Centro di Ateneo per i Diritti Umani e Unipd alla Manifestazione nazionale per la pace

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Il Centro di Ateneo per i Diritti Umani “Antonio Papisca” e l'Università di Padova insieme al Comitato promotore della Marcia PerugiAssisi e alla Tavola della Pace, aderiscono alla Manifestazione nazionale per la pace che si svolge a Roma sabato 5 novembre 2022.

Insieme con Papa Francesco, contro la guerra, per costruire la pace. Per un “cessate il fuoco” subito, un negoziato per la pace, la messa al bando di tutte le armi nucleari e in solidarietà con il popolo ucraino e con le vittime di tutte le guerre.
L’escalation della guerra in Ucraina sta diventando sempre più devastante e minacciosa. La minaccia nucleare incombe sul mondo. È responsabilità e dovere degli stati e dei popoli fermare questa follia. L’umanità ed il pianeta non possono accettare che le contese si risolvano con i conflitti armati.

La guerra ha conseguenze globali: è la principale causa delle crisi alimentari mondiali, ancor più disastrose in Africa e Oriente, incide sul caro-vita, sulle fasce sociali più povere e deboli, determina scelte nefaste per il clima e la vita del pianeta. La guerra ingoia tutto e blocca la speranza di un avvenire più equo e sostenibile per le generazioni future.
L'invito a partecipare alla manifestazione per portare insieme un pezzo della grande bandiera della pace lunga 100 metri è aperto a studentesse, studenti, docenti, personale dell’Università di Padova che vogliono la pace.

L'Università di Padova, sarà presente con 70 studentesse, studenti, dottorandi, docenti, personale tecnico e amministrativo.

Maggiori informazioni

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Insieme con Papa Francesco, contro la guerra, per costruire la pace. Per un “cessate il fuoco” subito, un negoziato per la pace, la messa al bando di tutte le armi nucleari e in solidarietà con il popolo ucraino e con le vittime di tutte le guerre.
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La guerra ha conseguenze globali: è la principale causa delle crisi alimentari mondiali, ancor più disastrose in Africa e Oriente, incide sul caro-vita, sulle fasce sociali più povere e deboli, determina scelte nefaste per il clima e la vita del pianeta. La guerra ingoia tutto e blocca la speranza di un avvenire più equo e sostenibile per le generazioni future.
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Insieme con Papa Francesco, contro la guerra, per costruire la pace. Per un “cessate il fuoco” subito, un negoziato per la pace, la messa al bando di tutte le armi nucleari e in solidarietà con il popolo ucraino e con le vittime di tutte le guerre.
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La guerra ha conseguenze globali: è la principale causa delle crisi alimentari mondiali, ancor più disastrose in Africa e Oriente, incide sul caro-vita, sulle fasce sociali più povere e deboli, determina scelte nefaste per il clima e la vita del pianeta. La guerra ingoia tutto e blocca la speranza di un avvenire più equo e sostenibile per le generazioni future.
L'invito a partecipare alla manifestazione per portare insieme un pezzo della grande bandiera della pace lunga 100 metri è aperto a studentesse, studenti, docenti, personale dell’Università di Padova che vogliono la pace.

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Insieme con Papa Francesco, contro la guerra, per costruire la pace. Per un “cessate il fuoco” subito, un negoziato per la pace, la messa al bando di tutte le armi nucleari e in solidarietà con il popolo ucraino e con le vittime di tutte le guerre.
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La guerra ha conseguenze globali: è la principale causa delle crisi alimentari mondiali, ancor più disastrose in Africa e Oriente, incide sul caro-vita, sulle fasce sociali più povere e deboli, determina scelte nefaste per il clima e la vita del pianeta. La guerra ingoia tutto e blocca la speranza di un avvenire più equo e sostenibile per le generazioni future.
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Insieme con Papa Francesco, contro la guerra, per costruire la pace. Per un “cessate il fuoco” subito, un negoziato per la pace, la messa al bando di tutte le armi nucleari e in solidarietà con il popolo ucraino e con le vittime di tutte le guerre.
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Il Centro di Ateneo per i Diritti Umani “Antonio Papisca” e l'Università di Padova insieme al Comitato promotore della Marcia PerugiAssisi e alla Tavola della Pace, aderiscono alla Manifestazione nazionale per la pace che si svolge a Roma sabato 5 novembre 2022.

Insieme con Papa Francesco, contro la guerra, per costruire la pace. Per un “cessate il fuoco” subito, un negoziato per la pace, la messa al bando di tutte le armi nucleari e in solidarietà con il popolo ucraino e con le vittime di tutte le guerre.
L’escalation della guerra in Ucraina sta diventando sempre più devastante e minacciosa. La minaccia nucleare incombe sul mondo. È responsabilità e dovere degli stati e dei popoli fermare questa follia. L’umanità ed il pianeta non possono accettare che le contese si risolvano con i conflitti armati.

La guerra ha conseguenze globali: è la principale causa delle crisi alimentari mondiali, ancor più disastrose in Africa e Oriente, incide sul caro-vita, sulle fasce sociali più povere e deboli, determina scelte nefaste per il clima e la vita del pianeta. La guerra ingoia tutto e blocca la speranza di un avvenire più equo e sostenibile per le generazioni future.
L'invito a partecipare alla manifestazione per portare insieme un pezzo della grande bandiera della pace lunga 100 metri è aperto a studentesse, studenti, docenti, personale dell’Università di Padova che vogliono la pace.

L'Università di Padova, sarà presente con 70 studentesse, studenti, dottorandi, docenti, personale tecnico e amministrativo.

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A MAPUTO, IN MOZAMBICO, UN NUOVO PERCORSO DI ALTA FORMAZIONE PER LE CURE PEDIATRICHE E NEONATALI

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A Maputo, in Mozambico, un nuovo percorso di alta formazione per le cure pediatriche e neonatali

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Prende il via a Maputo, capitale del Mozambico, una nuova proposta formativa di livello superiore per giovani pediatri e neonatologi locali. È il frutto di una collaborazione tra l’Università di Padova, l’Università Eduardo Mondlane di Maputo, l’Università Cattolica del Mozambico di Beira e Medici con l’Africa Cuamm, che gode del sostegno del Miur.

Il progetto vede come partner in loco Medici con l’Africa Cuamm, da tanti anni impegnata nella formazione di medici in Mozambico, e ha come capofila l’Università di Padova, coinvolta in prima linea in diverse attività: dalla programmazione delle sessioni formative e del percorso di studi, alle proposte di didattica a distanza e di e-learning; dall’individuazione del corpo docente alla facilitazione di scambi interculturali; dal favorire l’accesso alle attività didattiche da parte di 20 studenti (5 provenienti da Beira) all’invio di materiali ed equipaggiamento utili alla formazione superiore. 


Il programma figura come il primo ed unico percorso di alta formazione rivolto in Mozambico a professionisti sanitari: medici, ma anche infermieri che hanno ora la possibilità di specializzarsi nelle emergenze pediatriche e neonatali.

Un’opportunità che hanno colto donne e uomini provenienti da ben 5 province del paese, frutto di un lavoro lungo due anni e mezzo, che non si è arrestato neanche nel difficile periodo della pandemia di Covid-19, ma che «grazie allo sforzo titanico delle tre università coinvolte e del supporto di Medici con l’Africa Cuamm, ha permesso di concretizzare quello che oggi è un percorso di alta formazione unico nel paese che unendo competenze cliniche e metodi di ricerca, mira ad avere un impatto determinante sul tasso di mortalità pediatrico e neonatale nel paese» ha sottolineato il prof. Jahit Sacarlal, direttore della Facoltà di Medicina dell’Università Eduardo Mondlane.

«Aver realizzato questo corso di alta formazione è un onore per la nostra Università che proprio quest’anno si accinge a celebrare i suoi 800 anni – sottolinea Liviana Da Dalt, professoressa nel Dipartimento di Salute della Donna e del Bambino dell’Università di Padova –. Con questa collaborazione rinnoviamo dunque l’impegno nell’internazionalizzazione e nella collaborazione internazionale, due capisaldi per la nostra istituzione. Grazie al coinvolgimento di Medici con l’Africa Cuamm, da sempre ponte tra la nostra realtà accademica e il Mozambico, abbiamo infatti avviato nel 2006 una collaborazione con la Facoltà di Medicina dell’Università Cattolica di Beira che ogni anno accoglie specializzandi in pediatria e neonatologia, impegnati per un periodo di sei mesi in attività cliniche e accademiche. Ancora una volta questo percorso testimonia la volontà comune di rispondere ad uno dei grandi problemi che affliggono i sistemi sanitari di molti paesi dell’Africa sub-sahariana e che riguarda la salute e il benessere di bambini e neonati, sempre al centro del nostro impegno.»

La mortalità pediatrica e neonatale in Mozambico rimane inaccettabile e ancora oggi rappresenta il 46% delle mortalità nei bambini sotto i 5 anni di età. «Le iniziative sulla prevenzione della mortalità in queste categorie di pazienti sono numerose, è vero, ma la parte emergenziale è troppo spesso trascurata, eppure sono proprio i colleghi africani a denunciare un urgente bisogno di intervento. Ecco perché siamo qui, forte della lunga collaborazione che abbiamo instaurato attraverso il Cuamm e vogliamo impegnarci in questa nuova sfida» commenta Daniele Trevisanuto, professore neonatologo dell’Università di Padova e referente del programma.

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Il progetto vede come partner in loco Medici con l’Africa Cuamm, da tanti anni impegnata nella formazione di medici in Mozambico, e ha come capofila l’Università di Padova, coinvolta in prima linea in diverse attività: dalla programmazione delle sessioni formative e del percorso di studi, alle proposte di didattica a distanza e di e-learning; dall’individuazione del corpo docente alla facilitazione di scambi interculturali; dal favorire l’accesso alle attività didattiche da parte di 20 studenti (5 provenienti da Beira) all’invio di materiali ed equipaggiamento utili alla formazione superiore. 


Il programma figura come il primo ed unico percorso di alta formazione rivolto in Mozambico a professionisti sanitari: medici, ma anche infermieri che hanno ora la possibilità di specializzarsi nelle emergenze pediatriche e neonatali.

Un’opportunità che hanno colto donne e uomini provenienti da ben 5 province del paese, frutto di un lavoro lungo due anni e mezzo, che non si è arrestato neanche nel difficile periodo della pandemia di Covid-19, ma che «grazie allo sforzo titanico delle tre università coinvolte e del supporto di Medici con l’Africa Cuamm, ha permesso di concretizzare quello che oggi è un percorso di alta formazione unico nel paese che unendo competenze cliniche e metodi di ricerca, mira ad avere un impatto determinante sul tasso di mortalità pediatrico e neonatale nel paese» ha sottolineato il prof. Jahit Sacarlal, direttore della Facoltà di Medicina dell’Università Eduardo Mondlane.

«Aver realizzato questo corso di alta formazione è un onore per la nostra Università che proprio quest’anno si accinge a celebrare i suoi 800 anni – sottolinea Liviana Da Dalt, professoressa nel Dipartimento di Salute della Donna e del Bambino dell’Università di Padova –. Con questa collaborazione rinnoviamo dunque l’impegno nell’internazionalizzazione e nella collaborazione internazionale, due capisaldi per la nostra istituzione. Grazie al coinvolgimento di Medici con l’Africa Cuamm, da sempre ponte tra la nostra realtà accademica e il Mozambico, abbiamo infatti avviato nel 2006 una collaborazione con la Facoltà di Medicina dell’Università Cattolica di Beira che ogni anno accoglie specializzandi in pediatria e neonatologia, impegnati per un periodo di sei mesi in attività cliniche e accademiche. Ancora una volta questo percorso testimonia la volontà comune di rispondere ad uno dei grandi problemi che affliggono i sistemi sanitari di molti paesi dell’Africa sub-sahariana e che riguarda la salute e il benessere di bambini e neonati, sempre al centro del nostro impegno.»

La mortalità pediatrica e neonatale in Mozambico rimane inaccettabile e ancora oggi rappresenta il 46% delle mortalità nei bambini sotto i 5 anni di età. «Le iniziative sulla prevenzione della mortalità in queste categorie di pazienti sono numerose, è vero, ma la parte emergenziale è troppo spesso trascurata, eppure sono proprio i colleghi africani a denunciare un urgente bisogno di intervento. Ecco perché siamo qui, forte della lunga collaborazione che abbiamo instaurato attraverso il Cuamm e vogliamo impegnarci in questa nuova sfida» commenta Daniele Trevisanuto, professore neonatologo dell’Università di Padova e referente del programma.

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Prende il via a Maputo, capitale del Mozambico, una nuova proposta formativa di livello superiore per giovani pediatri e neonatologi locali. È il frutto di una collaborazione tra l’Università di Padova, l’Università Eduardo Mondlane di Maputo, l’Università Cattolica del Mozambico di Beira e Medici con l’Africa Cuamm, che gode del sostegno del Miur.

Il progetto vede come partner in loco Medici con l’Africa Cuamm, da tanti anni impegnata nella formazione di medici in Mozambico, e ha come capofila l’Università di Padova, coinvolta in prima linea in diverse attività: dalla programmazione delle sessioni formative e del percorso di studi, alle proposte di didattica a distanza e di e-learning; dall’individuazione del corpo docente alla facilitazione di scambi interculturali; dal favorire l’accesso alle attività didattiche da parte di 20 studenti (5 provenienti da Beira) all’invio di materiali ed equipaggiamento utili alla formazione superiore. 


Il programma figura come il primo ed unico percorso di alta formazione rivolto in Mozambico a professionisti sanitari: medici, ma anche infermieri che hanno ora la possibilità di specializzarsi nelle emergenze pediatriche e neonatali.

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«Aver realizzato questo corso di alta formazione è un onore per la nostra Università che proprio quest’anno si accinge a celebrare i suoi 800 anni – sottolinea Liviana Da Dalt, professoressa nel Dipartimento di Salute della Donna e del Bambino dell’Università di Padova –. Con questa collaborazione rinnoviamo dunque l’impegno nell’internazionalizzazione e nella collaborazione internazionale, due capisaldi per la nostra istituzione. Grazie al coinvolgimento di Medici con l’Africa Cuamm, da sempre ponte tra la nostra realtà accademica e il Mozambico, abbiamo infatti avviato nel 2006 una collaborazione con la Facoltà di Medicina dell’Università Cattolica di Beira che ogni anno accoglie specializzandi in pediatria e neonatologia, impegnati per un periodo di sei mesi in attività cliniche e accademiche. Ancora una volta questo percorso testimonia la volontà comune di rispondere ad uno dei grandi problemi che affliggono i sistemi sanitari di molti paesi dell’Africa sub-sahariana e che riguarda la salute e il benessere di bambini e neonati, sempre al centro del nostro impegno.»

La mortalità pediatrica e neonatale in Mozambico rimane inaccettabile e ancora oggi rappresenta il 46% delle mortalità nei bambini sotto i 5 anni di età. «Le iniziative sulla prevenzione della mortalità in queste categorie di pazienti sono numerose, è vero, ma la parte emergenziale è troppo spesso trascurata, eppure sono proprio i colleghi africani a denunciare un urgente bisogno di intervento. Ecco perché siamo qui, forte della lunga collaborazione che abbiamo instaurato attraverso il Cuamm e vogliamo impegnarci in questa nuova sfida» commenta Daniele Trevisanuto, professore neonatologo dell’Università di Padova e referente del programma.

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Il programma figura come il primo ed unico percorso di alta formazione rivolto in Mozambico a professionisti sanitari: medici, ma anche infermieri che hanno ora la possibilità di specializzarsi nelle emergenze pediatriche e neonatali.

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«Aver realizzato questo corso di alta formazione è un onore per la nostra Università che proprio quest’anno si accinge a celebrare i suoi 800 anni – sottolinea Liviana Da Dalt, professoressa nel Dipartimento di Salute della Donna e del Bambino dell’Università di Padova –. Con questa collaborazione rinnoviamo dunque l’impegno nell’internazionalizzazione e nella collaborazione internazionale, due capisaldi per la nostra istituzione. Grazie al coinvolgimento di Medici con l’Africa Cuamm, da sempre ponte tra la nostra realtà accademica e il Mozambico, abbiamo infatti avviato nel 2006 una collaborazione con la Facoltà di Medicina dell’Università Cattolica di Beira che ogni anno accoglie specializzandi in pediatria e neonatologia, impegnati per un periodo di sei mesi in attività cliniche e accademiche. Ancora una volta questo percorso testimonia la volontà comune di rispondere ad uno dei grandi problemi che affliggono i sistemi sanitari di molti paesi dell’Africa sub-sahariana e che riguarda la salute e il benessere di bambini e neonati, sempre al centro del nostro impegno.»

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Il progetto vede come partner in loco Medici con l’Africa Cuamm, da tanti anni impegnata nella formazione di medici in Mozambico, e ha come capofila l’Università di Padova, coinvolta in prima linea in diverse attività: dalla programmazione delle sessioni formative e del percorso di studi, alle proposte di didattica a distanza e di e-learning; dall’individuazione del corpo docente alla facilitazione di scambi interculturali; dal favorire l’accesso alle attività didattiche da parte di 20 studenti (5 provenienti da Beira) all’invio di materiali ed equipaggiamento utili alla formazione superiore. 


Il programma figura come il primo ed unico percorso di alta formazione rivolto in Mozambico a professionisti sanitari: medici, ma anche infermieri che hanno ora la possibilità di specializzarsi nelle emergenze pediatriche e neonatali.

Un’opportunità che hanno colto donne e uomini provenienti da ben 5 province del paese, frutto di un lavoro lungo due anni e mezzo, che non si è arrestato neanche nel difficile periodo della pandemia di Covid-19, ma che «grazie allo sforzo titanico delle tre università coinvolte e del supporto di Medici con l’Africa Cuamm, ha permesso di concretizzare quello che oggi è un percorso di alta formazione unico nel paese che unendo competenze cliniche e metodi di ricerca, mira ad avere un impatto determinante sul tasso di mortalità pediatrico e neonatale nel paese» ha sottolineato il prof. Jahit Sacarlal, direttore della Facoltà di Medicina dell’Università Eduardo Mondlane.

«Aver realizzato questo corso di alta formazione è un onore per la nostra Università che proprio quest’anno si accinge a celebrare i suoi 800 anni – sottolinea Liviana Da Dalt, professoressa nel Dipartimento di Salute della Donna e del Bambino dell’Università di Padova –. Con questa collaborazione rinnoviamo dunque l’impegno nell’internazionalizzazione e nella collaborazione internazionale, due capisaldi per la nostra istituzione. Grazie al coinvolgimento di Medici con l’Africa Cuamm, da sempre ponte tra la nostra realtà accademica e il Mozambico, abbiamo infatti avviato nel 2006 una collaborazione con la Facoltà di Medicina dell’Università Cattolica di Beira che ogni anno accoglie specializzandi in pediatria e neonatologia, impegnati per un periodo di sei mesi in attività cliniche e accademiche. Ancora una volta questo percorso testimonia la volontà comune di rispondere ad uno dei grandi problemi che affliggono i sistemi sanitari di molti paesi dell’Africa sub-sahariana e che riguarda la salute e il benessere di bambini e neonati, sempre al centro del nostro impegno.»

La mortalità pediatrica e neonatale in Mozambico rimane inaccettabile e ancora oggi rappresenta il 46% delle mortalità nei bambini sotto i 5 anni di età. «Le iniziative sulla prevenzione della mortalità in queste categorie di pazienti sono numerose, è vero, ma la parte emergenziale è troppo spesso trascurata, eppure sono proprio i colleghi africani a denunciare un urgente bisogno di intervento. Ecco perché siamo qui, forte della lunga collaborazione che abbiamo instaurato attraverso il Cuamm e vogliamo impegnarci in questa nuova sfida» commenta Daniele Trevisanuto, professore neonatologo dell’Università di Padova e referente del programma.

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«Aver realizzato questo corso di alta formazione è un onore per la nostra Università che proprio quest’anno si accinge a celebrare i suoi 800 anni – sottolinea Liviana Da Dalt, professoressa nel Dipartimento di Salute della Donna e del Bambino dell’Università di Padova –. Con questa collaborazione rinnoviamo dunque l’impegno nell’internazionalizzazione e nella collaborazione internazionale, due capisaldi per la nostra istituzione. Grazie al coinvolgimento di Medici con l’Africa Cuamm, da sempre ponte tra la nostra realtà accademica e il Mozambico, abbiamo infatti avviato nel 2006 una collaborazione con la Facoltà di Medicina dell’Università Cattolica di Beira che ogni anno accoglie specializzandi in pediatria e neonatologia, impegnati per un periodo di sei mesi in attività cliniche e accademiche. Ancora una volta questo percorso testimonia la volontà comune di rispondere ad uno dei grandi problemi che affliggono i sistemi sanitari di molti paesi dell’Africa sub-sahariana e che riguarda la salute e il benessere di bambini e neonati, sempre al centro del nostro impegno.»

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«Aver realizzato questo corso di alta formazione è un onore per la nostra Università che proprio quest’anno si accinge a celebrare i suoi 800 anni – sottolinea Liviana Da Dalt, professoressa nel Dipartimento di Salute della Donna e del Bambino dell’Università di Padova –. Con questa collaborazione rinnoviamo dunque l’impegno nell’internazionalizzazione e nella collaborazione internazionale, due capisaldi per la nostra istituzione. Grazie al coinvolgimento di Medici con l’Africa Cuamm, da sempre ponte tra la nostra realtà accademica e il Mozambico, abbiamo infatti avviato nel 2006 una collaborazione con la Facoltà di Medicina dell’Università Cattolica di Beira che ogni anno accoglie specializzandi in pediatria e neonatologia, impegnati per un periodo di sei mesi in attività cliniche e accademiche. Ancora una volta questo percorso testimonia la volontà comune di rispondere ad uno dei grandi problemi che affliggono i sistemi sanitari di molti paesi dell’Africa sub-sahariana e che riguarda la salute e il benessere di bambini e neonati, sempre al centro del nostro impegno.»

La mortalità pediatrica e neonatale in Mozambico rimane inaccettabile e ancora oggi rappresenta il 46% delle mortalità nei bambini sotto i 5 anni di età. «Le iniziative sulla prevenzione della mortalità in queste categorie di pazienti sono numerose, è vero, ma la parte emergenziale è troppo spesso trascurata, eppure sono proprio i colleghi africani a denunciare un urgente bisogno di intervento. Ecco perché siamo qui, forte della lunga collaborazione che abbiamo instaurato attraverso il Cuamm e vogliamo impegnarci in questa nuova sfida» commenta Daniele Trevisanuto, professore neonatologo dell’Università di Padova e referente del programma.

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Il programma figura come il primo ed unico percorso di alta formazione rivolto in Mozambico a professionisti sanitari: medici, ma anche infermieri che hanno ora la possibilità di specializzarsi nelle emergenze pediatriche e neonatali.

Un’opportunità che hanno colto donne e uomini provenienti da ben 5 province del paese, frutto di un lavoro lungo due anni e mezzo, che non si è arrestato neanche nel difficile periodo della pandemia di Covid-19, ma che «grazie allo sforzo titanico delle tre università coinvolte e del supporto di Medici con l’Africa Cuamm, ha permesso di concretizzare quello che oggi è un percorso di alta formazione unico nel paese che unendo competenze cliniche e metodi di ricerca, mira ad avere un impatto determinante sul tasso di mortalità pediatrico e neonatale nel paese» ha sottolineato il prof. Jahit Sacarlal, direttore della Facoltà di Medicina dell’Università Eduardo Mondlane.

«Aver realizzato questo corso di alta formazione è un onore per la nostra Università che proprio quest’anno si accinge a celebrare i suoi 800 anni – sottolinea Liviana Da Dalt, professoressa nel Dipartimento di Salute della Donna e del Bambino dell’Università di Padova –. Con questa collaborazione rinnoviamo dunque l’impegno nell’internazionalizzazione e nella collaborazione internazionale, due capisaldi per la nostra istituzione. Grazie al coinvolgimento di Medici con l’Africa Cuamm, da sempre ponte tra la nostra realtà accademica e il Mozambico, abbiamo infatti avviato nel 2006 una collaborazione con la Facoltà di Medicina dell’Università Cattolica di Beira che ogni anno accoglie specializzandi in pediatria e neonatologia, impegnati per un periodo di sei mesi in attività cliniche e accademiche. Ancora una volta questo percorso testimonia la volontà comune di rispondere ad uno dei grandi problemi che affliggono i sistemi sanitari di molti paesi dell’Africa sub-sahariana e che riguarda la salute e il benessere di bambini e neonati, sempre al centro del nostro impegno.»

La mortalità pediatrica e neonatale in Mozambico rimane inaccettabile e ancora oggi rappresenta il 46% delle mortalità nei bambini sotto i 5 anni di età. «Le iniziative sulla prevenzione della mortalità in queste categorie di pazienti sono numerose, è vero, ma la parte emergenziale è troppo spesso trascurata, eppure sono proprio i colleghi africani a denunciare un urgente bisogno di intervento. Ecco perché siamo qui, forte della lunga collaborazione che abbiamo instaurato attraverso il Cuamm e vogliamo impegnarci in questa nuova sfida» commenta Daniele Trevisanuto, professore neonatologo dell’Università di Padova e referente del programma.

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Prende il via a Maputo, capitale del Mozambico, una nuova proposta formativa di livello superiore per giovani pediatri e neonatologi locali. È il frutto di una collaborazione tra l’Università di Padova, l’Università Eduardo Mondlane di Maputo, l’Università Cattolica del Mozambico di Beira e Medici con l’Africa Cuamm, che gode del sostegno del Miur.

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Il programma figura come il primo ed unico percorso di alta formazione rivolto in Mozambico a professionisti sanitari: medici, ma anche infermieri che hanno ora la possibilità di specializzarsi nelle emergenze pediatriche e neonatali.

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«Aver realizzato questo corso di alta formazione è un onore per la nostra Università che proprio quest’anno si accinge a celebrare i suoi 800 anni – sottolinea Liviana Da Dalt, professoressa nel Dipartimento di Salute della Donna e del Bambino dell’Università di Padova –. Con questa collaborazione rinnoviamo dunque l’impegno nell’internazionalizzazione e nella collaborazione internazionale, due capisaldi per la nostra istituzione. Grazie al coinvolgimento di Medici con l’Africa Cuamm, da sempre ponte tra la nostra realtà accademica e il Mozambico, abbiamo infatti avviato nel 2006 una collaborazione con la Facoltà di Medicina dell’Università Cattolica di Beira che ogni anno accoglie specializzandi in pediatria e neonatologia, impegnati per un periodo di sei mesi in attività cliniche e accademiche. Ancora una volta questo percorso testimonia la volontà comune di rispondere ad uno dei grandi problemi che affliggono i sistemi sanitari di molti paesi dell’Africa sub-sahariana e che riguarda la salute e il benessere di bambini e neonati, sempre al centro del nostro impegno.»

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Esito premio Menossi

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BERT BLAAUW E VANINA ROMANELLO (VIMM E UNIVERSITÀ DI PADOVA) FINANZIATI DA AFM TELETHON PER LA RICERCA SUL MUSCOLO SCHELETRICO

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MAGIA E SCIENZA AL MUSEO DI GEOGRAFIA DELL’UNIVERSITÀ DI PADOVA. Sabato 5 e domenica 6 novembre un evento su Halloween a tema Harry Potter

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Bert Blaauw e Vanina Romanello finanziati da Afm Telethon per la ricerca sul muscolo scheletrico

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Due ricercatori del Veneto Institute of Molecular Medicine (VIMM) e dell’Università degli Studi di Padova - Bert Blaauw e Vanina Romanello - sono stati selezionati dalla Association Francaise contre les Myopathies AFM Telethon, tra i vincitori della call annuale per il finanziamento di ricerche nel campo delle malattie rare e neuromuscolari.

I grant, che prevedono la possibilità di rinnovo su base annuale per un massimo di 3 anni, permetteranno ai due ricercatori di approfondire rispettivamente la conoscenza delle proteine muscolari - e le loro interazioni con il resto dell’organismo - e lo studio dei perossisomi, organelli con una funzione attualmente sconosciuta nel muscolo scheletrico.

In particolare, la ricerca di Bert Blaauw, Principal Investigator del VIMM e professore dell’Università di Padova, si intitola “Identification of muscle-specific factors involved in NMJ maintenance and their regulation by Mtorc1” e avrà l’obiettivo di studiare in che modo una proteina muscolare, chiamata mTOR, possa mantenere intatta la comunicazione tra il nervo e il muscolo.

“The in vivo role of peroxisomes in the control of muscle function” è invece il titolo della ricerca di Vanina Romanello, ricercatrice del VIMM e membro del Dipartimento di Scienze biomediche dell’Università di Padova, mirata ad approfondire lo studio dei perossisomi, andando ad investigare il loro ruolo nel controllo delle funzioni muscolari e nei fenomeni di obesità.

“L’attivazione dell’anabolismo del muscolo scheletrico, ovvero degli stimoli che arrivano per esempio dall’esercizio fisico, non è importate solo per stimolare la crescita e la funzione muscolare, ma anche per mantenere intatta la connessione nervo-muscolo” ha sottolineato Bert Blaauw. “Lo scopo di questo progetto, grazie alle tecnologie sofisticate di cui potremo avvalerci, è indagare il meccanismo alla base di questa connessione, identificando nuove strade terapeutiche per mantenere sana l’interazione nervo-muscolo durante l’invecchiamento o in alcune malattie neurodegenerative.”

“Il sostegno alla nostra attività da parte di realtà importanti e internazionali come AFM Telethon è fondamentale per migliorare non solo l’orizzonte e lo scopo, ma anche la qualità dei progetti di ricerca” ha aggiunto Francesco Pagano, presidente della Fondazione per la Ricerca Biomedica Avanzata. “Il nostro rapporto pluriennale con l’Association Francaise contre les Myopathies ci ha permesso di raggiungere grandi risultati nella ricerca sul muscolo e sulle sue funzioni, contribuendo a far diventare questo filone di ricerca uno dei più importanti tra quelli che approfondiamo al VIMM”.

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I grant, che prevedono la possibilità di rinnovo su base annuale per un massimo di 3 anni, permetteranno ai due ricercatori di approfondire rispettivamente la conoscenza delle proteine muscolari - e le loro interazioni con il resto dell’organismo - e lo studio dei perossisomi, organelli con una funzione attualmente sconosciuta nel muscolo scheletrico.

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“The in vivo role of peroxisomes in the control of muscle function” è invece il titolo della ricerca di Vanina Romanello, ricercatrice del VIMM e membro del Dipartimento di Scienze biomediche dell’Università di Padova, mirata ad approfondire lo studio dei perossisomi, andando ad investigare il loro ruolo nel controllo delle funzioni muscolari e nei fenomeni di obesità.

“L’attivazione dell’anabolismo del muscolo scheletrico, ovvero degli stimoli che arrivano per esempio dall’esercizio fisico, non è importate solo per stimolare la crescita e la funzione muscolare, ma anche per mantenere intatta la connessione nervo-muscolo” ha sottolineato Bert Blaauw. “Lo scopo di questo progetto, grazie alle tecnologie sofisticate di cui potremo avvalerci, è indagare il meccanismo alla base di questa connessione, identificando nuove strade terapeutiche per mantenere sana l’interazione nervo-muscolo durante l’invecchiamento o in alcune malattie neurodegenerative.”

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I grant, che prevedono la possibilità di rinnovo su base annuale per un massimo di 3 anni, permetteranno ai due ricercatori di approfondire rispettivamente la conoscenza delle proteine muscolari - e le loro interazioni con il resto dell’organismo - e lo studio dei perossisomi, organelli con una funzione attualmente sconosciuta nel muscolo scheletrico.

In particolare, la ricerca di Bert Blaauw, Principal Investigator del VIMM e professore dell’Università di Padova, si intitola “Identification of muscle-specific factors involved in NMJ maintenance and their regulation by Mtorc1” e avrà l’obiettivo di studiare in che modo una proteina muscolare, chiamata mTOR, possa mantenere intatta la comunicazione tra il nervo e il muscolo.

“The in vivo role of peroxisomes in the control of muscle function” è invece il titolo della ricerca di Vanina Romanello, ricercatrice del VIMM e membro del Dipartimento di Scienze biomediche dell’Università di Padova, mirata ad approfondire lo studio dei perossisomi, andando ad investigare il loro ruolo nel controllo delle funzioni muscolari e nei fenomeni di obesità.

“L’attivazione dell’anabolismo del muscolo scheletrico, ovvero degli stimoli che arrivano per esempio dall’esercizio fisico, non è importate solo per stimolare la crescita e la funzione muscolare, ma anche per mantenere intatta la connessione nervo-muscolo” ha sottolineato Bert Blaauw. “Lo scopo di questo progetto, grazie alle tecnologie sofisticate di cui potremo avvalerci, è indagare il meccanismo alla base di questa connessione, identificando nuove strade terapeutiche per mantenere sana l’interazione nervo-muscolo durante l’invecchiamento o in alcune malattie neurodegenerative.”

“Il sostegno alla nostra attività da parte di realtà importanti e internazionali come AFM Telethon è fondamentale per migliorare non solo l’orizzonte e lo scopo, ma anche la qualità dei progetti di ricerca” ha aggiunto Francesco Pagano, presidente della Fondazione per la Ricerca Biomedica Avanzata. “Il nostro rapporto pluriennale con l’Association Francaise contre les Myopathies ci ha permesso di raggiungere grandi risultati nella ricerca sul muscolo e sulle sue funzioni, contribuendo a far diventare questo filone di ricerca uno dei più importanti tra quelli che approfondiamo al VIMM”.

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Due ricercatori del Veneto Institute of Molecular Medicine (VIMM) e dell’Università degli Studi di Padova - Bert Blaauw e Vanina Romanello - sono stati selezionati dalla Association Francaise contre les Myopathies AFM Telethon, tra i vincitori della call annuale per il finanziamento di ricerche nel campo delle malattie rare e neuromuscolari.

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Myocarditis, the work of the pathologist and cardiologist from the University of Padua Hospital, Cristina Basso is published in the New England Journal of Medicine.

Basso’s work addresses the medical community on the topic of myocarditis, an inflammatory disease of the heart muscle that can have different origins and can lead to very variable clinical consequences, from asymptomatic pictures to severe heart failure or arrhythmias up to sudden death.

Until now, endomyocardial biopsy has been the standard method of diagnosing myocarditis, but over the past two decades, the diagnostic workup has changed with the introduction of new tools. Now, highly sensitive troponin and cardiac magnetic resonance imaging in routine clinical practice is used in combination with symptoms and signs, laboratory testing, and imaging studies to establish the diagnosis without resorting to invasive biopsy.

Dr Basso explains, “To ensure a proper diagnosis it is necessary to perform a heart biopsy, which is a fairly invasive procedure for a patient. However, we have seen that by using state-of-the-art magnetic resonance techniques we can see tissue formation that allows us to make an initial diagnosis of the presence of myocardium inflammation.  If the patient reports significant symptoms along with a clinical picture that leads to suspected serious consequences, it becomes necessary to perform a heart biopsy.  This step is necessary to initiate a therapy aimed at the cause of myocarditis that is no longer purely symptomatic. The biopsy, carried out with the most advanced molecular techniques, thus allows us to identify the presence of possible infectious agents that may have triggered myocarditis to implement the treatment deemed most effective."

For years, the Cardiovascular Pathology Unit of the University Hospital of Padua has been the regional and national "hub" for the anatomopathological study of heart disease. In particular, the complex performs cardiac biopsies to determine cardiac surgical needs, as demonstrated by the numerous original scientific publications on the subject.

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Myocarditis, the work of the pathologist and cardiologist from the University of Padua Hospital, Cristina Basso is published in the New England Journal of Medicine.

Basso’s work addresses the medical community on the topic of myocarditis, an inflammatory disease of the heart muscle that can have different origins and can lead to very variable clinical consequences, from asymptomatic pictures to severe heart failure or arrhythmias up to sudden death.

Until now, endomyocardial biopsy has been the standard method of diagnosing myocarditis, but over the past two decades, the diagnostic workup has changed with the introduction of new tools. Now, highly sensitive troponin and cardiac magnetic resonance imaging in routine clinical practice is used in combination with symptoms and signs, laboratory testing, and imaging studies to establish the diagnosis without resorting to invasive biopsy.

Dr Basso explains, “To ensure a proper diagnosis it is necessary to perform a heart biopsy, which is a fairly invasive procedure for a patient. However, we have seen that by using state-of-the-art magnetic resonance techniques we can see tissue formation that allows us to make an initial diagnosis of the presence of myocardium inflammation.  If the patient reports significant symptoms along with a clinical picture that leads to suspected serious consequences, it becomes necessary to perform a heart biopsy.  This step is necessary to initiate a therapy aimed at the cause of myocarditis that is no longer purely symptomatic. The biopsy, carried out with the most advanced molecular techniques, thus allows us to identify the presence of possible infectious agents that may have triggered myocarditis to implement the treatment deemed most effective."

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Myocarditis, the work of the pathologist and cardiologist from the University of Padua Hospital, Cristina Basso is published in the New England Journal of Medicine.

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Until now, endomyocardial biopsy has been the standard method of diagnosing myocarditis, but over the past two decades, the diagnostic workup has changed with the introduction of new tools. Now, highly sensitive troponin and cardiac magnetic resonance imaging in routine clinical practice is used in combination with symptoms and signs, laboratory testing, and imaging studies to establish the diagnosis without resorting to invasive biopsy.

Dr Basso explains, “To ensure a proper diagnosis it is necessary to perform a heart biopsy, which is a fairly invasive procedure for a patient. However, we have seen that by using state-of-the-art magnetic resonance techniques we can see tissue formation that allows us to make an initial diagnosis of the presence of myocardium inflammation.  If the patient reports significant symptoms along with a clinical picture that leads to suspected serious consequences, it becomes necessary to perform a heart biopsy.  This step is necessary to initiate a therapy aimed at the cause of myocarditis that is no longer purely symptomatic. The biopsy, carried out with the most advanced molecular techniques, thus allows us to identify the presence of possible infectious agents that may have triggered myocarditis to implement the treatment deemed most effective."

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Myocarditis, the work of the pathologist and cardiologist from the University of Padua Hospital, Cristina Basso is published in the New England Journal of Medicine.

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Until now, endomyocardial biopsy has been the standard method of diagnosing myocarditis, but over the past two decades, the diagnostic workup has changed with the introduction of new tools. Now, highly sensitive troponin and cardiac magnetic resonance imaging in routine clinical practice is used in combination with symptoms and signs, laboratory testing, and imaging studies to establish the diagnosis without resorting to invasive biopsy.

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Myocarditis, the work of the pathologist and cardiologist from the University of Padua Hospital, Cristina Basso is published in the New England Journal of Medicine.

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For years, the Cardiovascular Pathology Unit of the University Hospital of Padua has been the regional and national "hub" for the anatomopathological study of heart disease. In particular, the complex performs cardiac biopsies to determine cardiac surgical needs, as demonstrated by the numerous original scientific publications on the subject.

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2022RUB03 - Allegato 34 - DR nomina Commissione

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2022PA244 Allegato 1 - DR nomina Commissione

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