È stata inaugurata oggi a Pompei, con una cerimonia a cui hanno preso parte Daniela Mapelli, rettrice dell'Università di Padova e Monica Salvadori, curatrice della mostra e prorettrice con delega al Patrimonio artistico, storico e culturale di Ateneo, l'esposizione Essere donna nell'antica Pompei, aperta al pubblico fino al 31 gennaio 2026 presso la Palestra grande degli scavi (Pompei).

La scoperta delle condizioni in cui vivevano donne e bambine, dei numerosi aspetti della vita quotidiana e della posizione che occupavano nella casa, nella società romana e in una città come Pompei, è il filo conduttore dell'esposizione curata dalle docenti del Dipartimento dei Beni culturali dell'Università di Padova, Francesca Ghedini e Monica Salvadori, in collaborazione con le università di Salerno e Verona.

Un percorso di 8 sezioni nel quale, attraverso affreschi, ritratti privati e funerari, graffiti, iscrizioni e oggetti d’uso comune, vengono documentate le diverse categorie femminili, matrone, liberte, schiave, nelle varie fasi della vita, nascita, infanzia, matrimonio, maternità, morte, e nei diversi ruoli che svolgevano all'interno della società, dalle attività di grande rilievo sociale, economico, religioso, in cui erano impegnate le matrone di alto lignaggio e le liberte arricchite, ai mestieri di ogni genere esercitati da libere e schiave (filatrici e tessitrici, ostesse, venditrici, panificatrici, mediche, fattucchiere, prostitute ecc.).

Le prime sale, anche attraverso nomi e volti, raccontano gli aspetti principali della vita privata delle matrone.
Nel percorso espositivo, ampio spazio è riservato anche alla vita pubblica e lavorativa delle donne, mentre le ultime tracce del loro passaggio nella vita terrena si colgono nelle necropoli, dove monumenti funerari, iscrizioni e corredi restituiscono il ricordo di alcune di loro.

Il percorso si chiude con un salto nella contemporaneità che, da un lato presenta i profili di alcune figure di donne che hanno dato il loro contributo alla scoperta e alla conoscenza di Pompei (Carolina Bonaparte, Wilhelmina Jashemski, Tatiana Warsher, Olga Elia), dall’altro offre a visitatrici e visitatori una selezione di spezzoni cinematografici dedicati all’immagine femminile, tratti dal grande cinema d'ambientazione ispirato all'antichità romana e in particolare a Pompei. 

A far da cornice alla mostra, il Parco Archeologico di Pompei, all’interno del quale il percorso espositivo si collega a una serie di edifici significativi. Collegamenti che, creando un’esperienza ancor più immersiva e interattiva per chi lo visita, aiutano a comprendere in modo più chiaro la condizione femminile anche all’interno dello stesso sito archeologico.
L’esperienza immersiva si completa, infine, con la possibilità di ascoltare alcuni podcast tematici disponibili sull’app MyPompeii, che raccontano le storie di otto donne realmente vissute nella città campana.

Essere donna nell'antica Pompei rappresenta un’esperienza culturale completa, che unisce passato e presente in una riflessione critica sul ruolo delle donne, proponendo strumenti di comprensione non solo storica, ma anche attuale.

È stata inaugurata oggi a Pompei, con una cerimonia a cui hanno preso parte Daniela Mapelli, rettrice dell'Università di Padova e Monica Salvadori, curatrice della mostra e prorettrice con delega al Patrimonio artistico, storico e culturale di Ateneo, l'esposizione Essere donna nell'antica Pompei, aperta al pubblico fino al 31 gennaio 2026 presso la Palestra grande degli scavi (Pompei).

La scoperta delle condizioni in cui vivevano donne e bambine, dei numerosi aspetti della vita quotidiana e della posizione che occupavano nella casa, nella società romana e in una città come Pompei, è il filo conduttore dell'esposizione curata dalle docenti del Dipartimento dei Beni culturali dell'Università di Padova, Francesca Ghedini e Monica Salvadori, in collaborazione con le università di Salerno e Verona.

Un percorso di 8 sezioni nel quale, attraverso affreschi, ritratti privati e funerari, graffiti, iscrizioni e oggetti d’uso comune, vengono documentate le diverse categorie femminili, matrone, liberte, schiave, nelle varie fasi della vita, nascita, infanzia, matrimonio, maternità, morte, e nei diversi ruoli che svolgevano all'interno della società, dalle attività di grande rilievo sociale, economico, religioso, in cui erano impegnate le matrone di alto lignaggio e le liberte arricchite, ai mestieri di ogni genere esercitati da libere e schiave (filatrici e tessitrici, ostesse, venditrici, panificatrici, mediche, fattucchiere, prostitute ecc.).

Le prime sale, anche attraverso nomi e volti, raccontano gli aspetti principali della vita privata delle matrone.
Nel percorso espositivo, ampio spazio è riservato anche alla vita pubblica e lavorativa delle donne, mentre le ultime tracce del loro passaggio nella vita terrena si colgono nelle necropoli, dove monumenti funerari, iscrizioni e corredi restituiscono il ricordo di alcune di loro.

Il percorso si chiude con un salto nella contemporaneità che, da un lato presenta i profili di alcune figure di donne che hanno dato il loro contributo alla scoperta e alla conoscenza di Pompei (Carolina Bonaparte, Wilhelmina Jashemski, Tatiana Warsher, Olga Elia), dall’altro offre a visitatrici e visitatori una selezione di spezzoni cinematografici dedicati all’immagine femminile, tratti dal grande cinema d'ambientazione ispirato all'antichità romana e in particolare a Pompei. 

A far da cornice alla mostra, il Parco Archeologico di Pompei, all’interno del quale il percorso espositivo si collega a una serie di edifici significativi. Collegamenti che, creando un’esperienza ancor più immersiva e interattiva per chi lo visita, aiutano a comprendere in modo più chiaro la condizione femminile anche all’interno dello stesso sito archeologico.
L’esperienza immersiva si completa, infine, con la possibilità di ascoltare alcuni podcast tematici disponibili sull’app MyPompeii, che raccontano le storie di otto donne realmente vissute nella città campana.

Essere donna nell'antica Pompei rappresenta un’esperienza culturale completa, che unisce passato e presente in una riflessione critica sul ruolo delle donne, proponendo strumenti di comprensione non solo storica, ma anche attuale.

È stata inaugurata oggi a Pompei, con una cerimonia a cui hanno preso parte Daniela Mapelli, rettrice dell'Università di Padova e Monica Salvadori, curatrice della mostra e prorettrice con delega al Patrimonio artistico, storico e culturale di Ateneo, l'esposizione Essere donna nell'antica Pompei, aperta al pubblico fino al 31 gennaio 2026 presso la Palestra grande degli scavi (Pompei).

La scoperta delle condizioni in cui vivevano donne e bambine, dei numerosi aspetti della vita quotidiana e della posizione che occupavano nella casa, nella società romana e in una città come Pompei, è il filo conduttore dell'esposizione curata dalle docenti del Dipartimento dei Beni culturali dell'Università di Padova, Francesca Ghedini e Monica Salvadori, in collaborazione con le università di Salerno e Verona.

Un percorso di 8 sezioni nel quale, attraverso affreschi, ritratti privati e funerari, graffiti, iscrizioni e oggetti d’uso comune, vengono documentate le diverse categorie femminili, matrone, liberte, schiave, nelle varie fasi della vita, nascita, infanzia, matrimonio, maternità, morte, e nei diversi ruoli che svolgevano all'interno della società, dalle attività di grande rilievo sociale, economico, religioso, in cui erano impegnate le matrone di alto lignaggio e le liberte arricchite, ai mestieri di ogni genere esercitati da libere e schiave (filatrici e tessitrici, ostesse, venditrici, panificatrici, mediche, fattucchiere, prostitute ecc.).

Le prime sale, anche attraverso nomi e volti, raccontano gli aspetti principali della vita privata delle matrone.
Nel percorso espositivo, ampio spazio è riservato anche alla vita pubblica e lavorativa delle donne, mentre le ultime tracce del loro passaggio nella vita terrena si colgono nelle necropoli, dove monumenti funerari, iscrizioni e corredi restituiscono il ricordo di alcune di loro.

Il percorso si chiude con un salto nella contemporaneità che, da un lato presenta i profili di alcune figure di donne che hanno dato il loro contributo alla scoperta e alla conoscenza di Pompei (Carolina Bonaparte, Wilhelmina Jashemski, Tatiana Warsher, Olga Elia), dall’altro offre a visitatrici e visitatori una selezione di spezzoni cinematografici dedicati all’immagine femminile, tratti dal grande cinema d'ambientazione ispirato all'antichità romana e in particolare a Pompei. 

A far da cornice alla mostra, il Parco Archeologico di Pompei, all’interno del quale il percorso espositivo si collega a una serie di edifici significativi. Collegamenti che, creando un’esperienza ancor più immersiva e interattiva per chi lo visita, aiutano a comprendere in modo più chiaro la condizione femminile anche all’interno dello stesso sito archeologico.
L’esperienza immersiva si completa, infine, con la possibilità di ascoltare alcuni podcast tematici disponibili sull’app MyPompeii, che raccontano le storie di otto donne realmente vissute nella città campana.

Essere donna nell'antica Pompei rappresenta un’esperienza culturale completa, che unisce passato e presente in una riflessione critica sul ruolo delle donne, proponendo strumenti di comprensione non solo storica, ma anche attuale.

È stata inaugurata oggi a Pompei, con una cerimonia a cui hanno preso parte Daniela Mapelli, rettrice dell'Università di Padova e Monica Salvadori, curatrice della mostra e prorettrice con delega al Patrimonio artistico, storico e culturale di Ateneo, l'esposizione Essere donna nell'antica Pompei, aperta al pubblico fino al 31 gennaio 2026 presso la Palestra grande degli scavi (Pompei).

La scoperta delle condizioni in cui vivevano donne e bambine, dei numerosi aspetti della vita quotidiana e della posizione che occupavano nella casa, nella società romana e in una città come Pompei, è il filo conduttore dell'esposizione curata dalle docenti del Dipartimento dei Beni culturali dell'Università di Padova, Francesca Ghedini e Monica Salvadori, in collaborazione con le università di Salerno e Verona.

Un percorso di 8 sezioni nel quale, attraverso affreschi, ritratti privati e funerari, graffiti, iscrizioni e oggetti d’uso comune, vengono documentate le diverse categorie femminili, matrone, liberte, schiave, nelle varie fasi della vita, nascita, infanzia, matrimonio, maternità, morte, e nei diversi ruoli che svolgevano all'interno della società, dalle attività di grande rilievo sociale, economico, religioso, in cui erano impegnate le matrone di alto lignaggio e le liberte arricchite, ai mestieri di ogni genere esercitati da libere e schiave (filatrici e tessitrici, ostesse, venditrici, panificatrici, mediche, fattucchiere, prostitute ecc.).

Le prime sale, anche attraverso nomi e volti, raccontano gli aspetti principali della vita privata delle matrone.
Nel percorso espositivo, ampio spazio è riservato anche alla vita pubblica e lavorativa delle donne, mentre le ultime tracce del loro passaggio nella vita terrena si colgono nelle necropoli, dove monumenti funerari, iscrizioni e corredi restituiscono il ricordo di alcune di loro.

Il percorso si chiude con un salto nella contemporaneità che, da un lato presenta i profili di alcune figure di donne che hanno dato il loro contributo alla scoperta e alla conoscenza di Pompei (Carolina Bonaparte, Wilhelmina Jashemski, Tatiana Warsher, Olga Elia), dall’altro offre a visitatrici e visitatori una selezione di spezzoni cinematografici dedicati all’immagine femminile, tratti dal grande cinema d'ambientazione ispirato all'antichità romana e in particolare a Pompei. 

A far da cornice alla mostra, il Parco Archeologico di Pompei, all’interno del quale il percorso espositivo si collega a una serie di edifici significativi. Collegamenti che, creando un’esperienza ancor più immersiva e interattiva per chi lo visita, aiutano a comprendere in modo più chiaro la condizione femminile anche all’interno dello stesso sito archeologico.
L’esperienza immersiva si completa, infine, con la possibilità di ascoltare alcuni podcast tematici disponibili sull’app MyPompeii, che raccontano le storie di otto donne realmente vissute nella città campana.

Essere donna nell'antica Pompei rappresenta un’esperienza culturale completa, che unisce passato e presente in una riflessione critica sul ruolo delle donne, proponendo strumenti di comprensione non solo storica, ma anche attuale.

È stata inaugurata oggi a Pompei, con una cerimonia a cui hanno preso parte Daniela Mapelli, rettrice dell'Università di Padova e Monica Salvadori, curatrice della mostra e prorettrice con delega al Patrimonio artistico, storico e culturale di Ateneo, l'esposizione Essere donna nell'antica Pompei, aperta al pubblico fino al 31 gennaio 2026 presso la Palestra grande degli scavi (Pompei).

È stata inaugurata oggi a Pompei, con una cerimonia a cui hanno preso parte Daniela Mapelli, rettrice dell'Università di Padova e Monica Salvadori, curatrice della mostra e prorettrice con delega al Patrimonio artistico, storico e culturale di Ateneo, l'esposizione Essere donna nell'antica Pompei, aperta al pubblico fino al 31 gennaio 2026 presso la Palestra grande degli scavi (Pompei).

La scoperta delle condizioni in cui vivevano donne e bambine, dei numerosi aspetti della vita quotidiana e della posizione che occupavano nella casa, nella società romana e in una città come Pompei, è il filo conduttore dell'esposizione curata dalle docenti del Dipartimento dei Beni culturali dell'Università di Padova, Francesca Ghedini e Monica Salvadori, in collaborazione con le università di Salerno e Verona.

Un percorso di 8 sezioni nel quale, attraverso affreschi, ritratti privati e funerari, graffiti, iscrizioni e oggetti d’uso comune, vengono documentate le diverse categorie femminili, matrone, liberte, schiave, nelle varie fasi della vita, nascita, infanzia, matrimonio, maternità, morte, e nei diversi ruoli che svolgevano all'interno della società, dalle attività di grande rilievo sociale, economico, religioso, in cui erano impegnate le matrone di alto lignaggio e le liberte arricchite, ai mestieri di ogni genere esercitati da libere e schiave (filatrici e tessitrici, ostesse, venditrici, panificatrici, mediche, fattucchiere, prostitute ecc.).

Le prime sale, anche attraverso nomi e volti, raccontano gli aspetti principali della vita privata delle matrone.
Nel percorso espositivo, ampio spazio è riservato anche alla vita pubblica e lavorativa delle donne, mentre le ultime tracce del loro passaggio nella vita terrena si colgono nelle necropoli, dove monumenti funerari, iscrizioni e corredi restituiscono il ricordo di alcune di loro.

Il percorso si chiude con un salto nella contemporaneità che, da un lato presenta i profili di alcune figure di donne che hanno dato il loro contributo alla scoperta e alla conoscenza di Pompei (Carolina Bonaparte, Wilhelmina Jashemski, Tatiana Warsher, Olga Elia), dall’altro offre a visitatrici e visitatori una selezione di spezzoni cinematografici dedicati all’immagine femminile, tratti dal grande cinema d'ambientazione ispirato all'antichità romana e in particolare a Pompei. 

A far da cornice alla mostra, il Parco Archeologico di Pompei, all’interno del quale il percorso espositivo si collega a una serie di edifici significativi. Collegamenti che, creando un’esperienza ancor più immersiva e interattiva per chi lo visita, aiutano a comprendere in modo più chiaro la condizione femminile anche all’interno dello stesso sito archeologico.
L’esperienza immersiva si completa, infine, con la possibilità di ascoltare alcuni podcast tematici disponibili sull’app MyPompeii, che raccontano le storie di otto donne realmente vissute nella città campana.

Essere donna nell'antica Pompei rappresenta un’esperienza culturale completa, che unisce passato e presente in una riflessione critica sul ruolo delle donne, proponendo strumenti di comprensione non solo storica, ma anche attuale.

È stata inaugurata oggi a Pompei, con una cerimonia a cui hanno preso parte Daniela Mapelli, rettrice dell'Università di Padova e Monica Salvadori, curatrice della mostra e prorettrice con delega al Patrimonio artistico, storico e culturale di Ateneo, l'esposizione Essere donna nell'antica Pompei, aperta al pubblico fino al 31 gennaio 2026 presso la Palestra grande degli scavi (Pompei).

La scoperta delle condizioni in cui vivevano donne e bambine, dei numerosi aspetti della vita quotidiana e della posizione che occupavano nella casa, nella società romana e in una città come Pompei, è il filo conduttore dell'esposizione curata dalle docenti del Dipartimento dei Beni culturali dell'Università di Padova, Francesca Ghedini e Monica Salvadori, in collaborazione con le università di Salerno e Verona.

Un percorso di 8 sezioni nel quale, attraverso affreschi, ritratti privati e funerari, graffiti, iscrizioni e oggetti d’uso comune, vengono documentate le diverse categorie femminili, matrone, liberte, schiave, nelle varie fasi della vita, nascita, infanzia, matrimonio, maternità, morte, e nei diversi ruoli che svolgevano all'interno della società, dalle attività di grande rilievo sociale, economico, religioso, in cui erano impegnate le matrone di alto lignaggio e le liberte arricchite, ai mestieri di ogni genere esercitati da libere e schiave (filatrici e tessitrici, ostesse, venditrici, panificatrici, mediche, fattucchiere, prostitute ecc.).

Le prime sale, anche attraverso nomi e volti, raccontano gli aspetti principali della vita privata delle matrone.
Nel percorso espositivo, ampio spazio è riservato anche alla vita pubblica e lavorativa delle donne, mentre le ultime tracce del loro passaggio nella vita terrena si colgono nelle necropoli, dove monumenti funerari, iscrizioni e corredi restituiscono il ricordo di alcune di loro.

Il percorso si chiude con un salto nella contemporaneità che, da un lato presenta i profili di alcune figure di donne che hanno dato il loro contributo alla scoperta e alla conoscenza di Pompei (Carolina Bonaparte, Wilhelmina Jashemski, Tatiana Warsher, Olga Elia), dall’altro offre a visitatrici e visitatori una selezione di spezzoni cinematografici dedicati all’immagine femminile, tratti dal grande cinema d'ambientazione ispirato all'antichità romana e in particolare a Pompei. 

A far da cornice alla mostra, il Parco Archeologico di Pompei, all’interno del quale il percorso espositivo si collega a una serie di edifici significativi. Collegamenti che, creando un’esperienza ancor più immersiva e interattiva per chi lo visita, aiutano a comprendere in modo più chiaro la condizione femminile anche all’interno dello stesso sito archeologico.
L’esperienza immersiva si completa, infine, con la possibilità di ascoltare alcuni podcast tematici disponibili sull’app MyPompeii, che raccontano le storie di otto donne realmente vissute nella città campana.

Essere donna nell'antica Pompei rappresenta un’esperienza culturale completa, che unisce passato e presente in una riflessione critica sul ruolo delle donne, proponendo strumenti di comprensione non solo storica, ma anche attuale.

È stata inaugurata oggi a Pompei, con una cerimonia a cui hanno preso parte Daniela Mapelli, rettrice dell'Università di Padova e Monica Salvadori, curatrice della mostra e prorettrice con delega al Patrimonio artistico, storico e culturale di Ateneo, l'esposizione Essere donna nell'antica Pompei, aperta al pubblico fino al 31 gennaio 2026 presso la Palestra grande degli scavi (Pompei).

La scoperta delle condizioni in cui vivevano donne e bambine, dei numerosi aspetti della vita quotidiana e della posizione che occupavano nella casa, nella società romana e in una città come Pompei, è il filo conduttore dell'esposizione curata dalle docenti del Dipartimento dei Beni culturali dell'Università di Padova, Francesca Ghedini e Monica Salvadori, in collaborazione con le università di Salerno e Verona.

Un percorso di 8 sezioni nel quale, attraverso affreschi, ritratti privati e funerari, graffiti, iscrizioni e oggetti d’uso comune, vengono documentate le diverse categorie femminili, matrone, liberte, schiave, nelle varie fasi della vita, nascita, infanzia, matrimonio, maternità, morte, e nei diversi ruoli che svolgevano all'interno della società, dalle attività di grande rilievo sociale, economico, religioso, in cui erano impegnate le matrone di alto lignaggio e le liberte arricchite, ai mestieri di ogni genere esercitati da libere e schiave (filatrici e tessitrici, ostesse, venditrici, panificatrici, mediche, fattucchiere, prostitute ecc.).

Le prime sale, anche attraverso nomi e volti, raccontano gli aspetti principali della vita privata delle matrone.
Nel percorso espositivo, ampio spazio è riservato anche alla vita pubblica e lavorativa delle donne, mentre le ultime tracce del loro passaggio nella vita terrena si colgono nelle necropoli, dove monumenti funerari, iscrizioni e corredi restituiscono il ricordo di alcune di loro.

Il percorso si chiude con un salto nella contemporaneità che, da un lato presenta i profili di alcune figure di donne che hanno dato il loro contributo alla scoperta e alla conoscenza di Pompei (Carolina Bonaparte, Wilhelmina Jashemski, Tatiana Warsher, Olga Elia), dall’altro offre a visitatrici e visitatori una selezione di spezzoni cinematografici dedicati all’immagine femminile, tratti dal grande cinema d'ambientazione ispirato all'antichità romana e in particolare a Pompei. 

A far da cornice alla mostra, il Parco Archeologico di Pompei, all’interno del quale il percorso espositivo si collega a una serie di edifici significativi. Collegamenti che, creando un’esperienza ancor più immersiva e interattiva per chi lo visita, aiutano a comprendere in modo più chiaro la condizione femminile anche all’interno dello stesso sito archeologico.
L’esperienza immersiva si completa, infine, con la possibilità di ascoltare alcuni podcast tematici disponibili sull’app MyPompeii, che raccontano le storie di otto donne realmente vissute nella città campana.

Essere donna nell'antica Pompei rappresenta un’esperienza culturale completa, che unisce passato e presente in una riflessione critica sul ruolo delle donne, proponendo strumenti di comprensione non solo storica, ma anche attuale.

È stata inaugurata oggi a Pompei, con una cerimonia a cui hanno preso parte Daniela Mapelli, rettrice dell'Università di Padova e Monica Salvadori, curatrice della mostra e prorettrice con delega al Patrimonio artistico, storico e culturale di Ateneo, l'esposizione Essere donna nell'antica Pompei, aperta al pubblico fino al 31 gennaio 2026 presso la Palestra grande degli scavi (Pompei).

La scoperta delle condizioni in cui vivevano donne e bambine, dei numerosi aspetti della vita quotidiana e della posizione che occupavano nella casa, nella società romana e in una città come Pompei, è il filo conduttore dell'esposizione curata dalle docenti del Dipartimento dei Beni culturali dell'Università di Padova, Francesca Ghedini e Monica Salvadori, in collaborazione con le università di Salerno e Verona.

Un percorso di 8 sezioni nel quale, attraverso affreschi, ritratti privati e funerari, graffiti, iscrizioni e oggetti d’uso comune, vengono documentate le diverse categorie femminili, matrone, liberte, schiave, nelle varie fasi della vita, nascita, infanzia, matrimonio, maternità, morte, e nei diversi ruoli che svolgevano all'interno della società, dalle attività di grande rilievo sociale, economico, religioso, in cui erano impegnate le matrone di alto lignaggio e le liberte arricchite, ai mestieri di ogni genere esercitati da libere e schiave (filatrici e tessitrici, ostesse, venditrici, panificatrici, mediche, fattucchiere, prostitute ecc.).

Le prime sale, anche attraverso nomi e volti, raccontano gli aspetti principali della vita privata delle matrone.
Nel percorso espositivo, ampio spazio è riservato anche alla vita pubblica e lavorativa delle donne, mentre le ultime tracce del loro passaggio nella vita terrena si colgono nelle necropoli, dove monumenti funerari, iscrizioni e corredi restituiscono il ricordo di alcune di loro.

Il percorso si chiude con un salto nella contemporaneità che, da un lato presenta i profili di alcune figure di donne che hanno dato il loro contributo alla scoperta e alla conoscenza di Pompei (Carolina Bonaparte, Wilhelmina Jashemski, Tatiana Warsher, Olga Elia), dall’altro offre a visitatrici e visitatori una selezione di spezzoni cinematografici dedicati all’immagine femminile, tratti dal grande cinema d'ambientazione ispirato all'antichità romana e in particolare a Pompei. 

A far da cornice alla mostra, il Parco Archeologico di Pompei, all’interno del quale il percorso espositivo si collega a una serie di edifici significativi. Collegamenti che, creando un’esperienza ancor più immersiva e interattiva per chi lo visita, aiutano a comprendere in modo più chiaro la condizione femminile anche all’interno dello stesso sito archeologico.
L’esperienza immersiva si completa, infine, con la possibilità di ascoltare alcuni podcast tematici disponibili sull’app MyPompeii, che raccontano le storie di otto donne realmente vissute nella città campana.

Essere donna nell'antica Pompei rappresenta un’esperienza culturale completa, che unisce passato e presente in una riflessione critica sul ruolo delle donne, proponendo strumenti di comprensione non solo storica, ma anche attuale.

È stata inaugurata oggi a Pompei, con una cerimonia a cui hanno preso parte Daniela Mapelli, rettrice dell'Università di Padova e Monica Salvadori, curatrice della mostra e prorettrice con delega al Patrimonio artistico, storico e culturale di Ateneo, l'esposizione Essere donna nell'antica Pompei, aperta al pubblico fino al 31 gennaio 2026 presso la Palestra grande degli scavi (Pompei).

La scoperta delle condizioni in cui vivevano donne e bambine, dei numerosi aspetti della vita quotidiana e della posizione che occupavano nella casa, nella società romana e in una città come Pompei, è il filo conduttore dell'esposizione curata dalle docenti del Dipartimento dei Beni culturali dell'Università di Padova, Francesca Ghedini e Monica Salvadori, in collaborazione con le università di Salerno e Verona.

Un percorso di 8 sezioni nel quale, attraverso affreschi, ritratti privati e funerari, graffiti, iscrizioni e oggetti d’uso comune, vengono documentate le diverse categorie femminili, matrone, liberte, schiave, nelle varie fasi della vita, nascita, infanzia, matrimonio, maternità, morte, e nei diversi ruoli che svolgevano all'interno della società, dalle attività di grande rilievo sociale, economico, religioso, in cui erano impegnate le matrone di alto lignaggio e le liberte arricchite, ai mestieri di ogni genere esercitati da libere e schiave (filatrici e tessitrici, ostesse, venditrici, panificatrici, mediche, fattucchiere, prostitute ecc.).

Le prime sale, anche attraverso nomi e volti, raccontano gli aspetti principali della vita privata delle matrone.
Nel percorso espositivo, ampio spazio è riservato anche alla vita pubblica e lavorativa delle donne, mentre le ultime tracce del loro passaggio nella vita terrena si colgono nelle necropoli, dove monumenti funerari, iscrizioni e corredi restituiscono il ricordo di alcune di loro.

Il percorso si chiude con un salto nella contemporaneità che, da un lato presenta i profili di alcune figure di donne che hanno dato il loro contributo alla scoperta e alla conoscenza di Pompei (Carolina Bonaparte, Wilhelmina Jashemski, Tatiana Warsher, Olga Elia), dall’altro offre a visitatrici e visitatori una selezione di spezzoni cinematografici dedicati all’immagine femminile, tratti dal grande cinema d'ambientazione ispirato all'antichità romana e in particolare a Pompei. 

A far da cornice alla mostra, il Parco Archeologico di Pompei, all’interno del quale il percorso espositivo si collega a una serie di edifici significativi. Collegamenti che, creando un’esperienza ancor più immersiva e interattiva per chi lo visita, aiutano a comprendere in modo più chiaro la condizione femminile anche all’interno dello stesso sito archeologico.
L’esperienza immersiva si completa, infine, con la possibilità di ascoltare alcuni podcast tematici disponibili sull’app MyPompeii, che raccontano le storie di otto donne realmente vissute nella città campana.

Essere donna nell'antica Pompei rappresenta un’esperienza culturale completa, che unisce passato e presente in una riflessione critica sul ruolo delle donne, proponendo strumenti di comprensione non solo storica, ma anche attuale.

È stata inaugurata oggi a Pompei, con una cerimonia a cui hanno preso parte Daniela Mapelli, rettrice dell'Università di Padova e Monica Salvadori, curatrice della mostra e prorettrice con delega al Patrimonio artistico, storico e culturale di Ateneo, l'esposizione Essere donna nell'antica Pompei, aperta al pubblico fino al 31 gennaio 2026 presso la Palestra grande degli scavi (Pompei).

La scoperta delle condizioni in cui vivevano donne e bambine, dei numerosi aspetti della vita quotidiana e della posizione che occupavano nella casa, nella società romana e in una città come Pompei, è il filo conduttore dell'esposizione curata dalle docenti del Dipartimento dei Beni culturali dell'Università di Padova, Francesca Ghedini e Monica Salvadori, in collaborazione con le università di Salerno e Verona.

Un percorso di 8 sezioni nel quale, attraverso affreschi, ritratti privati e funerari, graffiti, iscrizioni e oggetti d’uso comune, vengono documentate le diverse categorie femminili, matrone, liberte, schiave, nelle varie fasi della vita, nascita, infanzia, matrimonio, maternità, morte, e nei diversi ruoli che svolgevano all'interno della società, dalle attività di grande rilievo sociale, economico, religioso, in cui erano impegnate le matrone di alto lignaggio e le liberte arricchite, ai mestieri di ogni genere esercitati da libere e schiave (filatrici e tessitrici, ostesse, venditrici, panificatrici, mediche, fattucchiere, prostitute ecc.).

Le prime sale, anche attraverso nomi e volti, raccontano gli aspetti principali della vita privata delle matrone.
Nel percorso espositivo, ampio spazio è riservato anche alla vita pubblica e lavorativa delle donne, mentre le ultime tracce del loro passaggio nella vita terrena si colgono nelle necropoli, dove monumenti funerari, iscrizioni e corredi restituiscono il ricordo di alcune di loro.

Il percorso si chiude con un salto nella contemporaneità che, da un lato presenta i profili di alcune figure di donne che hanno dato il loro contributo alla scoperta e alla conoscenza di Pompei (Carolina Bonaparte, Wilhelmina Jashemski, Tatiana Warsher, Olga Elia), dall’altro offre a visitatrici e visitatori una selezione di spezzoni cinematografici dedicati all’immagine femminile, tratti dal grande cinema d'ambientazione ispirato all'antichità romana e in particolare a Pompei. 

A far da cornice alla mostra, il Parco Archeologico di Pompei, all’interno del quale il percorso espositivo si collega a una serie di edifici significativi. Collegamenti che, creando un’esperienza ancor più immersiva e interattiva per chi lo visita, aiutano a comprendere in modo più chiaro la condizione femminile anche all’interno dello stesso sito archeologico.
L’esperienza immersiva si completa, infine, con la possibilità di ascoltare alcuni podcast tematici disponibili sull’app MyPompeii, che raccontano le storie di otto donne realmente vissute nella città campana.

Essere donna nell'antica Pompei rappresenta un’esperienza culturale completa, che unisce passato e presente in una riflessione critica sul ruolo delle donne, proponendo strumenti di comprensione non solo storica, ma anche attuale.

During the first wave of the COVID-19 pandemic, remote work allowed many people to continue working safely. However, according to a new study, working from home had a significant impact on the mental health of certain groups, particularly women, single individuals, and parents with cohabiting children.
The research, published in the Journal of the Economics of Ageing by economists from Ca’ Foscari University of Venice, University of Padua, and the IFO Institute in Munich, analyzes how remote work affected the psychological well-being of senior workers in the early months of the pandemic. Comparing those who worked from home with those who continued to work in person, the research team found a higher prevalence of depressive symptoms among remote workers.

"This negative effect was more pronounced in regions where the infection rate was relatively contained and where restrictive measures were very stringent," explains Giacomo Pasini, professor of Econometrics and director of the Department of Economics at Ca’ Foscari. "The sense of isolation, uncertainties about the future of work, and family tensions may have contributed to this distress."

The study also highlights that the effects of remote work were not the same for everyone. Women, single individuals, and people with cohabiting children exhibited a more significant psychological impact compared to other groups.
To investigate these phenomena, researchers used data from the Survey of Health, Ageing and Retirement in Europe (SHARE), which collects information on individuals over 50 years old in 27 European countries. The analysis employed advanced statistical methods to isolate the specific effect of remote work from other pandemic-related factors.

"Thanks to this approach, we were able to reliably estimate the impact of remote work on depressive symptoms, taking into account both individual characteristics and the varying intensity of the pandemic and restrictive measures across different regions," explains Marco Bertoni, professor of Economics at the University of Padua and co-author of the study.
With the spread of hybrid and remote work models even in the post-pandemic period, the study's findings raise important considerations for the design of corporate policies.

"If remote work remains a common practice, it is crucial to recognize that not everyone experiences it in the same way," researchers emphasize. "Imposing rigid limits or uniform rules for all on remote workdays risks overlooking the real needs of individuals."
Instead, the study suggests the need for flexible policies that can adapt to the diverse family and demographic conditions of workers.
The results contribute to the debate on how to make remote work sustainable, productive, and mindful of individuals, without neglecting their psychological well-being.

During the first wave of the COVID-19 pandemic, remote work allowed many people to continue working safely. However, according to a new study, working from home had a significant impact on the mental health of certain groups, particularly women, single individuals, and parents with cohabiting children.
The research, published in the Journal of the Economics of Ageing by economists from Ca’ Foscari University of Venice, University of Padua, and the IFO Institute in Munich, analyzes how remote work affected the psychological well-being of senior workers in the early months of the pandemic. Comparing those who worked from home with those who continued to work in person, the research team found a higher prevalence of depressive symptoms among remote workers.

"This negative effect was more pronounced in regions where the infection rate was relatively contained and where restrictive measures were very stringent," explains Giacomo Pasini, professor of Econometrics and director of the Department of Economics at Ca’ Foscari. "The sense of isolation, uncertainties about the future of work, and family tensions may have contributed to this distress."

The study also highlights that the effects of remote work were not the same for everyone. Women, single individuals, and people with cohabiting children exhibited a more significant psychological impact compared to other groups.
To investigate these phenomena, researchers used data from the Survey of Health, Ageing and Retirement in Europe (SHARE), which collects information on individuals over 50 years old in 27 European countries. The analysis employed advanced statistical methods to isolate the specific effect of remote work from other pandemic-related factors.

"Thanks to this approach, we were able to reliably estimate the impact of remote work on depressive symptoms, taking into account both individual characteristics and the varying intensity of the pandemic and restrictive measures across different regions," explains Marco Bertoni, professor of Economics at the University of Padua and co-author of the study.
With the spread of hybrid and remote work models even in the post-pandemic period, the study's findings raise important considerations for the design of corporate policies.

"If remote work remains a common practice, it is crucial to recognize that not everyone experiences it in the same way," researchers emphasize. "Imposing rigid limits or uniform rules for all on remote workdays risks overlooking the real needs of individuals."
Instead, the study suggests the need for flexible policies that can adapt to the diverse family and demographic conditions of workers.
The results contribute to the debate on how to make remote work sustainable, productive, and mindful of individuals, without neglecting their psychological well-being.

During the first wave of the COVID-19 pandemic, remote work allowed many people to continue working safely. However, according to a new study, working from home had a significant impact on the mental health of certain groups, particularly women, single individuals, and parents with cohabiting children.
The research, published in the Journal of the Economics of Ageing by economists from Ca’ Foscari University of Venice, University of Padua, and the IFO Institute in Munich, analyzes how remote work affected the psychological well-being of senior workers in the early months of the pandemic. Comparing those who worked from home with those who continued to work in person, the research team found a higher prevalence of depressive symptoms among remote workers.

"This negative effect was more pronounced in regions where the infection rate was relatively contained and where restrictive measures were very stringent," explains Giacomo Pasini, professor of Econometrics and director of the Department of Economics at Ca’ Foscari. "The sense of isolation, uncertainties about the future of work, and family tensions may have contributed to this distress."

The study also highlights that the effects of remote work were not the same for everyone. Women, single individuals, and people with cohabiting children exhibited a more significant psychological impact compared to other groups.
To investigate these phenomena, researchers used data from the Survey of Health, Ageing and Retirement in Europe (SHARE), which collects information on individuals over 50 years old in 27 European countries. The analysis employed advanced statistical methods to isolate the specific effect of remote work from other pandemic-related factors.

"Thanks to this approach, we were able to reliably estimate the impact of remote work on depressive symptoms, taking into account both individual characteristics and the varying intensity of the pandemic and restrictive measures across different regions," explains Marco Bertoni, professor of Economics at the University of Padua and co-author of the study.
With the spread of hybrid and remote work models even in the post-pandemic period, the study's findings raise important considerations for the design of corporate policies.

"If remote work remains a common practice, it is crucial to recognize that not everyone experiences it in the same way," researchers emphasize. "Imposing rigid limits or uniform rules for all on remote workdays risks overlooking the real needs of individuals."
Instead, the study suggests the need for flexible policies that can adapt to the diverse family and demographic conditions of workers.
The results contribute to the debate on how to make remote work sustainable, productive, and mindful of individuals, without neglecting their psychological well-being.

During the first wave of the COVID-19 pandemic, remote work allowed many people to continue working safely. However, according to a new study, working from home had a significant impact on the mental health of certain groups, particularly women, single individuals, and parents with cohabiting children.
The research, published in the Journal of the Economics of Ageing by economists from Ca’ Foscari University of Venice, University of Padua, and the IFO Institute in Munich, analyzes how remote work affected the psychological well-being of senior workers in the early months of the pandemic. Comparing those who worked from home with those who continued to work in person, the research team found a higher prevalence of depressive symptoms among remote workers.

"This negative effect was more pronounced in regions where the infection rate was relatively contained and where restrictive measures were very stringent," explains Giacomo Pasini, professor of Econometrics and director of the Department of Economics at Ca’ Foscari. "The sense of isolation, uncertainties about the future of work, and family tensions may have contributed to this distress."

The study also highlights that the effects of remote work were not the same for everyone. Women, single individuals, and people with cohabiting children exhibited a more significant psychological impact compared to other groups.
To investigate these phenomena, researchers used data from the Survey of Health, Ageing and Retirement in Europe (SHARE), which collects information on individuals over 50 years old in 27 European countries. The analysis employed advanced statistical methods to isolate the specific effect of remote work from other pandemic-related factors.

"Thanks to this approach, we were able to reliably estimate the impact of remote work on depressive symptoms, taking into account both individual characteristics and the varying intensity of the pandemic and restrictive measures across different regions," explains Marco Bertoni, professor of Economics at the University of Padua and co-author of the study.
With the spread of hybrid and remote work models even in the post-pandemic period, the study's findings raise important considerations for the design of corporate policies.

"If remote work remains a common practice, it is crucial to recognize that not everyone experiences it in the same way," researchers emphasize. "Imposing rigid limits or uniform rules for all on remote workdays risks overlooking the real needs of individuals."
Instead, the study suggests the need for flexible policies that can adapt to the diverse family and demographic conditions of workers.
The results contribute to the debate on how to make remote work sustainable, productive, and mindful of individuals, without neglecting their psychological well-being.

During the first wave of the COVID-19 pandemic, remote work allowed many people to continue working safely. However, according to a new study, working from home had a significant impact on the mental health of certain groups, particularly women, single individuals, and parents with cohabiting children.

During the first wave of the COVID-19 pandemic, remote work allowed many people to continue working safely. However, according to a new study, working from home had a significant impact on the mental health of certain groups, particularly women, single individuals, and parents with cohabiting children.
The research, published in the Journal of the Economics of Ageing by economists from Ca’ Foscari University of Venice, University of Padua, and the IFO Institute in Munich, analyzes how remote work affected the psychological well-being of senior workers in the early months of the pandemic. Comparing those who worked from home with those who continued to work in person, the research team found a higher prevalence of depressive symptoms among remote workers.

"This negative effect was more pronounced in regions where the infection rate was relatively contained and where restrictive measures were very stringent," explains Giacomo Pasini, professor of Econometrics and director of the Department of Economics at Ca’ Foscari. "The sense of isolation, uncertainties about the future of work, and family tensions may have contributed to this distress."

The study also highlights that the effects of remote work were not the same for everyone. Women, single individuals, and people with cohabiting children exhibited a more significant psychological impact compared to other groups.
To investigate these phenomena, researchers used data from the Survey of Health, Ageing and Retirement in Europe (SHARE), which collects information on individuals over 50 years old in 27 European countries. The analysis employed advanced statistical methods to isolate the specific effect of remote work from other pandemic-related factors.

"Thanks to this approach, we were able to reliably estimate the impact of remote work on depressive symptoms, taking into account both individual characteristics and the varying intensity of the pandemic and restrictive measures across different regions," explains Marco Bertoni, professor of Economics at the University of Padua and co-author of the study.
With the spread of hybrid and remote work models even in the post-pandemic period, the study's findings raise important considerations for the design of corporate policies.

"If remote work remains a common practice, it is crucial to recognize that not everyone experiences it in the same way," researchers emphasize. "Imposing rigid limits or uniform rules for all on remote workdays risks overlooking the real needs of individuals."
Instead, the study suggests the need for flexible policies that can adapt to the diverse family and demographic conditions of workers.
The results contribute to the debate on how to make remote work sustainable, productive, and mindful of individuals, without neglecting their psychological well-being.

During the first wave of the COVID-19 pandemic, remote work allowed many people to continue working safely. However, according to a new study, working from home had a significant impact on the mental health of certain groups, particularly women, single individuals, and parents with cohabiting children.
The research, published in the Journal of the Economics of Ageing by economists from Ca’ Foscari University of Venice, University of Padua, and the IFO Institute in Munich, analyzes how remote work affected the psychological well-being of senior workers in the early months of the pandemic. Comparing those who worked from home with those who continued to work in person, the research team found a higher prevalence of depressive symptoms among remote workers.

"This negative effect was more pronounced in regions where the infection rate was relatively contained and where restrictive measures were very stringent," explains Giacomo Pasini, professor of Econometrics and director of the Department of Economics at Ca’ Foscari. "The sense of isolation, uncertainties about the future of work, and family tensions may have contributed to this distress."

The study also highlights that the effects of remote work were not the same for everyone. Women, single individuals, and people with cohabiting children exhibited a more significant psychological impact compared to other groups.
To investigate these phenomena, researchers used data from the Survey of Health, Ageing and Retirement in Europe (SHARE), which collects information on individuals over 50 years old in 27 European countries. The analysis employed advanced statistical methods to isolate the specific effect of remote work from other pandemic-related factors.

"Thanks to this approach, we were able to reliably estimate the impact of remote work on depressive symptoms, taking into account both individual characteristics and the varying intensity of the pandemic and restrictive measures across different regions," explains Marco Bertoni, professor of Economics at the University of Padua and co-author of the study.
With the spread of hybrid and remote work models even in the post-pandemic period, the study's findings raise important considerations for the design of corporate policies.

"If remote work remains a common practice, it is crucial to recognize that not everyone experiences it in the same way," researchers emphasize. "Imposing rigid limits or uniform rules for all on remote workdays risks overlooking the real needs of individuals."
Instead, the study suggests the need for flexible policies that can adapt to the diverse family and demographic conditions of workers.
The results contribute to the debate on how to make remote work sustainable, productive, and mindful of individuals, without neglecting their psychological well-being.

During the first wave of the COVID-19 pandemic, remote work allowed many people to continue working safely. However, according to a new study, working from home had a significant impact on the mental health of certain groups, particularly women, single individuals, and parents with cohabiting children.
The research, published in the Journal of the Economics of Ageing by economists from Ca’ Foscari University of Venice, University of Padua, and the IFO Institute in Munich, analyzes how remote work affected the psychological well-being of senior workers in the early months of the pandemic. Comparing those who worked from home with those who continued to work in person, the research team found a higher prevalence of depressive symptoms among remote workers.

"This negative effect was more pronounced in regions where the infection rate was relatively contained and where restrictive measures were very stringent," explains Giacomo Pasini, professor of Econometrics and director of the Department of Economics at Ca’ Foscari. "The sense of isolation, uncertainties about the future of work, and family tensions may have contributed to this distress."

The study also highlights that the effects of remote work were not the same for everyone. Women, single individuals, and people with cohabiting children exhibited a more significant psychological impact compared to other groups.
To investigate these phenomena, researchers used data from the Survey of Health, Ageing and Retirement in Europe (SHARE), which collects information on individuals over 50 years old in 27 European countries. The analysis employed advanced statistical methods to isolate the specific effect of remote work from other pandemic-related factors.

"Thanks to this approach, we were able to reliably estimate the impact of remote work on depressive symptoms, taking into account both individual characteristics and the varying intensity of the pandemic and restrictive measures across different regions," explains Marco Bertoni, professor of Economics at the University of Padua and co-author of the study.
With the spread of hybrid and remote work models even in the post-pandemic period, the study's findings raise important considerations for the design of corporate policies.

"If remote work remains a common practice, it is crucial to recognize that not everyone experiences it in the same way," researchers emphasize. "Imposing rigid limits or uniform rules for all on remote workdays risks overlooking the real needs of individuals."
Instead, the study suggests the need for flexible policies that can adapt to the diverse family and demographic conditions of workers.
The results contribute to the debate on how to make remote work sustainable, productive, and mindful of individuals, without neglecting their psychological well-being.

During the first wave of the COVID-19 pandemic, remote work allowed many people to continue working safely. However, according to a new study, working from home had a significant impact on the mental health of certain groups, particularly women, single individuals, and parents with cohabiting children.
The research, published in the Journal of the Economics of Ageing by economists from Ca’ Foscari University of Venice, University of Padua, and the IFO Institute in Munich, analyzes how remote work affected the psychological well-being of senior workers in the early months of the pandemic. Comparing those who worked from home with those who continued to work in person, the research team found a higher prevalence of depressive symptoms among remote workers.

"This negative effect was more pronounced in regions where the infection rate was relatively contained and where restrictive measures were very stringent," explains Giacomo Pasini, professor of Econometrics and director of the Department of Economics at Ca’ Foscari. "The sense of isolation, uncertainties about the future of work, and family tensions may have contributed to this distress."

The study also highlights that the effects of remote work were not the same for everyone. Women, single individuals, and people with cohabiting children exhibited a more significant psychological impact compared to other groups.
To investigate these phenomena, researchers used data from the Survey of Health, Ageing and Retirement in Europe (SHARE), which collects information on individuals over 50 years old in 27 European countries. The analysis employed advanced statistical methods to isolate the specific effect of remote work from other pandemic-related factors.

"Thanks to this approach, we were able to reliably estimate the impact of remote work on depressive symptoms, taking into account both individual characteristics and the varying intensity of the pandemic and restrictive measures across different regions," explains Marco Bertoni, professor of Economics at the University of Padua and co-author of the study.
With the spread of hybrid and remote work models even in the post-pandemic period, the study's findings raise important considerations for the design of corporate policies.

"If remote work remains a common practice, it is crucial to recognize that not everyone experiences it in the same way," researchers emphasize. "Imposing rigid limits or uniform rules for all on remote workdays risks overlooking the real needs of individuals."
Instead, the study suggests the need for flexible policies that can adapt to the diverse family and demographic conditions of workers.
The results contribute to the debate on how to make remote work sustainable, productive, and mindful of individuals, without neglecting their psychological well-being.

During the first wave of the COVID-19 pandemic, remote work allowed many people to continue working safely. However, according to a new study, working from home had a significant impact on the mental health of certain groups, particularly women, single individuals, and parents with cohabiting children.
The research, published in the Journal of the Economics of Ageing by economists from Ca’ Foscari University of Venice, University of Padua, and the IFO Institute in Munich, analyzes how remote work affected the psychological well-being of senior workers in the early months of the pandemic. Comparing those who worked from home with those who continued to work in person, the research team found a higher prevalence of depressive symptoms among remote workers.

"This negative effect was more pronounced in regions where the infection rate was relatively contained and where restrictive measures were very stringent," explains Giacomo Pasini, professor of Econometrics and director of the Department of Economics at Ca’ Foscari. "The sense of isolation, uncertainties about the future of work, and family tensions may have contributed to this distress."

The study also highlights that the effects of remote work were not the same for everyone. Women, single individuals, and people with cohabiting children exhibited a more significant psychological impact compared to other groups.
To investigate these phenomena, researchers used data from the Survey of Health, Ageing and Retirement in Europe (SHARE), which collects information on individuals over 50 years old in 27 European countries. The analysis employed advanced statistical methods to isolate the specific effect of remote work from other pandemic-related factors.

"Thanks to this approach, we were able to reliably estimate the impact of remote work on depressive symptoms, taking into account both individual characteristics and the varying intensity of the pandemic and restrictive measures across different regions," explains Marco Bertoni, professor of Economics at the University of Padua and co-author of the study.
With the spread of hybrid and remote work models even in the post-pandemic period, the study's findings raise important considerations for the design of corporate policies.

"If remote work remains a common practice, it is crucial to recognize that not everyone experiences it in the same way," researchers emphasize. "Imposing rigid limits or uniform rules for all on remote workdays risks overlooking the real needs of individuals."
Instead, the study suggests the need for flexible policies that can adapt to the diverse family and demographic conditions of workers.
The results contribute to the debate on how to make remote work sustainable, productive, and mindful of individuals, without neglecting their psychological well-being.

During the first wave of the COVID-19 pandemic, remote work allowed many people to continue working safely. However, according to a new study, working from home had a significant impact on the mental health of certain groups, particularly women, single individuals, and parents with cohabiting children.
The research, published in the Journal of the Economics of Ageing by economists from Ca’ Foscari University of Venice, University of Padua, and the IFO Institute in Munich, analyzes how remote work affected the psychological well-being of senior workers in the early months of the pandemic. Comparing those who worked from home with those who continued to work in person, the research team found a higher prevalence of depressive symptoms among remote workers.

"This negative effect was more pronounced in regions where the infection rate was relatively contained and where restrictive measures were very stringent," explains Giacomo Pasini, professor of Econometrics and director of the Department of Economics at Ca’ Foscari. "The sense of isolation, uncertainties about the future of work, and family tensions may have contributed to this distress."

The study also highlights that the effects of remote work were not the same for everyone. Women, single individuals, and people with cohabiting children exhibited a more significant psychological impact compared to other groups.
To investigate these phenomena, researchers used data from the Survey of Health, Ageing and Retirement in Europe (SHARE), which collects information on individuals over 50 years old in 27 European countries. The analysis employed advanced statistical methods to isolate the specific effect of remote work from other pandemic-related factors.

"Thanks to this approach, we were able to reliably estimate the impact of remote work on depressive symptoms, taking into account both individual characteristics and the varying intensity of the pandemic and restrictive measures across different regions," explains Marco Bertoni, professor of Economics at the University of Padua and co-author of the study.
With the spread of hybrid and remote work models even in the post-pandemic period, the study's findings raise important considerations for the design of corporate policies.

"If remote work remains a common practice, it is crucial to recognize that not everyone experiences it in the same way," researchers emphasize. "Imposing rigid limits or uniform rules for all on remote workdays risks overlooking the real needs of individuals."
Instead, the study suggests the need for flexible policies that can adapt to the diverse family and demographic conditions of workers.
The results contribute to the debate on how to make remote work sustainable, productive, and mindful of individuals, without neglecting their psychological well-being.

Durante la prima ondata della pandemia di COVID-19, il lavoro da remoto ha permesso a molte persone di continuare a lavorare in sicurezza. Tuttavia, secondo un nuovo studio, lavorare da casa ha avuto un impatto significativo sulla salute mentale di alcuni gruppi, in particolare donne, persone single e genitori con figli conviventi.

La ricerca, pubblicata sulla rivista Journal of the Economics of Ageing da economisti ed economiste dell’Università Ca’ Foscari Venezia, Università di Padova e IFO Institute di Monaco, analizza come il lavoro da remoto abbia influenzato il benessere psicologico dei lavoratori senior nei primi mesi della pandemia. Confrontando chi ha lavorato da casa con chi ha continuato a lavorare in presenza, il team di ricerca ha rilevato una maggiore diffusione di sintomi depressivi tra chi ha lavorato da remoto.

“Questo effetto negativo è risultato più marcato nelle regioni in cui il contagio era relativamente contenuto e dove le misure restrittive erano molto rigide,” spiega Giacomo Pasini, professore di Econometria e direttore del Dipartimento di Economia a Ca’ Foscari, “Il senso di isolamento, le incertezze sul futuro lavorativo e le tensioni familiari possono aver contribuito a questo disagio.”

Lo studio evidenzia inoltre che gli effetti del lavoro da casa non sono stati uguali per tutte e tutti. Le donne, i single e le persone con figli conviventi hanno mostrato un impatto psicologico più rilevante rispetto ad altri gruppi.

Per indagare questi fenomeni, ricercatrici e ricercatori si sono basati sui dati della Survey of Health, Ageing and Retirement in Europe (SHARE), che raccoglie informazioni su individui con più di 50 anni in 27 Paesi europei. L’analisi ha utilizzato metodi statistici avanzati per isolare l’effetto specifico del lavoro da remoto da altri fattori legati alla pandemia.

“Grazie a questo approccio, siamo riusciti a stimare in modo affidabile l’impatto del lavoro da casa sui sintomi depressivi, tenendo conto sia delle caratteristiche individuali che della diversa intensità della pandemia e delle misure restrittive nei vari territori” spiega Marco Bertoni, professore di Economia all’Università di Padova e coautore dello studio.

Con la diffusione dei modelli di lavoro ibridi e da remoto anche nel post-pandemia, i risultati dello studio pongono importanti riflessioni sulla progettazione delle politiche aziendali.

“Se il lavoro da casa resterà una pratica comune, è fondamentale riconoscere che non tutti lo vivono allo stesso modo,” sottolineano ricercatrici e ricercatori. “Imporre limiti rigidi o regole uguali per tutti sui giorni di lavoro da remoto rischia di non tenere conto delle esigenze reali delle persone.”

Al contrario, lo studio suggerisce la necessità di politiche flessibili, capaci di adattarsi alle diverse condizioni familiari e demografiche di chi lavora.

I risultati contribuiscono al dibattito su come rendere il lavoro da remoto sostenibile, produttivo e attento alle persone, senza trascurare il loro benessere psicologico.

Durante la prima ondata della pandemia di COVID-19, il lavoro da remoto ha permesso a molte persone di continuare a lavorare in sicurezza. Tuttavia, secondo un nuovo studio, lavorare da casa ha avuto un impatto significativo sulla salute mentale di alcuni gruppi, in particolare donne, persone single e genitori con figli conviventi.

La ricerca, pubblicata sulla rivista Journal of the Economics of Ageing da economisti ed economiste dell’Università Ca’ Foscari Venezia, Università di Padova e IFO Institute di Monaco, analizza come il lavoro da remoto abbia influenzato il benessere psicologico dei lavoratori senior nei primi mesi della pandemia. Confrontando chi ha lavorato da casa con chi ha continuato a lavorare in presenza, il team di ricerca ha rilevato una maggiore diffusione di sintomi depressivi tra chi ha lavorato da remoto.

“Questo effetto negativo è risultato più marcato nelle regioni in cui il contagio era relativamente contenuto e dove le misure restrittive erano molto rigide,” spiega Giacomo Pasini, professore di Econometria e direttore del Dipartimento di Economia a Ca’ Foscari, “Il senso di isolamento, le incertezze sul futuro lavorativo e le tensioni familiari possono aver contribuito a questo disagio.”

Lo studio evidenzia inoltre che gli effetti del lavoro da casa non sono stati uguali per tutte e tutti. Le donne, i single e le persone con figli conviventi hanno mostrato un impatto psicologico più rilevante rispetto ad altri gruppi.

Per indagare questi fenomeni, ricercatrici e ricercatori si sono basati sui dati della Survey of Health, Ageing and Retirement in Europe (SHARE), che raccoglie informazioni su individui con più di 50 anni in 27 Paesi europei. L’analisi ha utilizzato metodi statistici avanzati per isolare l’effetto specifico del lavoro da remoto da altri fattori legati alla pandemia.

“Grazie a questo approccio, siamo riusciti a stimare in modo affidabile l’impatto del lavoro da casa sui sintomi depressivi, tenendo conto sia delle caratteristiche individuali che della diversa intensità della pandemia e delle misure restrittive nei vari territori” spiega Marco Bertoni, professore di Economia all’Università di Padova e coautore dello studio.

Con la diffusione dei modelli di lavoro ibridi e da remoto anche nel post-pandemia, i risultati dello studio pongono importanti riflessioni sulla progettazione delle politiche aziendali.

“Se il lavoro da casa resterà una pratica comune, è fondamentale riconoscere che non tutti lo vivono allo stesso modo,” sottolineano ricercatrici e ricercatori. “Imporre limiti rigidi o regole uguali per tutti sui giorni di lavoro da remoto rischia di non tenere conto delle esigenze reali delle persone.”

Al contrario, lo studio suggerisce la necessità di politiche flessibili, capaci di adattarsi alle diverse condizioni familiari e demografiche di chi lavora.

I risultati contribuiscono al dibattito su come rendere il lavoro da remoto sostenibile, produttivo e attento alle persone, senza trascurare il loro benessere psicologico.

Durante la prima ondata della pandemia di COVID-19, il lavoro da remoto ha permesso a molte persone di continuare a lavorare in sicurezza. Tuttavia, secondo un nuovo studio, lavorare da casa ha avuto un impatto significativo sulla salute mentale di alcuni gruppi, in particolare donne, persone single e genitori con figli conviventi.

La ricerca, pubblicata sulla rivista Journal of the Economics of Ageing da economisti ed economiste dell’Università Ca’ Foscari Venezia, Università di Padova e IFO Institute di Monaco, analizza come il lavoro da remoto abbia influenzato il benessere psicologico dei lavoratori senior nei primi mesi della pandemia. Confrontando chi ha lavorato da casa con chi ha continuato a lavorare in presenza, il team di ricerca ha rilevato una maggiore diffusione di sintomi depressivi tra chi ha lavorato da remoto.

“Questo effetto negativo è risultato più marcato nelle regioni in cui il contagio era relativamente contenuto e dove le misure restrittive erano molto rigide,” spiega Giacomo Pasini, professore di Econometria e direttore del Dipartimento di Economia a Ca’ Foscari, “Il senso di isolamento, le incertezze sul futuro lavorativo e le tensioni familiari possono aver contribuito a questo disagio.”

Lo studio evidenzia inoltre che gli effetti del lavoro da casa non sono stati uguali per tutte e tutti. Le donne, i single e le persone con figli conviventi hanno mostrato un impatto psicologico più rilevante rispetto ad altri gruppi.

Per indagare questi fenomeni, ricercatrici e ricercatori si sono basati sui dati della Survey of Health, Ageing and Retirement in Europe (SHARE), che raccoglie informazioni su individui con più di 50 anni in 27 Paesi europei. L’analisi ha utilizzato metodi statistici avanzati per isolare l’effetto specifico del lavoro da remoto da altri fattori legati alla pandemia.

“Grazie a questo approccio, siamo riusciti a stimare in modo affidabile l’impatto del lavoro da casa sui sintomi depressivi, tenendo conto sia delle caratteristiche individuali che della diversa intensità della pandemia e delle misure restrittive nei vari territori” spiega Marco Bertoni, professore di Economia all’Università di Padova e coautore dello studio.

Con la diffusione dei modelli di lavoro ibridi e da remoto anche nel post-pandemia, i risultati dello studio pongono importanti riflessioni sulla progettazione delle politiche aziendali.

“Se il lavoro da casa resterà una pratica comune, è fondamentale riconoscere che non tutti lo vivono allo stesso modo,” sottolineano ricercatrici e ricercatori. “Imporre limiti rigidi o regole uguali per tutti sui giorni di lavoro da remoto rischia di non tenere conto delle esigenze reali delle persone.”

Al contrario, lo studio suggerisce la necessità di politiche flessibili, capaci di adattarsi alle diverse condizioni familiari e demografiche di chi lavora.

I risultati contribuiscono al dibattito su come rendere il lavoro da remoto sostenibile, produttivo e attento alle persone, senza trascurare il loro benessere psicologico.

Durante la prima ondata della pandemia di COVID-19, il lavoro da remoto ha permesso a molte persone di continuare a lavorare in sicurezza. Tuttavia, secondo un nuovo studio, lavorare da casa ha avuto un impatto significativo sulla salute mentale di alcuni gruppi, in particolare donne, persone single e genitori con figli conviventi.

La ricerca, pubblicata sulla rivista Journal of the Economics of Ageing da economisti ed economiste dell’Università Ca’ Foscari Venezia, Università di Padova e IFO Institute di Monaco, analizza come il lavoro da remoto abbia influenzato il benessere psicologico dei lavoratori senior nei primi mesi della pandemia. Confrontando chi ha lavorato da casa con chi ha continuato a lavorare in presenza, il team di ricerca ha rilevato una maggiore diffusione di sintomi depressivi tra chi ha lavorato da remoto.

“Questo effetto negativo è risultato più marcato nelle regioni in cui il contagio era relativamente contenuto e dove le misure restrittive erano molto rigide,” spiega Giacomo Pasini, professore di Econometria e direttore del Dipartimento di Economia a Ca’ Foscari, “Il senso di isolamento, le incertezze sul futuro lavorativo e le tensioni familiari possono aver contribuito a questo disagio.”

Lo studio evidenzia inoltre che gli effetti del lavoro da casa non sono stati uguali per tutte e tutti. Le donne, i single e le persone con figli conviventi hanno mostrato un impatto psicologico più rilevante rispetto ad altri gruppi.

Per indagare questi fenomeni, ricercatrici e ricercatori si sono basati sui dati della Survey of Health, Ageing and Retirement in Europe (SHARE), che raccoglie informazioni su individui con più di 50 anni in 27 Paesi europei. L’analisi ha utilizzato metodi statistici avanzati per isolare l’effetto specifico del lavoro da remoto da altri fattori legati alla pandemia.

“Grazie a questo approccio, siamo riusciti a stimare in modo affidabile l’impatto del lavoro da casa sui sintomi depressivi, tenendo conto sia delle caratteristiche individuali che della diversa intensità della pandemia e delle misure restrittive nei vari territori” spiega Marco Bertoni, professore di Economia all’Università di Padova e coautore dello studio.

Con la diffusione dei modelli di lavoro ibridi e da remoto anche nel post-pandemia, i risultati dello studio pongono importanti riflessioni sulla progettazione delle politiche aziendali.

“Se il lavoro da casa resterà una pratica comune, è fondamentale riconoscere che non tutti lo vivono allo stesso modo,” sottolineano ricercatrici e ricercatori. “Imporre limiti rigidi o regole uguali per tutti sui giorni di lavoro da remoto rischia di non tenere conto delle esigenze reali delle persone.”

Al contrario, lo studio suggerisce la necessità di politiche flessibili, capaci di adattarsi alle diverse condizioni familiari e demografiche di chi lavora.

I risultati contribuiscono al dibattito su come rendere il lavoro da remoto sostenibile, produttivo e attento alle persone, senza trascurare il loro benessere psicologico.

Durante la prima ondata della pandemia di COVID-19, il lavoro da remoto ha permesso a molte persone di continuare a lavorare in sicurezza. Tuttavia, secondo un nuovo studio, lavorare da casa ha avuto un impatto significativo sulla salute mentale di alcuni gruppi, in particolare donne, persone single e genitori con figli conviventi.

Durante la prima ondata della pandemia di COVID-19, il lavoro da remoto ha permesso a molte persone di continuare a lavorare in sicurezza. Tuttavia, secondo un nuovo studio, lavorare da casa ha avuto un impatto significativo sulla salute mentale di alcuni gruppi, in particolare donne, persone single e genitori con figli conviventi.

La ricerca, pubblicata sulla rivista Journal of the Economics of Ageing da economisti ed economiste dell’Università Ca’ Foscari Venezia, Università di Padova e IFO Institute di Monaco, analizza come il lavoro da remoto abbia influenzato il benessere psicologico dei lavoratori senior nei primi mesi della pandemia. Confrontando chi ha lavorato da casa con chi ha continuato a lavorare in presenza, il team di ricerca ha rilevato una maggiore diffusione di sintomi depressivi tra chi ha lavorato da remoto.

“Questo effetto negativo è risultato più marcato nelle regioni in cui il contagio era relativamente contenuto e dove le misure restrittive erano molto rigide,” spiega Giacomo Pasini, professore di Econometria e direttore del Dipartimento di Economia a Ca’ Foscari, “Il senso di isolamento, le incertezze sul futuro lavorativo e le tensioni familiari possono aver contribuito a questo disagio.”

Lo studio evidenzia inoltre che gli effetti del lavoro da casa non sono stati uguali per tutte e tutti. Le donne, i single e le persone con figli conviventi hanno mostrato un impatto psicologico più rilevante rispetto ad altri gruppi.

Per indagare questi fenomeni, ricercatrici e ricercatori si sono basati sui dati della Survey of Health, Ageing and Retirement in Europe (SHARE), che raccoglie informazioni su individui con più di 50 anni in 27 Paesi europei. L’analisi ha utilizzato metodi statistici avanzati per isolare l’effetto specifico del lavoro da remoto da altri fattori legati alla pandemia.

“Grazie a questo approccio, siamo riusciti a stimare in modo affidabile l’impatto del lavoro da casa sui sintomi depressivi, tenendo conto sia delle caratteristiche individuali che della diversa intensità della pandemia e delle misure restrittive nei vari territori” spiega Marco Bertoni, professore di Economia all’Università di Padova e coautore dello studio.

Con la diffusione dei modelli di lavoro ibridi e da remoto anche nel post-pandemia, i risultati dello studio pongono importanti riflessioni sulla progettazione delle politiche aziendali.

“Se il lavoro da casa resterà una pratica comune, è fondamentale riconoscere che non tutti lo vivono allo stesso modo,” sottolineano ricercatrici e ricercatori. “Imporre limiti rigidi o regole uguali per tutti sui giorni di lavoro da remoto rischia di non tenere conto delle esigenze reali delle persone.”

Al contrario, lo studio suggerisce la necessità di politiche flessibili, capaci di adattarsi alle diverse condizioni familiari e demografiche di chi lavora.

I risultati contribuiscono al dibattito su come rendere il lavoro da remoto sostenibile, produttivo e attento alle persone, senza trascurare il loro benessere psicologico.

Durante la prima ondata della pandemia di COVID-19, il lavoro da remoto ha permesso a molte persone di continuare a lavorare in sicurezza. Tuttavia, secondo un nuovo studio, lavorare da casa ha avuto un impatto significativo sulla salute mentale di alcuni gruppi, in particolare donne, persone single e genitori con figli conviventi.

La ricerca, pubblicata sulla rivista Journal of the Economics of Ageing da economisti ed economiste dell’Università Ca’ Foscari Venezia, Università di Padova e IFO Institute di Monaco, analizza come il lavoro da remoto abbia influenzato il benessere psicologico dei lavoratori senior nei primi mesi della pandemia. Confrontando chi ha lavorato da casa con chi ha continuato a lavorare in presenza, il team di ricerca ha rilevato una maggiore diffusione di sintomi depressivi tra chi ha lavorato da remoto.

“Questo effetto negativo è risultato più marcato nelle regioni in cui il contagio era relativamente contenuto e dove le misure restrittive erano molto rigide,” spiega Giacomo Pasini, professore di Econometria e direttore del Dipartimento di Economia a Ca’ Foscari, “Il senso di isolamento, le incertezze sul futuro lavorativo e le tensioni familiari possono aver contribuito a questo disagio.”

Lo studio evidenzia inoltre che gli effetti del lavoro da casa non sono stati uguali per tutte e tutti. Le donne, i single e le persone con figli conviventi hanno mostrato un impatto psicologico più rilevante rispetto ad altri gruppi.

Per indagare questi fenomeni, ricercatrici e ricercatori si sono basati sui dati della Survey of Health, Ageing and Retirement in Europe (SHARE), che raccoglie informazioni su individui con più di 50 anni in 27 Paesi europei. L’analisi ha utilizzato metodi statistici avanzati per isolare l’effetto specifico del lavoro da remoto da altri fattori legati alla pandemia.

“Grazie a questo approccio, siamo riusciti a stimare in modo affidabile l’impatto del lavoro da casa sui sintomi depressivi, tenendo conto sia delle caratteristiche individuali che della diversa intensità della pandemia e delle misure restrittive nei vari territori” spiega Marco Bertoni, professore di Economia all’Università di Padova e coautore dello studio.

Con la diffusione dei modelli di lavoro ibridi e da remoto anche nel post-pandemia, i risultati dello studio pongono importanti riflessioni sulla progettazione delle politiche aziendali.

“Se il lavoro da casa resterà una pratica comune, è fondamentale riconoscere che non tutti lo vivono allo stesso modo,” sottolineano ricercatrici e ricercatori. “Imporre limiti rigidi o regole uguali per tutti sui giorni di lavoro da remoto rischia di non tenere conto delle esigenze reali delle persone.”

Al contrario, lo studio suggerisce la necessità di politiche flessibili, capaci di adattarsi alle diverse condizioni familiari e demografiche di chi lavora.

I risultati contribuiscono al dibattito su come rendere il lavoro da remoto sostenibile, produttivo e attento alle persone, senza trascurare il loro benessere psicologico.

Durante la prima ondata della pandemia di COVID-19, il lavoro da remoto ha permesso a molte persone di continuare a lavorare in sicurezza. Tuttavia, secondo un nuovo studio, lavorare da casa ha avuto un impatto significativo sulla salute mentale di alcuni gruppi, in particolare donne, persone single e genitori con figli conviventi.

La ricerca, pubblicata sulla rivista Journal of the Economics of Ageing da economisti ed economiste dell’Università Ca’ Foscari Venezia, Università di Padova e IFO Institute di Monaco, analizza come il lavoro da remoto abbia influenzato il benessere psicologico dei lavoratori senior nei primi mesi della pandemia. Confrontando chi ha lavorato da casa con chi ha continuato a lavorare in presenza, il team di ricerca ha rilevato una maggiore diffusione di sintomi depressivi tra chi ha lavorato da remoto.

“Questo effetto negativo è risultato più marcato nelle regioni in cui il contagio era relativamente contenuto e dove le misure restrittive erano molto rigide,” spiega Giacomo Pasini, professore di Econometria e direttore del Dipartimento di Economia a Ca’ Foscari, “Il senso di isolamento, le incertezze sul futuro lavorativo e le tensioni familiari possono aver contribuito a questo disagio.”

Lo studio evidenzia inoltre che gli effetti del lavoro da casa non sono stati uguali per tutte e tutti. Le donne, i single e le persone con figli conviventi hanno mostrato un impatto psicologico più rilevante rispetto ad altri gruppi.

Per indagare questi fenomeni, ricercatrici e ricercatori si sono basati sui dati della Survey of Health, Ageing and Retirement in Europe (SHARE), che raccoglie informazioni su individui con più di 50 anni in 27 Paesi europei. L’analisi ha utilizzato metodi statistici avanzati per isolare l’effetto specifico del lavoro da remoto da altri fattori legati alla pandemia.

“Grazie a questo approccio, siamo riusciti a stimare in modo affidabile l’impatto del lavoro da casa sui sintomi depressivi, tenendo conto sia delle caratteristiche individuali che della diversa intensità della pandemia e delle misure restrittive nei vari territori” spiega Marco Bertoni, professore di Economia all’Università di Padova e coautore dello studio.

Con la diffusione dei modelli di lavoro ibridi e da remoto anche nel post-pandemia, i risultati dello studio pongono importanti riflessioni sulla progettazione delle politiche aziendali.

“Se il lavoro da casa resterà una pratica comune, è fondamentale riconoscere che non tutti lo vivono allo stesso modo,” sottolineano ricercatrici e ricercatori. “Imporre limiti rigidi o regole uguali per tutti sui giorni di lavoro da remoto rischia di non tenere conto delle esigenze reali delle persone.”

Al contrario, lo studio suggerisce la necessità di politiche flessibili, capaci di adattarsi alle diverse condizioni familiari e demografiche di chi lavora.

I risultati contribuiscono al dibattito su come rendere il lavoro da remoto sostenibile, produttivo e attento alle persone, senza trascurare il loro benessere psicologico.

Durante la prima ondata della pandemia di COVID-19, il lavoro da remoto ha permesso a molte persone di continuare a lavorare in sicurezza. Tuttavia, secondo un nuovo studio, lavorare da casa ha avuto un impatto significativo sulla salute mentale di alcuni gruppi, in particolare donne, persone single e genitori con figli conviventi.

La ricerca, pubblicata sulla rivista Journal of the Economics of Ageing da economisti ed economiste dell’Università Ca’ Foscari Venezia, Università di Padova e IFO Institute di Monaco, analizza come il lavoro da remoto abbia influenzato il benessere psicologico dei lavoratori senior nei primi mesi della pandemia. Confrontando chi ha lavorato da casa con chi ha continuato a lavorare in presenza, il team di ricerca ha rilevato una maggiore diffusione di sintomi depressivi tra chi ha lavorato da remoto.

“Questo effetto negativo è risultato più marcato nelle regioni in cui il contagio era relativamente contenuto e dove le misure restrittive erano molto rigide,” spiega Giacomo Pasini, professore di Econometria e direttore del Dipartimento di Economia a Ca’ Foscari, “Il senso di isolamento, le incertezze sul futuro lavorativo e le tensioni familiari possono aver contribuito a questo disagio.”

Lo studio evidenzia inoltre che gli effetti del lavoro da casa non sono stati uguali per tutte e tutti. Le donne, i single e le persone con figli conviventi hanno mostrato un impatto psicologico più rilevante rispetto ad altri gruppi.

Per indagare questi fenomeni, ricercatrici e ricercatori si sono basati sui dati della Survey of Health, Ageing and Retirement in Europe (SHARE), che raccoglie informazioni su individui con più di 50 anni in 27 Paesi europei. L’analisi ha utilizzato metodi statistici avanzati per isolare l’effetto specifico del lavoro da remoto da altri fattori legati alla pandemia.

“Grazie a questo approccio, siamo riusciti a stimare in modo affidabile l’impatto del lavoro da casa sui sintomi depressivi, tenendo conto sia delle caratteristiche individuali che della diversa intensità della pandemia e delle misure restrittive nei vari territori” spiega Marco Bertoni, professore di Economia all’Università di Padova e coautore dello studio.

Con la diffusione dei modelli di lavoro ibridi e da remoto anche nel post-pandemia, i risultati dello studio pongono importanti riflessioni sulla progettazione delle politiche aziendali.

“Se il lavoro da casa resterà una pratica comune, è fondamentale riconoscere che non tutti lo vivono allo stesso modo,” sottolineano ricercatrici e ricercatori. “Imporre limiti rigidi o regole uguali per tutti sui giorni di lavoro da remoto rischia di non tenere conto delle esigenze reali delle persone.”

Al contrario, lo studio suggerisce la necessità di politiche flessibili, capaci di adattarsi alle diverse condizioni familiari e demografiche di chi lavora.

I risultati contribuiscono al dibattito su come rendere il lavoro da remoto sostenibile, produttivo e attento alle persone, senza trascurare il loro benessere psicologico.

Durante la prima ondata della pandemia di COVID-19, il lavoro da remoto ha permesso a molte persone di continuare a lavorare in sicurezza. Tuttavia, secondo un nuovo studio, lavorare da casa ha avuto un impatto significativo sulla salute mentale di alcuni gruppi, in particolare donne, persone single e genitori con figli conviventi.

La ricerca, pubblicata sulla rivista Journal of the Economics of Ageing da economisti ed economiste dell’Università Ca’ Foscari Venezia, Università di Padova e IFO Institute di Monaco, analizza come il lavoro da remoto abbia influenzato il benessere psicologico dei lavoratori senior nei primi mesi della pandemia. Confrontando chi ha lavorato da casa con chi ha continuato a lavorare in presenza, il team di ricerca ha rilevato una maggiore diffusione di sintomi depressivi tra chi ha lavorato da remoto.

“Questo effetto negativo è risultato più marcato nelle regioni in cui il contagio era relativamente contenuto e dove le misure restrittive erano molto rigide,” spiega Giacomo Pasini, professore di Econometria e direttore del Dipartimento di Economia a Ca’ Foscari, “Il senso di isolamento, le incertezze sul futuro lavorativo e le tensioni familiari possono aver contribuito a questo disagio.”

Lo studio evidenzia inoltre che gli effetti del lavoro da casa non sono stati uguali per tutte e tutti. Le donne, i single e le persone con figli conviventi hanno mostrato un impatto psicologico più rilevante rispetto ad altri gruppi.

Per indagare questi fenomeni, ricercatrici e ricercatori si sono basati sui dati della Survey of Health, Ageing and Retirement in Europe (SHARE), che raccoglie informazioni su individui con più di 50 anni in 27 Paesi europei. L’analisi ha utilizzato metodi statistici avanzati per isolare l’effetto specifico del lavoro da remoto da altri fattori legati alla pandemia.

“Grazie a questo approccio, siamo riusciti a stimare in modo affidabile l’impatto del lavoro da casa sui sintomi depressivi, tenendo conto sia delle caratteristiche individuali che della diversa intensità della pandemia e delle misure restrittive nei vari territori” spiega Marco Bertoni, professore di Economia all’Università di Padova e coautore dello studio.

Con la diffusione dei modelli di lavoro ibridi e da remoto anche nel post-pandemia, i risultati dello studio pongono importanti riflessioni sulla progettazione delle politiche aziendali.

“Se il lavoro da casa resterà una pratica comune, è fondamentale riconoscere che non tutti lo vivono allo stesso modo,” sottolineano ricercatrici e ricercatori. “Imporre limiti rigidi o regole uguali per tutti sui giorni di lavoro da remoto rischia di non tenere conto delle esigenze reali delle persone.”

Al contrario, lo studio suggerisce la necessità di politiche flessibili, capaci di adattarsi alle diverse condizioni familiari e demografiche di chi lavora.

I risultati contribuiscono al dibattito su come rendere il lavoro da remoto sostenibile, produttivo e attento alle persone, senza trascurare il loro benessere psicologico.

Durante la prima ondata della pandemia di COVID-19, il lavoro da remoto ha permesso a molte persone di continuare a lavorare in sicurezza. Tuttavia, secondo un nuovo studio, lavorare da casa ha avuto un impatto significativo sulla salute mentale di alcuni gruppi, in particolare donne, persone single e genitori con figli conviventi.

La ricerca, pubblicata sulla rivista Journal of the Economics of Ageing da economisti ed economiste dell’Università Ca’ Foscari Venezia, Università di Padova e IFO Institute di Monaco, analizza come il lavoro da remoto abbia influenzato il benessere psicologico dei lavoratori senior nei primi mesi della pandemia. Confrontando chi ha lavorato da casa con chi ha continuato a lavorare in presenza, il team di ricerca ha rilevato una maggiore diffusione di sintomi depressivi tra chi ha lavorato da remoto.

“Questo effetto negativo è risultato più marcato nelle regioni in cui il contagio era relativamente contenuto e dove le misure restrittive erano molto rigide,” spiega Giacomo Pasini, professore di Econometria e direttore del Dipartimento di Economia a Ca’ Foscari, “Il senso di isolamento, le incertezze sul futuro lavorativo e le tensioni familiari possono aver contribuito a questo disagio.”

Lo studio evidenzia inoltre che gli effetti del lavoro da casa non sono stati uguali per tutte e tutti. Le donne, i single e le persone con figli conviventi hanno mostrato un impatto psicologico più rilevante rispetto ad altri gruppi.

Per indagare questi fenomeni, ricercatrici e ricercatori si sono basati sui dati della Survey of Health, Ageing and Retirement in Europe (SHARE), che raccoglie informazioni su individui con più di 50 anni in 27 Paesi europei. L’analisi ha utilizzato metodi statistici avanzati per isolare l’effetto specifico del lavoro da remoto da altri fattori legati alla pandemia.

“Grazie a questo approccio, siamo riusciti a stimare in modo affidabile l’impatto del lavoro da casa sui sintomi depressivi, tenendo conto sia delle caratteristiche individuali che della diversa intensità della pandemia e delle misure restrittive nei vari territori” spiega Marco Bertoni, professore di Economia all’Università di Padova e coautore dello studio.

Con la diffusione dei modelli di lavoro ibridi e da remoto anche nel post-pandemia, i risultati dello studio pongono importanti riflessioni sulla progettazione delle politiche aziendali.

“Se il lavoro da casa resterà una pratica comune, è fondamentale riconoscere che non tutti lo vivono allo stesso modo,” sottolineano ricercatrici e ricercatori. “Imporre limiti rigidi o regole uguali per tutti sui giorni di lavoro da remoto rischia di non tenere conto delle esigenze reali delle persone.”

Al contrario, lo studio suggerisce la necessità di politiche flessibili, capaci di adattarsi alle diverse condizioni familiari e demografiche di chi lavora.

I risultati contribuiscono al dibattito su come rendere il lavoro da remoto sostenibile, produttivo e attento alle persone, senza trascurare il loro benessere psicologico.

Italian version 

The University of Padua has recently approved an educational offering that includes 138 master's programmes and 27 advanced courses, commencing in November 2025. The new offering includes 32 additional master's programmes, bringing the total to 138, of which 58 are first-level and 80 are second-level, compared to 130 the previous year. Advanced courses also see a significant increase, with 8 new courses bringing the total to 27, compared to 22 last year.

Among the new additions to the educational offering are master's programmes ranging from the study of exotic, wild, and zoo animals to robotic surgery, from educational, digital, and multimedia innovation to the prevention of violence in childhood and adolescence. As for the advanced courses, notable mentions include clinical and community ethnopsychology and international business.

The increase in the educational offering has attracted a growing number of enrolments for the current academic year, reaching 3,463 students between master's programmes (2,935) and advanced courses (428), marking a 15.4% increase compared to the previous year. To give an idea of the magnitude of this growth, in 2019, master's programmes had 1,283 enrolments, thus recording a 129% increase in students over the recent years.

"The increasing numbers reward both the attention to the multidisciplinary nature of our educational offering, which is increasingly diversified and focused on the needs of the territory and the productive and social world, as well as the attractiveness of master's programmes and advanced courses," explains Marta Ghisi, delegate for master's programmes and advanced courses. "These results are the fruit of the competent and passionate work of directors and lecturers of the master's programmes and advanced courses, and the fundamental support of the postgraduate office. And there is an aspect to underline: the master's programmes at the University of Padua portray an encouraging reality, 61.3% of attendees have both parents who are not graduates. Therefore, we are witnessing the phenomenon of social and cultural mobility, which I hope will strengthen more and more over time".

The attractiveness of the university is further demonstrated by the high percentage, 67.5%, of students coming from other Italian or foreign universities who, at the end of their studies, express satisfaction with their university experience. According to the latest Almalaurea data, in fact, one year after completing the attended master's programme, 86.2% would enrol again in the same master's programme or another one at our university. "We are attractive on entry and maintain expectations on exit," comments Marta Ghisi.

The calls for the new master's programmes and advanced courses available from June are published on the relevant page.

Italian version 

The University of Padua has recently approved an educational offering that includes 138 master's programmes and 27 advanced courses, commencing in November 2025. The new offering includes 32 additional master's programmes, bringing the total to 138, of which 58 are first-level and 80 are second-level, compared to 130 the previous year. Advanced courses also see a significant increase, with 8 new courses bringing the total to 27, compared to 22 last year.

Among the new additions to the educational offering are master's programmes ranging from the study of exotic, wild, and zoo animals to robotic surgery, from educational, digital, and multimedia innovation to the prevention of violence in childhood and adolescence. As for the advanced courses, notable mentions include clinical and community ethnopsychology and international business.

The increase in the educational offering has attracted a growing number of enrolments for the current academic year, reaching 3,463 students between master's programmes (2,935) and advanced courses (428), marking a 15.4% increase compared to the previous year. To give an idea of the magnitude of this growth, in 2019, master's programmes had 1,283 enrolments, thus recording a 129% increase in students over the recent years.

"The increasing numbers reward both the attention to the multidisciplinary nature of our educational offering, which is increasingly diversified and focused on the needs of the territory and the productive and social world, as well as the attractiveness of master's programmes and advanced courses," explains Marta Ghisi, delegate for master's programmes and advanced courses. "These results are the fruit of the competent and passionate work of directors and lecturers of the master's programmes and advanced courses, and the fundamental support of the postgraduate office. And there is an aspect to underline: the master's programmes at the University of Padua portray an encouraging reality, 61.3% of attendees have both parents who are not graduates. Therefore, we are witnessing the phenomenon of social and cultural mobility, which I hope will strengthen more and more over time".

The attractiveness of the university is further demonstrated by the high percentage, 67.5%, of students coming from other Italian or foreign universities who, at the end of their studies, express satisfaction with their university experience. According to the latest Almalaurea data, in fact, one year after completing the attended master's programme, 86.2% would enrol again in the same master's programme or another one at our university. "We are attractive on entry and maintain expectations on exit," comments Marta Ghisi.

The calls for the new master's programmes and advanced courses available from June are published on the relevant page.

Italian version 

The University of Padua has recently approved an educational offering that includes 138 master's programmes and 27 advanced courses, commencing in November 2025. The new offering includes 32 additional master's programmes, bringing the total to 138, of which 58 are first-level and 80 are second-level, compared to 130 the previous year. Advanced courses also see a significant increase, with 8 new courses bringing the total to 27, compared to 22 last year.

Among the new additions to the educational offering are master's programmes ranging from the study of exotic, wild, and zoo animals to robotic surgery, from educational, digital, and multimedia innovation to the prevention of violence in childhood and adolescence. As for the advanced courses, notable mentions include clinical and community ethnopsychology and international business.

The increase in the educational offering has attracted a growing number of enrolments for the current academic year, reaching 3,463 students between master's programmes (2,935) and advanced courses (428), marking a 15.4% increase compared to the previous year. To give an idea of the magnitude of this growth, in 2019, master's programmes had 1,283 enrolments, thus recording a 129% increase in students over the recent years.

"The increasing numbers reward both the attention to the multidisciplinary nature of our educational offering, which is increasingly diversified and focused on the needs of the territory and the productive and social world, as well as the attractiveness of master's programmes and advanced courses," explains Marta Ghisi, delegate for master's programmes and advanced courses. "These results are the fruit of the competent and passionate work of directors and lecturers of the master's programmes and advanced courses, and the fundamental support of the postgraduate office. And there is an aspect to underline: the master's programmes at the University of Padua portray an encouraging reality, 61.3% of attendees have both parents who are not graduates. Therefore, we are witnessing the phenomenon of social and cultural mobility, which I hope will strengthen more and more over time".

The attractiveness of the university is further demonstrated by the high percentage, 67.5%, of students coming from other Italian or foreign universities who, at the end of their studies, express satisfaction with their university experience. According to the latest Almalaurea data, in fact, one year after completing the attended master's programme, 86.2% would enrol again in the same master's programme or another one at our university. "We are attractive on entry and maintain expectations on exit," comments Marta Ghisi.

The calls for the new master's programmes and advanced courses available from June are published on the relevant page.

Italian version 

The University of Padua has recently approved an educational offering that includes 138 master's programmes and 27 advanced courses, commencing in November 2025. The new offering includes 32 additional master's programmes, bringing the total to 138, of which 58 are first-level and 80 are second-level, compared to 130 the previous year. Advanced courses also see a significant increase, with 8 new courses bringing the total to 27, compared to 22 last year.

Among the new additions to the educational offering are master's programmes ranging from the study of exotic, wild, and zoo animals to robotic surgery, from educational, digital, and multimedia innovation to the prevention of violence in childhood and adolescence. As for the advanced courses, notable mentions include clinical and community ethnopsychology and international business.

The increase in the educational offering has attracted a growing number of enrolments for the current academic year, reaching 3,463 students between master's programmes (2,935) and advanced courses (428), marking a 15.4% increase compared to the previous year. To give an idea of the magnitude of this growth, in 2019, master's programmes had 1,283 enrolments, thus recording a 129% increase in students over the recent years.

"The increasing numbers reward both the attention to the multidisciplinary nature of our educational offering, which is increasingly diversified and focused on the needs of the territory and the productive and social world, as well as the attractiveness of master's programmes and advanced courses," explains Marta Ghisi, delegate for master's programmes and advanced courses. "These results are the fruit of the competent and passionate work of directors and lecturers of the master's programmes and advanced courses, and the fundamental support of the postgraduate office. And there is an aspect to underline: the master's programmes at the University of Padua portray an encouraging reality, 61.3% of attendees have both parents who are not graduates. Therefore, we are witnessing the phenomenon of social and cultural mobility, which I hope will strengthen more and more over time".

The attractiveness of the university is further demonstrated by the high percentage, 67.5%, of students coming from other Italian or foreign universities who, at the end of their studies, express satisfaction with their university experience. According to the latest Almalaurea data, in fact, one year after completing the attended master's programme, 86.2% would enrol again in the same master's programme or another one at our university. "We are attractive on entry and maintain expectations on exit," comments Marta Ghisi.

The calls for the new master's programmes and advanced courses available from June are published on the relevant page.

Italian version 

The University of Padua has recently approved an educational offering that includes 138 master's programmes and 27 advanced courses, commencing in November 2025. The new offering includes 32 additional master's programmes, bringing the total to 138, of which 58 are first-level and 80 are second-level, compared to 130 the previous year. Advanced courses also see a significant increase, with 8 new courses bringing the total to 27, compared to 22 last year.

Among the new additions to the educational offering are master's programmes ranging from the study of exotic, wild, and zoo animals to robotic surgery, from educational, digital, and multimedia innovation to the prevention of violence in childhood and adolescence. As for the advanced courses, notable mentions include clinical and community ethnopsychology and international business.

The increase in the educational offering has attracted a growing number of enrolments for the current academic year, reaching 3,463 students between master's programmes (2,935) and advanced courses (428), marking a 15.4% increase compared to the previous year. To give an idea of the magnitude of this growth, in 2019, master's programmes had 1,283 enrolments, thus recording a 129% increase in students over the recent years.

"The increasing numbers reward both the attention to the multidisciplinary nature of our educational offering, which is increasingly diversified and focused on the needs of the territory and the productive and social world, as well as the attractiveness of master's programmes and advanced courses," explains Marta Ghisi, delegate for master's programmes and advanced courses. "These results are the fruit of the competent and passionate work of directors and lecturers of the master's programmes and advanced courses, and the fundamental support of the postgraduate office. And there is an aspect to underline: the master's programmes at the University of Padua portray an encouraging reality, 61.3% of attendees have both parents who are not graduates. Therefore, we are witnessing the phenomenon of social and cultural mobility, which I hope will strengthen more and more over time".

The attractiveness of the university is further demonstrated by the high percentage, 67.5%, of students coming from other Italian or foreign universities who, at the end of their studies, express satisfaction with their university experience. According to the latest Almalaurea data, in fact, one year after completing the attended master's programme, 86.2% would enrol again in the same master's programme or another one at our university. "We are attractive on entry and maintain expectations on exit," comments Marta Ghisi.

The calls for the new master's programmes and advanced courses available from June are published on the relevant page.

Italian version 

The University of Padua has recently approved an educational offering that includes 138 master's programmes and 27 advanced courses, commencing in November 2025. The new offering includes 32 additional master's programmes, bringing the total to 138, of which 58 are first-level and 80 are second-level, compared to 130 the previous year. Advanced courses also see a significant increase, with 8 new courses bringing the total to 27, compared to 22 last year.

Among the new additions to the educational offering are master's programmes ranging from the study of exotic, wild, and zoo animals to robotic surgery, from educational, digital, and multimedia innovation to the prevention of violence in childhood and adolescence. As for the advanced courses, notable mentions include clinical and community ethnopsychology and international business.

The increase in the educational offering has attracted a growing number of enrolments for the current academic year, reaching 3,463 students between master's programmes (2,935) and advanced courses (428), marking a 15.4% increase compared to the previous year. To give an idea of the magnitude of this growth, in 2019, master's programmes had 1,283 enrolments, thus recording a 129% increase in students over the recent years.

"The increasing numbers reward both the attention to the multidisciplinary nature of our educational offering, which is increasingly diversified and focused on the needs of the territory and the productive and social world, as well as the attractiveness of master's programmes and advanced courses," explains Marta Ghisi, delegate for master's programmes and advanced courses. "These results are the fruit of the competent and passionate work of directors and lecturers of the master's programmes and advanced courses, and the fundamental support of the postgraduate office. And there is an aspect to underline: the master's programmes at the University of Padua portray an encouraging reality, 61.3% of attendees have both parents who are not graduates. Therefore, we are witnessing the phenomenon of social and cultural mobility, which I hope will strengthen more and more over time".

The attractiveness of the university is further demonstrated by the high percentage, 67.5%, of students coming from other Italian or foreign universities who, at the end of their studies, express satisfaction with their university experience. According to the latest Almalaurea data, in fact, one year after completing the attended master's programme, 86.2% would enrol again in the same master's programme or another one at our university. "We are attractive on entry and maintain expectations on exit," comments Marta Ghisi.

The calls for the new master's programmes and advanced courses available from June are published on the relevant page.

Italian version 

Italian version 

The University of Padua has recently approved an educational offering that includes 138 master's programmes and 27 advanced courses, commencing in November 2025. The new offering includes 32 additional master's programmes, bringing the total to 138, of which 58 are first-level and 80 are second-level, compared to 130 the previous year. Advanced courses also see a significant increase, with 8 new courses bringing the total to 27, compared to 22 last year.

Among the new additions to the educational offering are master's programmes ranging from the study of exotic, wild, and zoo animals to robotic surgery, from educational, digital, and multimedia innovation to the prevention of violence in childhood and adolescence. As for the advanced courses, notable mentions include clinical and community ethnopsychology and international business.

The increase in the educational offering has attracted a growing number of enrolments for the current academic year, reaching 3,463 students between master's programmes (2,935) and advanced courses (428), marking a 15.4% increase compared to the previous year. To give an idea of the magnitude of this growth, in 2019, master's programmes had 1,283 enrolments, thus recording a 129% increase in students over the recent years.

"The increasing numbers reward both the attention to the multidisciplinary nature of our educational offering, which is increasingly diversified and focused on the needs of the territory and the productive and social world, as well as the attractiveness of master's programmes and advanced courses," explains Marta Ghisi, delegate for master's programmes and advanced courses. "These results are the fruit of the competent and passionate work of directors and lecturers of the master's programmes and advanced courses, and the fundamental support of the postgraduate office. And there is an aspect to underline: the master's programmes at the University of Padua portray an encouraging reality, 61.3% of attendees have both parents who are not graduates. Therefore, we are witnessing the phenomenon of social and cultural mobility, which I hope will strengthen more and more over time".

The attractiveness of the university is further demonstrated by the high percentage, 67.5%, of students coming from other Italian or foreign universities who, at the end of their studies, express satisfaction with their university experience. According to the latest Almalaurea data, in fact, one year after completing the attended master's programme, 86.2% would enrol again in the same master's programme or another one at our university. "We are attractive on entry and maintain expectations on exit," comments Marta Ghisi.

The calls for the new master's programmes and advanced courses available from June are published on the relevant page.

Italian version 

The University of Padua has recently approved an educational offering that includes 138 master's programmes and 27 advanced courses, commencing in November 2025. The new offering includes 32 additional master's programmes, bringing the total to 138, of which 58 are first-level and 80 are second-level, compared to 130 the previous year. Advanced courses also see a significant increase, with 8 new courses bringing the total to 27, compared to 22 last year.

Among the new additions to the educational offering are master's programmes ranging from the study of exotic, wild, and zoo animals to robotic surgery, from educational, digital, and multimedia innovation to the prevention of violence in childhood and adolescence. As for the advanced courses, notable mentions include clinical and community ethnopsychology and international business.

The increase in the educational offering has attracted a growing number of enrolments for the current academic year, reaching 3,463 students between master's programmes (2,935) and advanced courses (428), marking a 15.4% increase compared to the previous year. To give an idea of the magnitude of this growth, in 2019, master's programmes had 1,283 enrolments, thus recording a 129% increase in students over the recent years.

"The increasing numbers reward both the attention to the multidisciplinary nature of our educational offering, which is increasingly diversified and focused on the needs of the territory and the productive and social world, as well as the attractiveness of master's programmes and advanced courses," explains Marta Ghisi, delegate for master's programmes and advanced courses. "These results are the fruit of the competent and passionate work of directors and lecturers of the master's programmes and advanced courses, and the fundamental support of the postgraduate office. And there is an aspect to underline: the master's programmes at the University of Padua portray an encouraging reality, 61.3% of attendees have both parents who are not graduates. Therefore, we are witnessing the phenomenon of social and cultural mobility, which I hope will strengthen more and more over time".

The attractiveness of the university is further demonstrated by the high percentage, 67.5%, of students coming from other Italian or foreign universities who, at the end of their studies, express satisfaction with their university experience. According to the latest Almalaurea data, in fact, one year after completing the attended master's programme, 86.2% would enrol again in the same master's programme or another one at our university. "We are attractive on entry and maintain expectations on exit," comments Marta Ghisi.

The calls for the new master's programmes and advanced courses available from June are published on the relevant page.

Italian version 

The University of Padua has recently approved an educational offering that includes 138 master's programmes and 27 advanced courses, commencing in November 2025. The new offering includes 32 additional master's programmes, bringing the total to 138, of which 58 are first-level and 80 are second-level, compared to 130 the previous year. Advanced courses also see a significant increase, with 8 new courses bringing the total to 27, compared to 22 last year.

Among the new additions to the educational offering are master's programmes ranging from the study of exotic, wild, and zoo animals to robotic surgery, from educational, digital, and multimedia innovation to the prevention of violence in childhood and adolescence. As for the advanced courses, notable mentions include clinical and community ethnopsychology and international business.

The increase in the educational offering has attracted a growing number of enrolments for the current academic year, reaching 3,463 students between master's programmes (2,935) and advanced courses (428), marking a 15.4% increase compared to the previous year. To give an idea of the magnitude of this growth, in 2019, master's programmes had 1,283 enrolments, thus recording a 129% increase in students over the recent years.

"The increasing numbers reward both the attention to the multidisciplinary nature of our educational offering, which is increasingly diversified and focused on the needs of the territory and the productive and social world, as well as the attractiveness of master's programmes and advanced courses," explains Marta Ghisi, delegate for master's programmes and advanced courses. "These results are the fruit of the competent and passionate work of directors and lecturers of the master's programmes and advanced courses, and the fundamental support of the postgraduate office. And there is an aspect to underline: the master's programmes at the University of Padua portray an encouraging reality, 61.3% of attendees have both parents who are not graduates. Therefore, we are witnessing the phenomenon of social and cultural mobility, which I hope will strengthen more and more over time".

The attractiveness of the university is further demonstrated by the high percentage, 67.5%, of students coming from other Italian or foreign universities who, at the end of their studies, express satisfaction with their university experience. According to the latest Almalaurea data, in fact, one year after completing the attended master's programme, 86.2% would enrol again in the same master's programme or another one at our university. "We are attractive on entry and maintain expectations on exit," comments Marta Ghisi.

The calls for the new master's programmes and advanced courses available from June are published on the relevant page.

Italian version 

The University of Padua has recently approved an educational offering that includes 138 master's programmes and 27 advanced courses, commencing in November 2025. The new offering includes 32 additional master's programmes, bringing the total to 138, of which 58 are first-level and 80 are second-level, compared to 130 the previous year. Advanced courses also see a significant increase, with 8 new courses bringing the total to 27, compared to 22 last year.

Among the new additions to the educational offering are master's programmes ranging from the study of exotic, wild, and zoo animals to robotic surgery, from educational, digital, and multimedia innovation to the prevention of violence in childhood and adolescence. As for the advanced courses, notable mentions include clinical and community ethnopsychology and international business.

The increase in the educational offering has attracted a growing number of enrolments for the current academic year, reaching 3,463 students between master's programmes (2,935) and advanced courses (428), marking a 15.4% increase compared to the previous year. To give an idea of the magnitude of this growth, in 2019, master's programmes had 1,283 enrolments, thus recording a 129% increase in students over the recent years.

"The increasing numbers reward both the attention to the multidisciplinary nature of our educational offering, which is increasingly diversified and focused on the needs of the territory and the productive and social world, as well as the attractiveness of master's programmes and advanced courses," explains Marta Ghisi, delegate for master's programmes and advanced courses. "These results are the fruit of the competent and passionate work of directors and lecturers of the master's programmes and advanced courses, and the fundamental support of the postgraduate office. And there is an aspect to underline: the master's programmes at the University of Padua portray an encouraging reality, 61.3% of attendees have both parents who are not graduates. Therefore, we are witnessing the phenomenon of social and cultural mobility, which I hope will strengthen more and more over time".

The attractiveness of the university is further demonstrated by the high percentage, 67.5%, of students coming from other Italian or foreign universities who, at the end of their studies, express satisfaction with their university experience. According to the latest Almalaurea data, in fact, one year after completing the attended master's programme, 86.2% would enrol again in the same master's programme or another one at our university. "We are attractive on entry and maintain expectations on exit," comments Marta Ghisi.

The calls for the new master's programmes and advanced courses available from June are published on the relevant page.

Italian version 

The University of Padua has recently approved an educational offering that includes 138 master's programmes and 27 advanced courses, commencing in November 2025. The new offering includes 32 additional master's programmes, bringing the total to 138, of which 58 are first-level and 80 are second-level, compared to 130 the previous year. Advanced courses also see a significant increase, with 8 new courses bringing the total to 27, compared to 22 last year.

Among the new additions to the educational offering are master's programmes ranging from the study of exotic, wild, and zoo animals to robotic surgery, from educational, digital, and multimedia innovation to the prevention of violence in childhood and adolescence. As for the advanced courses, notable mentions include clinical and community ethnopsychology and international business.

The increase in the educational offering has attracted a growing number of enrolments for the current academic year, reaching 3,463 students between master's programmes (2,935) and advanced courses (428), marking a 15.4% increase compared to the previous year. To give an idea of the magnitude of this growth, in 2019, master's programmes had 1,283 enrolments, thus recording a 129% increase in students over the recent years.

"The increasing numbers reward both the attention to the multidisciplinary nature of our educational offering, which is increasingly diversified and focused on the needs of the territory and the productive and social world, as well as the attractiveness of master's programmes and advanced courses," explains Marta Ghisi, delegate for master's programmes and advanced courses. "These results are the fruit of the competent and passionate work of directors and lecturers of the master's programmes and advanced courses, and the fundamental support of the postgraduate office. And there is an aspect to underline: the master's programmes at the University of Padua portray an encouraging reality, 61.3% of attendees have both parents who are not graduates. Therefore, we are witnessing the phenomenon of social and cultural mobility, which I hope will strengthen more and more over time".

The attractiveness of the university is further demonstrated by the high percentage, 67.5%, of students coming from other Italian or foreign universities who, at the end of their studies, express satisfaction with their university experience. According to the latest Almalaurea data, in fact, one year after completing the attended master's programme, 86.2% would enrol again in the same master's programme or another one at our university. "We are attractive on entry and maintain expectations on exit," comments Marta Ghisi.

The calls for the new master's programmes and advanced courses available from June are published on the relevant page.

Italian version 

The University of Padua has recently approved an educational offering that includes 138 master's programmes and 27 advanced courses, commencing in November 2025. The new offering includes 32 additional master's programmes, bringing the total to 138, of which 58 are first-level and 80 are second-level, compared to 130 the previous year. Advanced courses also see a significant increase, with 8 new courses bringing the total to 27, compared to 22 last year.

Among the new additions to the educational offering are master's programmes ranging from the study of exotic, wild, and zoo animals to robotic surgery, from educational, digital, and multimedia innovation to the prevention of violence in childhood and adolescence. As for the advanced courses, notable mentions include clinical and community ethnopsychology and international business.

The increase in the educational offering has attracted a growing number of enrolments for the current academic year, reaching 3,463 students between master's programmes (2,935) and advanced courses (428), marking a 15.4% increase compared to the previous year. To give an idea of the magnitude of this growth, in 2019, master's programmes had 1,283 enrolments, thus recording a 129% increase in students over the recent years.

"The increasing numbers reward both the attention to the multidisciplinary nature of our educational offering, which is increasingly diversified and focused on the needs of the territory and the productive and social world, as well as the attractiveness of master's programmes and advanced courses," explains Marta Ghisi, delegate for master's programmes and advanced courses. "These results are the fruit of the competent and passionate work of directors and lecturers of the master's programmes and advanced courses, and the fundamental support of the postgraduate office. And there is an aspect to underline: the master's programmes at the University of Padua portray an encouraging reality, 61.3% of attendees have both parents who are not graduates. Therefore, we are witnessing the phenomenon of social and cultural mobility, which I hope will strengthen more and more over time".

The attractiveness of the university is further demonstrated by the high percentage, 67.5%, of students coming from other Italian or foreign universities who, at the end of their studies, express satisfaction with their university experience. According to the latest Almalaurea data, in fact, one year after completing the attended master's programme, 86.2% would enrol again in the same master's programme or another one at our university. "We are attractive on entry and maintain expectations on exit," comments Marta Ghisi.

The calls for the new master's programmes and advanced courses available from June are published on the relevant page.