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Secondo lo studio Altered brain regional homogeneity is associated with depressive symptoms in COVID-19 pubblicato sulla rivista scientifica «Journal of Affective Disorders» chi si è ammalato di COVID-19 anche dopo essere guarito presenta sintomi depressivi in maniera significativamente maggiore rispetto ai soggetti sani e mostra una ridotta connettività funzionale locale nella corteccia temporo-parietale.
Oltre alle note manifestazioni sistemiche, il COVID-19 può quindi anche provocare sintomi neuropsichiatrici quali depressione, ansia, fatica mentale, disturbi del sonno e disturbi associati allo stress. Tali sintomi sono verosimilmente associati agli effetti a livello neuronale del virus o ai trattamenti messi in atto, ma possono anche derivare dai fattori psicosociali associati all'infezione del virus, come ad esempio il timore di ammalarsi o di infettare gli altri, cambiamenti nello stile di vita e isolamento sociale.
La ricerca è stata condotta da un team di ricerca coordinato da Fabio Sambataro, docente del Dipartimento di Neuroscienze dell’Università di Padova.
'Grazie alla collaborazione con i reparti di Neuroradiologia, Neurologia, Otorinolaringoiatria e Psichiatria dell’Azienda Ospedale/Università di Padova abbiamo esaminato 79 soggetti guariti da COVID-19 e 17 soggetti sani senza storia di infezione da SARS-COV2 e di patologie neuropsichiatriche - spiega Sambataro.Tutti i partecipanti allo studio hanno svolto una risonanza magnetica funzionale, che nel caso dei pazienti con COVID-19 è stata effettuata dopo la negativizzazione del tampone molecolare, ed hanno completato una valutazione neuropsicologica. In particolare, abbiamo deciso di indagare le connettività funzionale locale cerebrale a riposo tramite lo studio dell’omogeneità regionale, una tecnica che consente di valutare quanto la correlazione locale del segnale in una regione cerebrale. Abbiamo inoltre indagato con questionari autosomministrati i sintomi depressivi tramite il Patient Health Questionnaire (PHQ-9), i sintomi ansiosi con la scala General Anxiety Disorder 7-item (GAD-7) e la fatica tramite la Multidimension Fatigue Inventory (MFI)».
Lo studio ha evidenziato che le persone guarite da COVID-19 hanno un’incrementata connettività funzionale locale nell'ippocampo di destra e diminuita connettività nella corteccia temporale destra e nel parietale di sinistra e che la gravità dei sintomi depressivi post-COVID si correla a queste variazioni neurofisiologiche.
'È interessante notale che tali aree sono coinvolte in una varietà di processi sociali, tra cui la regolazione dell’emotività, l’empatia e la simulazione degli stati mentali degli altri – spiega Sambataro-. Inoltre, queste regioni risultano attivate quando i soggetti sono esposti ad esclusione sociale, come avviene negli individui sottoposti a quarantena. Infine, l’ippocampo è una struttura primariamente coinvolta nello sviluppo di sintomi depressivi e le alterazioni evidenziate dal nostro studio potrebbero essere sia associate sia direttamente all’infezione da COVID-19 che alla sintomatologia depressiva associata alla condizione di limitazione sociale'.
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Oltre alle note manifestazioni sistemiche, il COVID-19 può quindi anche provocare sintomi neuropsichiatrici quali depressione, ansia, fatica mentale, disturbi del sonno e disturbi associati allo stress. Tali sintomi sono verosimilmente associati agli effetti a livello neuronale del virus o ai trattamenti messi in atto, ma possono anche derivare dai fattori psicosociali associati all'infezione del virus, come ad esempio il timore di ammalarsi o di infettare gli altri, cambiamenti nello stile di vita e isolamento sociale.
La ricerca è stata condotta da un team di ricerca coordinato da Fabio Sambataro, docente del Dipartimento di Neuroscienze dell’Università di Padova.
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Secondo lo studio Altered brain regional homogeneity is associated with depressive symptoms in COVID-19 pubblicato sulla rivista scientifica «Journal of Affective Disorders» chi si è ammalato di COVID-19 anche dopo essere guarito presenta sintomi depressivi in maniera significativamente maggiore rispetto ai soggetti sani e mostra una ridotta connettività funzionale locale nella corteccia temporo-parietale.
Oltre alle note manifestazioni sistemiche, il COVID-19 può quindi anche provocare sintomi neuropsichiatrici quali depressione, ansia, fatica mentale, disturbi del sonno e disturbi associati allo stress. Tali sintomi sono verosimilmente associati agli effetti a livello neuronale del virus o ai trattamenti messi in atto, ma possono anche derivare dai fattori psicosociali associati all'infezione del virus, come ad esempio il timore di ammalarsi o di infettare gli altri, cambiamenti nello stile di vita e isolamento sociale.
La ricerca è stata condotta da un team di ricerca coordinato da Fabio Sambataro, docente del Dipartimento di Neuroscienze dell’Università di Padova.
'Grazie alla collaborazione con i reparti di Neuroradiologia, Neurologia, Otorinolaringoiatria e Psichiatria dell’Azienda Ospedale/Università di Padova abbiamo esaminato 79 soggetti guariti da COVID-19 e 17 soggetti sani senza storia di infezione da SARS-COV2 e di patologie neuropsichiatriche - spiega Sambataro.Tutti i partecipanti allo studio hanno svolto una risonanza magnetica funzionale, che nel caso dei pazienti con COVID-19 è stata effettuata dopo la negativizzazione del tampone molecolare, ed hanno completato una valutazione neuropsicologica. In particolare, abbiamo deciso di indagare le connettività funzionale locale cerebrale a riposo tramite lo studio dell’omogeneità regionale, una tecnica che consente di valutare quanto la correlazione locale del segnale in una regione cerebrale. Abbiamo inoltre indagato con questionari autosomministrati i sintomi depressivi tramite il Patient Health Questionnaire (PHQ-9), i sintomi ansiosi con la scala General Anxiety Disorder 7-item (GAD-7) e la fatica tramite la Multidimension Fatigue Inventory (MFI)».
Lo studio ha evidenziato che le persone guarite da COVID-19 hanno un’incrementata connettività funzionale locale nell'ippocampo di destra e diminuita connettività nella corteccia temporale destra e nel parietale di sinistra e che la gravità dei sintomi depressivi post-COVID si correla a queste variazioni neurofisiologiche.
'È interessante notale che tali aree sono coinvolte in una varietà di processi sociali, tra cui la regolazione dell’emotività, l’empatia e la simulazione degli stati mentali degli altri – spiega Sambataro-. Inoltre, queste regioni risultano attivate quando i soggetti sono esposti ad esclusione sociale, come avviene negli individui sottoposti a quarantena. Infine, l’ippocampo è una struttura primariamente coinvolta nello sviluppo di sintomi depressivi e le alterazioni evidenziate dal nostro studio potrebbero essere sia associate sia direttamente all’infezione da COVID-19 che alla sintomatologia depressiva associata alla condizione di limitazione sociale'.
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Oltre alle note manifestazioni sistemiche, il COVID-19 può quindi anche provocare sintomi neuropsichiatrici quali depressione, ansia, fatica mentale, disturbi del sonno e disturbi associati allo stress. Tali sintomi sono verosimilmente associati agli effetti a livello neuronale del virus o ai trattamenti messi in atto, ma possono anche derivare dai fattori psicosociali associati all'infezione del virus, come ad esempio il timore di ammalarsi o di infettare gli altri, cambiamenti nello stile di vita e isolamento sociale.
La ricerca è stata condotta da un team di ricerca coordinato da Fabio Sambataro, docente del Dipartimento di Neuroscienze dell’Università di Padova.
'Grazie alla collaborazione con i reparti di Neuroradiologia, Neurologia, Otorinolaringoiatria e Psichiatria dell’Azienda Ospedale/Università di Padova abbiamo esaminato 79 soggetti guariti da COVID-19 e 17 soggetti sani senza storia di infezione da SARS-COV2 e di patologie neuropsichiatriche - spiega Sambataro.Tutti i partecipanti allo studio hanno svolto una risonanza magnetica funzionale, che nel caso dei pazienti con COVID-19 è stata effettuata dopo la negativizzazione del tampone molecolare, ed hanno completato una valutazione neuropsicologica. In particolare, abbiamo deciso di indagare le connettività funzionale locale cerebrale a riposo tramite lo studio dell’omogeneità regionale, una tecnica che consente di valutare quanto la correlazione locale del segnale in una regione cerebrale. Abbiamo inoltre indagato con questionari autosomministrati i sintomi depressivi tramite il Patient Health Questionnaire (PHQ-9), i sintomi ansiosi con la scala General Anxiety Disorder 7-item (GAD-7) e la fatica tramite la Multidimension Fatigue Inventory (MFI)».
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