimo strato di ossido di silicio, con uno spessore di circa un nanometro, pari a un miliardesimo di metro. Questo strato di ossido di silicio favorisce, grazie ad un fenomeno quantistico noto come effetto tunnel, la separazione delle cariche e la loro successiva raccolta. Non solo, con esso si spera di riuscire entro pochi anni ad aumentare ulteriormente l’efficienza delle celle fotovoltaiche e, al tempo stesso, limitarne i costi di produzione. Tuttavia, affinché lo strato di silicio che si trova sopra l’ossido riesca a raccogliere efficacemente le cariche e trasferirle ai contatti elettrici è necessario “drogarlo”, ovvero introdurre, mediante processi di diffusione ad alta temperatura, una certa quantità di atomi, detti appunto ‘droganti’, in grado di modificare opportunamente le proprietà del silicio.

Ebbene, prima della collaborazione tra Università di Padova e NREL, nessuna delle metodologie note era in grado di drogare efficacemente il silicio senza danneggiare l’ossido, rendendo quindi difficile lo sviluppo e l’implementazione della tecnologia TOPCon.

«La soluzione che abbiamo trovato assieme a NREL - spiega Enrico Napolitani, professore del Dipartimento di Fisica ed Astronomia dell’Università̀ di Padova, utilizza impulsi laser ultra-veloci della durata di una decina di nanosecondi, cioè dell’ordine dei centomilionesimi di secondo - disponibili nel nostro nuovo laboratorio di Laser Processing finanziato dall’Università di Padova - per applicare degli shock termici alla superficie del silicio. Il riscaldamento è tale da indurre un drogaggio di qualità eccellente ma il processo è così veloce che l’ossido di silicio, localizzato più in profondità, si scalda poco e rimane assolutamente intatto».

I fenomeni fisici coinvolti sono abbastanza complessi. Si utilizza luce ultravioletta, che viene assorbita entro pochissimi nanometri sotto la superficie. Essa induce un riscaldamento estremamente localizzato che si mantiene confinato grazie alla brevissima durata degli impulsi, in sostanza il calore non ha il tempo di diffondersi. Inoltre, gli impulsi hanno una energia così elevata da liquefare gli strati più superficiali del silicio (poche decine di nanometri) che, alla fine dell’impulso, ricristallizzano.

In realtà il cuore del processo è proprio questa transizione di fase solido-liquido-solido indotta dal laser denominata Pulsed Laser Melting (PLM), che nel laboratorio padovano si riesce a controllare a livello nanometrico. Grazie a essa il drogante, inizialmente posto sopra la superficie del silicio, si redistribuisce molto velocemente all’interno della fase liquida. Successivamente la ricristallizzazione avviene in modo talmente rapido da “congelare” il drogante incorporandolo nella fase solida cristallina a concentrazioni elevatissime, ben superiori alle solubilità solide di equilibrio. In questo modo si conseguono due risultati con una sola azione: da un lato si confina il drogaggio e il riscaldamento mantenendo l’ossido sottostante intatto, dall’altro si droga a concentrazioni molto superiori - rispetto a quanto ottenuto in precedenza con altre tecniche - con notevoli effetti benefici sul funzionamento della cella fotovoltaica.

«È una metodologia che applichiamo con successo in molti ambiti per sintetizzare nuovi materiali: dalla nanoelettronica, alla fotonica, alla fotocatalisi, ai rivelatori per le alte energie - conclude Napolitani - ma non l’avevamo mai applicata al fotovoltaico solare. I risultati sono molto incoraggianti e in futuro, nel gruppo di Fisica dei Semiconduttori del nostro Dipartimento, approfondiremo ulteriormente i nostri studi, anche grazie alla nostra partecipazione al Partenariato Esteso NEST - "Network 4 Energy Sustainable Transition", recentemente finanziato dall’Unione Europea nell’ambito del PNRR».

Autori e autrici della ricerca: Kejun Chen, Enrico Napolitani, Matteo De Tullio, Chun-Sheng Jiang, Harvey Guthrey, Francesco Sgarbossa, San Theingi, William Nemeth, Matthew Page, Paul Stradins, Sumit Agarwal, David L. Young.

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Le celle fotovoltaiche in commercio sono costituite di silicio, il secondo elemento per abbondanza presente sulla terra, il più importante semiconduttore, e si basano sulla capacità del materiale di assorbire la luce e convertirla in cariche elettriche. Le celle separano le cariche negative da quelle positive (l’assorbimento della luce produce cariche di entrambi i segni) e le estraggono dal silicio attraverso opportuni contatti posti sulle superfici, generando una corrente elettrica che possiamo poi sfruttare nella vita di tutti i giorni ad esempio per alimentare elettrodomestici, cellulari, auto elettriche e altro. L’efficienza della cella è quindi determinata principalmente dalla capacità di trasformare la luce solare in cariche elettriche, di separarle e di raccoglierle

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«È una metodologia che applichiamo con successo in molti ambiti per sintetizzare nuovi materiali: dalla nanoelettronica, alla fotonica, alla fotocatalisi, ai rivelatori per le alte energie - conclude Napolitani - ma non l’avevamo mai applicata al fotovoltaico solare. I risultati sono molto incoraggianti e in futuro, nel gruppo di Fisica dei Semiconduttori del nostro Dipartimento, approfondiremo ulteriormente i nostri studi, anche grazie alla nostra partecipazione al Partenariato Esteso NEST - "Network 4 Energy Sustainable Transition", recentemente finanziato dall’Unione Europea nell’ambito del PNRR».

Autori e autrici della ricerca: Kejun Chen, Enrico Napolitani, Matteo De Tullio, Chun-Sheng Jiang, Harvey Guthrey, Francesco Sgarbossa, San Theingi, William Nemeth, Matthew Page, Paul Stradins, Sumit Agarwal, David L. Young.

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Lo studio pubblicato su «Energy & Environmental Materials» dal titolo “Pulsed Laser Annealed Ga Hyperdoped Poly-Si/SiOx Passivating Contacts for High-Efficiency Monocrystalline Si Solar Cellsdelle ricercatrici e dei ricercatori dell’Università di Padova e del National Renewable Energy Laboratory (NREL) - il principale laboratorio USA per le energie rinnovabili - mostra che sottoponendo il silicio a brevissimi shock termici indotti da impulsi laser è possibile realizzare una nuova tecnologia per la fabbricazione di celle fotovoltaiche ad alta efficienza. Grazie al laser si riesce a liquefare e ricristallizzare la superficie del silicio in tempi rapidissimi, dell'ordine di pochi miliardesimi di secondo, ottenendo materiali innovativi in grado di raccogliere la corrente fotovoltaica in maniera più efficiente.

L’attuale profonda crisi climatica ed energetica rende ora più che mai necessario lo sviluppo e la diffusione di fonti energetiche rinnovabili a basso costo, obiettivo cruciale a livello globale. Tra le varie possibilità, il fotovoltaico rappresenta certamente una delle tecnologie più promettenti per garantirci un futuro sostenibile. L’energia solare è infatti una fonte pulita, rinnovabile e inesauribile: è possibile trasformarla in energia elettrica in modo diretto tramite celle fotovoltaiche, una tecnologia relativamente semplice e che ben si presta ad un impiego capillare e distribuito nel territorio.

Le celle fotovoltaiche in commercio sono costituite di silicio, il secondo elemento per abbondanza presente sulla terra, il più importante semiconduttore, e si basano sulla capacità del materiale di assorbire la luce e convertirla in cariche elettriche. Le celle separano le cariche negative da quelle positive (l’assorbimento della luce produce cariche di entrambi i segni) e le estraggono dal silicio attraverso opportuni contatti posti sulle superfici, generando una corrente elettrica che possiamo poi sfruttare nella vita di tutti i giorni ad esempio per alimentare elettrodomestici, cellulari, auto elettriche e altro. L’efficienza della cella è quindi determinata principalmente dalla capacità di trasformare la luce solare in cariche elettriche, di separarle e di raccoglierle

Una metodologia estremante promettente, chiamata TOPCon (tunnel oxide passivated contacts), si basa sull’inserimento ad una certa profondità sotto la superficie del silicio di un sottilissimo strato di ossido di silicio, con uno spessore di circa un nanometro, pari a un miliardesimo di metro. Questo strato di ossido di silicio favorisce, grazie ad un fenomeno quantistico noto come effetto tunnel, la separazione delle cariche e la loro successiva raccolta. Non solo, con esso si spera di riuscire entro pochi anni ad aumentare ulteriormente l’efficienza delle celle fotovoltaiche e, al tempo stesso, limitarne i costi di produzione. Tuttavia, affinché lo strato di silicio che si trova sopra l’ossido riesca a raccogliere efficacemente le cariche e trasferirle ai contatti elettrici è necessario “drogarlo”, ovvero introdurre, mediante processi di diffusione ad alta temperatura, una certa quantità di atomi, detti appunto ‘droganti’, in grado di modificare opportunamente le proprietà del silicio.

Ebbene, prima della collaborazione tra Università di Padova e NREL, nessuna delle metodologie note era in grado di drogare efficacemente il silicio senza danneggiare l’ossido, rendendo quindi difficile lo sviluppo e l’implementazione della tecnologia TOPCon.

«La soluzione che abbiamo trovato assieme a NREL - spiega Enrico Napolitani, professore del Dipartimento di Fisica ed Astronomia dell’Università̀ di Padova, utilizza impulsi laser ultra-veloci della durata di una decina di nanosecondi, cioè dell’ordine dei centomilionesimi di secondo - disponibili nel nostro nuovo laboratorio di Laser Processing finanziato dall’Università di Padova - per applicare degli shock termici alla superficie del silicio. Il riscaldamento è tale da indurre un drogaggio di qualità eccellente ma il processo è così veloce che l’ossido di silicio, localizzato più in profondità, si scalda poco e rimane assolutamente intatto».

I fenomeni fisici coinvolti sono abbastanza complessi. Si utilizza luce ultravioletta, che viene assorbita entro pochissimi nanometri sotto la superficie. Essa induce un riscaldamento estremamente localizzato che si mantiene confinato grazie alla brevissima durata degli impulsi, in sostanza il calore non ha il tempo di diffondersi. Inoltre, gli impulsi hanno una energia così elevata da liquefare gli strati più superficiali del silicio (poche decine di nanometri) che, alla fine dell’impulso, ricristallizzano.

In realtà il cuore del processo è proprio questa transizione di fase solido-liquido-solido indotta dal laser denominata Pulsed Laser Melting (PLM), che nel laboratorio padovano si riesce a controllare a livello nanometrico. Grazie a essa il drogante, inizialmente posto sopra la superficie del silicio, si redistribuisce molto velocemente all’interno della fase liquida. Successivamente la ricristallizzazione avviene in modo talmente rapido da “congelare” il drogante incorporandolo nella fase solida cristallina a concentrazioni elevatissime, ben superiori alle solubilità solide di equilibrio. In questo modo si conseguono due risultati con una sola azione: da un lato si confina il drogaggio e il riscaldamento mantenendo l’ossido sottostante intatto, dall’altro si droga a concentrazioni molto superiori - rispetto a quanto ottenuto in precedenza con altre tecniche - con notevoli effetti benefici sul funzionamento della cella fotovoltaica.

«È una metodologia che applichiamo con successo in molti ambiti per sintetizzare nuovi materiali: dalla nanoelettronica, alla fotonica, alla fotocatalisi, ai rivelatori per le alte energie - conclude Napolitani - ma non l’avevamo mai applicata al fotovoltaico solare. I risultati sono molto incoraggianti e in futuro, nel gruppo di Fisica dei Semiconduttori del nostro Dipartimento, approfondiremo ulteriormente i nostri studi, anche grazie alla nostra partecipazione al Partenariato Esteso NEST - "Network 4 Energy Sustainable Transition", recentemente finanziato dall’Unione Europea nell’ambito del PNRR».

Autori e autrici della ricerca: Kejun Chen, Enrico Napolitani, Matteo De Tullio, Chun-Sheng Jiang, Harvey Guthrey, Francesco Sgarbossa, San Theingi, William Nemeth, Matthew Page, Paul Stradins, Sumit Agarwal, David L. Young.

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Le celle fotovoltaiche in commercio sono costituite di silicio, il secondo elemento per abbondanza presente sulla terra, il più importante semiconduttore, e si basano sulla capacità del materiale di assorbire la luce e convertirla in cariche elettriche. Le celle separano le cariche negative da quelle positive (l’assorbimento della luce produce cariche di entrambi i segni) e le estraggono dal silicio attraverso opportuni contatti posti sulle superfici, generando una corrente elettrica che possiamo poi sfruttare nella vita di tutti i giorni ad esempio per alimentare elettrodomestici, cellulari, auto elettriche e altro. L’efficienza della cella è quindi determinata principalmente dalla capacità di trasformare la luce solare in cariche elettriche, di separarle e di raccoglierle

Una metodologia estremante promettente, chiamata TOPCon (tunnel oxide passivated contacts), si basa sull’inserimento ad una certa profondità sotto la superficie del silicio di un sottilissimo strato di ossido di silicio, con uno spessore di circa un nanometro, pari a un miliardesimo di metro. Questo strato di ossido di silicio favorisce, grazie ad un fenomeno quantistico noto come effetto tunnel, la separazione delle cariche e la loro successiva raccolta. Non solo, con esso si spera di riuscire entro pochi anni ad aumentare ulteriormente l’efficienza delle celle fotovoltaiche e, al tempo stesso, limitarne i costi di produzione. Tuttavia, affinché lo strato di silicio che si trova sopra l’ossido riesca a raccogliere efficacemente le cariche e trasferirle ai contatti elettrici è necessario “drogarlo”, ovvero introdurre, mediante processi di diffusione ad alta temperatura, una certa quantità di atomi, detti appunto ‘droganti’, in grado di modificare opportunamente le proprietà del silicio.

Ebbene, prima della collaborazione tra Università di Padova e NREL, nessuna delle metodologie note era in grado di drogare efficacemente il silicio senza danneggiare l’ossido, rendendo quindi difficile lo sviluppo e l’implementazione della tecnologia TOPCon.

«La soluzione che abbiamo trovato assieme a NREL - spiega Enrico Napolitani, professore del Dipartimento di Fisica ed Astronomia dell’Università̀ di Padova, utilizza impulsi laser ultra-veloci della durata di una decina di nanosecondi, cioè dell’ordine dei centomilionesimi di secondo - disponibili nel nostro nuovo laboratorio di Laser Processing finanziato dall’Università di Padova - per applicare degli shock termici alla superficie del silicio. Il riscaldamento è tale da indurre un drogaggio di qualità eccellente ma il processo è così veloce che l’ossido di silicio, localizzato più in profondità, si scalda poco e rimane assolutamente intatto».

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Autori e autrici della ricerca: Kejun Chen, Enrico Napolitani, Matteo De Tullio, Chun-Sheng Jiang, Harvey Guthrey, Francesco Sgarbossa, San Theingi, William Nemeth, Matthew Page, Paul Stradins, Sumit Agarwal, David L. Young.

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