giovedì 11 luglio 2024 (in lingua inglese) - slides VIP

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Fondazione Cariparo: 4 milioni di euro per la ricerca scientifica di eccellenza

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Fondazione Cariparo ha assegnato 4 milioni di euro alla ricerca scientifica di eccellenza sostenendo 14 progetti, di cui 13 dell’Università di Padova e uno del CNR. Si è infatti conclusa la fase di selezione della 9° edizione del bando per la ricerca scientifica di eccellenza, con una dotazione di 4 milioni di euro complessivi, suddivisa in 3 aree tematiche: Scienze naturali e ingegneria (1 milione di euro), Scienze della vita (2,45 milioni di euro) e Scienze umane e sociali (550.000 euro).

Hanno partecipato al bando 229 progetti di ricerca che sono stati valutati da 3 commissioni scientifiche, composte da 35 persone esperte, 15 persone esperte ausiliarie delle commissioni e 72 revisori e revisore internazionali, tutti rigorosamente indipendenti; il risultato finale vede premiati, con un contributo triennale, 14 progetti  inerenti a diverse aree di ricerca, dalla produzione di microalghe, all’esplorazione di strategie terapeutiche inedite per le patologie metaboliche, fino alla ricostruzione storica del sistema di sfruttamento delle risorse in pietra euganea.

Un terzo dei progetti ammessi all’ultima fase di selezione ha ottenuto dai revisori internazionali un punteggio medio superiore a 80/100, a testimonianza dell’elevata qualità delle ricerche che si svolgono all’Università di Padova.

I lavori saranno svolti presso organizzazioni di ricerca con sede operativa nelle province di Padova e Rovigo, ma che potranno lavorare anche in partnership con altre organizzazioni al di fuori di questi confini geografici. Per favorire la diffusione dei risultati all’interno della comunità scientifica, ciascun progetto prevede la realizzazione di un sito web dedicato e la pubblicazione open access dei dati prodotti.

«Siamo grati alla Fondazione Cariparo per il suo sostegno alla ricerca di eccellenza nel nostro Ateneo e nel territorio – dice Fabio Zwirner, prorettore alla Ricerca dell’Università di Padova -. L’esito del bando dimostra ancora una volta come il modo migliore per finanziare progetti di grande qualità e potenziale impatto sia quello di lasciare spazio alla creatività di ricercatrici e ricercatori, senza imporre temi di ricerca predefiniti, affidandosi poi a valutazioni esterne indipendenti e qualificate.»

I progetti finanziati riguardano ricerche innovative, legate a temi di grande interesse nei diversi ambiti scientifici, spesso anche con una attenzione al contesto sociale e territoriale in cui viviamo. Qui l’elenco completo

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«Siamo grati alla Fondazione Cariparo per il suo sostegno alla ricerca di eccellenza nel nostro Ateneo e nel territorio – dice Fabio Zwirner, prorettore alla Ricerca dell’Università di Padova -. L’esito del bando dimostra ancora una volta come il modo migliore per finanziare progetti di grande qualità e potenziale impatto sia quello di lasciare spazio alla creatività di ricercatrici e ricercatori, senza imporre temi di ricerca predefiniti, affidandosi poi a valutazioni esterne indipendenti e qualificate.»

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Fondazione Cariparo ha assegnato 4 milioni di euro alla ricerca scientifica di eccellenza sostenendo 14 progetti, di cui 13 dell’Università di Padova e uno del CNR. Si è infatti conclusa la fase di selezione della 9° edizione del bando per la ricerca scientifica di eccellenza, con una dotazione di 4 milioni di euro complessivi, suddivisa in 3 aree tematiche: Scienze naturali e ingegneria (1 milione di euro), Scienze della vita (2,45 milioni di euro) e Scienze umane e sociali (550.000 euro).

Hanno partecipato al bando 229 progetti di ricerca che sono stati valutati da 3 commissioni scientifiche, composte da 35 persone esperte, 15 persone esperte ausiliarie delle commissioni e 72 revisori e revisore internazionali, tutti rigorosamente indipendenti; il risultato finale vede premiati, con un contributo triennale, 14 progetti  inerenti a diverse aree di ricerca, dalla produzione di microalghe, all’esplorazione di strategie terapeutiche inedite per le patologie metaboliche, fino alla ricostruzione storica del sistema di sfruttamento delle risorse in pietra euganea.

Un terzo dei progetti ammessi all’ultima fase di selezione ha ottenuto dai revisori internazionali un punteggio medio superiore a 80/100, a testimonianza dell’elevata qualità delle ricerche che si svolgono all’Università di Padova.

I lavori saranno svolti presso organizzazioni di ricerca con sede operativa nelle province di Padova e Rovigo, ma che potranno lavorare anche in partnership con altre organizzazioni al di fuori di questi confini geografici. Per favorire la diffusione dei risultati all’interno della comunità scientifica, ciascun progetto prevede la realizzazione di un sito web dedicato e la pubblicazione open access dei dati prodotti.

«Siamo grati alla Fondazione Cariparo per il suo sostegno alla ricerca di eccellenza nel nostro Ateneo e nel territorio – dice Fabio Zwirner, prorettore alla Ricerca dell’Università di Padova -. L’esito del bando dimostra ancora una volta come il modo migliore per finanziare progetti di grande qualità e potenziale impatto sia quello di lasciare spazio alla creatività di ricercatrici e ricercatori, senza imporre temi di ricerca predefiniti, affidandosi poi a valutazioni esterne indipendenti e qualificate.»

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Fondazione Cariparo ha assegnato 4 milioni di euro alla ricerca scientifica di eccellenza sostenendo 14 progetti, di cui 13 dell’Università di Padova e uno del CNR. Si è infatti conclusa la fase di selezione della 9° edizione del bando per la ricerca scientifica di eccellenza, con una dotazione di 4 milioni di euro complessivi, suddivisa in 3 aree tematiche: Scienze naturali e ingegneria (1 milione di euro), Scienze della vita (2,45 milioni di euro) e Scienze umane e sociali (550.000 euro).

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FONDAZIONE CARIPARO: 4 MILIONI DI EURO PER LA RICERCA SCIENTIFICA DI ECCELLENZA

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2024N28 - Comunicazione esito colloquio del giorno 11/07/2024

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Nuove strade per studiare le malformazioni congenite del midollo spinale

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Un gruppo di scienziati e scienziate dell’Università di Padova e dell’Istituto Veneto di Medicina Molecolare (VIMM), in collaborazione con l’University College London (UCL), è riuscito a creare sensori di forza meccanica direttamente nel cervello in via di sviluppo e nel midollo spinale degli embrioni di pollo.

Lo studio "Quantifying mechanical forces during vertebrate morphogenesis", pubblicato sulla prestigiosa rivista “Nature Materials”, apre nuove strade per comprendere e prevenire malformazioni congenite come la spina bifida che colpiscono un bambino su 1.000 nati in Europa.

Anche se vengono studiate da decenni, l’intero spettro di queste malformazioni non può essere spiegato mediante studi molecolari e genetici. Una strada complementare è stata quindi quella individuata nello studio dei parametri fisici e meccanici dei tessuti durante lo sviluppo embrionale. Lo studio dei campi di forza che si producono durante le varie fasi dello sviluppo embrionale e sono cruciali nella formazione degli organi e dei sistemi anatomici, è reso però difficile da una serie di problematiche tecniche legate alla difficoltà di agire sugli embrioni. Un esempio tipico in cui la meccanica agisce ed è fondamentale riguarda la formazione del tubo neurale, che darà origine al sistema nervoso centrale.

Per superare questa sfida, uno studio condotto da Eirini Maniou, Marie Sklodowska Curie Fellow all’Università di Padova Associate Staff presso UCL, Nicola Elvassore, professore dell'Università di Padova e direttore scientifico del VIMM, e da Gabriel Galea, Principal Research Fellow presso UCL, è riuscito a costruire attraverso la stampa 3D dei minuscoli sensori di forza, larghi circa 0,1 mm, direttamente nel sistema nervoso in via di sviluppo degli embrioni di pulcino.

Questo ha reso possibile quantificare le minuscole forze – pari a circa 1/10 del peso delle ciglia umane – che gli embrioni devono generare per formare il midollo spinale.
Per uno sviluppo normale dell’embrione, queste forze devono essere maggiori delle forze negative che resistono in senso opposto, e quindi l’identificazione di farmaci in grado di aumentare le forze positive o diminuire quelle negative potrebbe aiutare a prevenire malformazioni congenite come la spina bifida. Tali farmaci potrebbero integrare i benefici dell’assunzione di acido folico, una strategia di prevenzione consolidata prima della gravidanza.

Il gruppo di ricerca ha inoltre dimostrato che la stessa tecnologia può essere applicata alle cellule staminali umane man mano che si specializzano nelle cellule del midollo spinale. In futuro, ciò consentirà di confrontare le cellule staminali di donatori sani e pazienti affetti da spina bifida, con l'obiettivo di capire perché alcune persone sviluppano la condizione.

“Grazie all’utilizzo di biomateriali innovativi e di una microscopia avanzata, questo studio promette un passo avanti importante nel campo della meccanica degli embrioni, e getta le basi per una comprensione unificata dello sviluppo”, ha commentato la dott.ssa Maniou. “Il nostro lavoro apre la strada all’identificazione di nuove strategie preventive e terapeutiche per le malformazioni del sistema nervoso centrale”

La dott.ssa Galea aggiunge: “Questa tecnologia è molto versatile e ampiamente applicabile a molti ambiti di ricerca, e ci auguriamo che venga adottata e applicata tempestivamente anche da altri gruppi per rispondere a domande fondamentali”.

“Le forze coinvolte sono così piccole che è stato necessario combinare simulazioni al computer ed esperimenti di laboratorio umido per progettare e calibrare i sensori. Questi sono stati adattati per valutare i fenomeni meccanici nell’embrione” afferma Piero Pavan, professore associato presso il Dipartimento di Ingegneria Industriale dell'Università di Padova, che ha guidato le simulazioni computazionali.

“Questa scoperta permette non solo di comprendere meglio le forze meccaniche in gioco durante lo sviluppo embrionale, ma ci offre anche nuove prospettive per intervenire e prevenire condizioni come la spina bifida. La possibilità di quantificare le forze embrionali con tale precisione rappresenta un passo avanti significativo nella ricerca biomedica", conclude Nicola Elvassore. Questo risultato ci insegna che l’unione di scienziati e scienziate con profili diversi, come chimici, biologi, medici, ingegneri chimici e bioingegneri, può affrontare sfide importanti e portare a sostanziali progressi nelle scienze biomediche e, in futuro, a importanti applicazioni nella medicina.

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Lo studio "Quantifying mechanical forces during vertebrate morphogenesis", pubblicato sulla prestigiosa rivista “Nature Materials”, apre nuove strade per comprendere e prevenire malformazioni congenite come la spina bifida che colpiscono un bambino su 1.000 nati in Europa.

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Per superare questa sfida, uno studio condotto da Eirini Maniou, Marie Sklodowska Curie Fellow all’Università di Padova Associate Staff presso UCL, Nicola Elvassore, professore dell'Università di Padova e direttore scientifico del VIMM, e da Gabriel Galea, Principal Research Fellow presso UCL, è riuscito a costruire attraverso la stampa 3D dei minuscoli sensori di forza, larghi circa 0,1 mm, direttamente nel sistema nervoso in via di sviluppo degli embrioni di pulcino.

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Il gruppo di ricerca ha inoltre dimostrato che la stessa tecnologia può essere applicata alle cellule staminali umane man mano che si specializzano nelle cellule del midollo spinale. In futuro, ciò consentirà di confrontare le cellule staminali di donatori sani e pazienti affetti da spina bifida, con l'obiettivo di capire perché alcune persone sviluppano la condizione.

“Grazie all’utilizzo di biomateriali innovativi e di una microscopia avanzata, questo studio promette un passo avanti importante nel campo della meccanica degli embrioni, e getta le basi per una comprensione unificata dello sviluppo”, ha commentato la dott.ssa Maniou. “Il nostro lavoro apre la strada all’identificazione di nuove strategie preventive e terapeutiche per le malformazioni del sistema nervoso centrale”

La dott.ssa Galea aggiunge: “Questa tecnologia è molto versatile e ampiamente applicabile a molti ambiti di ricerca, e ci auguriamo che venga adottata e applicata tempestivamente anche da altri gruppi per rispondere a domande fondamentali”.

“Le forze coinvolte sono così piccole che è stato necessario combinare simulazioni al computer ed esperimenti di laboratorio umido per progettare e calibrare i sensori. Questi sono stati adattati per valutare i fenomeni meccanici nell’embrione” afferma Piero Pavan, professore associato presso il Dipartimento di Ingegneria Industriale dell'Università di Padova, che ha guidato le simulazioni computazionali.

“Questa scoperta permette non solo di comprendere meglio le forze meccaniche in gioco durante lo sviluppo embrionale, ma ci offre anche nuove prospettive per intervenire e prevenire condizioni come la spina bifida. La possibilità di quantificare le forze embrionali con tale precisione rappresenta un passo avanti significativo nella ricerca biomedica", conclude Nicola Elvassore. Questo risultato ci insegna che l’unione di scienziati e scienziate con profili diversi, come chimici, biologi, medici, ingegneri chimici e bioingegneri, può affrontare sfide importanti e portare a sostanziali progressi nelle scienze biomediche e, in futuro, a importanti applicazioni nella medicina.

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Un gruppo di scienziati e scienziate dell’Università di Padova e dell’Istituto Veneto di Medicina Molecolare (VIMM), in collaborazione con l’University College London (UCL), è riuscito a creare sensori di forza meccanica direttamente nel cervello in via di sviluppo e nel midollo spinale degli embrioni di pollo.

Lo studio "Quantifying mechanical forces during vertebrate morphogenesis", pubblicato sulla prestigiosa rivista “Nature Materials”, apre nuove strade per comprendere e prevenire malformazioni congenite come la spina bifida che colpiscono un bambino su 1.000 nati in Europa.

Anche se vengono studiate da decenni, l’intero spettro di queste malformazioni non può essere spiegato mediante studi molecolari e genetici. Una strada complementare è stata quindi quella individuata nello studio dei parametri fisici e meccanici dei tessuti durante lo sviluppo embrionale. Lo studio dei campi di forza che si producono durante le varie fasi dello sviluppo embrionale e sono cruciali nella formazione degli organi e dei sistemi anatomici, è reso però difficile da una serie di problematiche tecniche legate alla difficoltà di agire sugli embrioni. Un esempio tipico in cui la meccanica agisce ed è fondamentale riguarda la formazione del tubo neurale, che darà origine al sistema nervoso centrale.

Per superare questa sfida, uno studio condotto da Eirini Maniou, Marie Sklodowska Curie Fellow all’Università di Padova Associate Staff presso UCL, Nicola Elvassore, professore dell'Università di Padova e direttore scientifico del VIMM, e da Gabriel Galea, Principal Research Fellow presso UCL, è riuscito a costruire attraverso la stampa 3D dei minuscoli sensori di forza, larghi circa 0,1 mm, direttamente nel sistema nervoso in via di sviluppo degli embrioni di pulcino.

Questo ha reso possibile quantificare le minuscole forze – pari a circa 1/10 del peso delle ciglia umane – che gli embrioni devono generare per formare il midollo spinale.
Per uno sviluppo normale dell’embrione, queste forze devono essere maggiori delle forze negative che resistono in senso opposto, e quindi l’identificazione di farmaci in grado di aumentare le forze positive o diminuire quelle negative potrebbe aiutare a prevenire malformazioni congenite come la spina bifida. Tali farmaci potrebbero integrare i benefici dell’assunzione di acido folico, una strategia di prevenzione consolidata prima della gravidanza.

Il gruppo di ricerca ha inoltre dimostrato che la stessa tecnologia può essere applicata alle cellule staminali umane man mano che si specializzano nelle cellule del midollo spinale. In futuro, ciò consentirà di confrontare le cellule staminali di donatori sani e pazienti affetti da spina bifida, con l'obiettivo di capire perché alcune persone sviluppano la condizione.

“Grazie all’utilizzo di biomateriali innovativi e di una microscopia avanzata, questo studio promette un passo avanti importante nel campo della meccanica degli embrioni, e getta le basi per una comprensione unificata dello sviluppo”, ha commentato la dott.ssa Maniou. “Il nostro lavoro apre la strada all’identificazione di nuove strategie preventive e terapeutiche per le malformazioni del sistema nervoso centrale”

La dott.ssa Galea aggiunge: “Questa tecnologia è molto versatile e ampiamente applicabile a molti ambiti di ricerca, e ci auguriamo che venga adottata e applicata tempestivamente anche da altri gruppi per rispondere a domande fondamentali”.

“Le forze coinvolte sono così piccole che è stato necessario combinare simulazioni al computer ed esperimenti di laboratorio umido per progettare e calibrare i sensori. Questi sono stati adattati per valutare i fenomeni meccanici nell’embrione” afferma Piero Pavan, professore associato presso il Dipartimento di Ingegneria Industriale dell'Università di Padova, che ha guidato le simulazioni computazionali.

“Questa scoperta permette non solo di comprendere meglio le forze meccaniche in gioco durante lo sviluppo embrionale, ma ci offre anche nuove prospettive per intervenire e prevenire condizioni come la spina bifida. La possibilità di quantificare le forze embrionali con tale precisione rappresenta un passo avanti significativo nella ricerca biomedica", conclude Nicola Elvassore. Questo risultato ci insegna che l’unione di scienziati e scienziate con profili diversi, come chimici, biologi, medici, ingegneri chimici e bioingegneri, può affrontare sfide importanti e portare a sostanziali progressi nelle scienze biomediche e, in futuro, a importanti applicazioni nella medicina.

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Un gruppo di scienziati e scienziate dell’Università di Padova e dell’Istituto Veneto di Medicina Molecolare (VIMM), in collaborazione con l’University College London (UCL), è riuscito a creare sensori di forza meccanica direttamente nel cervello in via di sviluppo e nel midollo spinale degli embrioni di pollo.

Lo studio "Quantifying mechanical forces during vertebrate morphogenesis", pubblicato sulla prestigiosa rivista “Nature Materials”, apre nuove strade per comprendere e prevenire malformazioni congenite come la spina bifida che colpiscono un bambino su 1.000 nati in Europa.

Anche se vengono studiate da decenni, l’intero spettro di queste malformazioni non può essere spiegato mediante studi molecolari e genetici. Una strada complementare è stata quindi quella individuata nello studio dei parametri fisici e meccanici dei tessuti durante lo sviluppo embrionale. Lo studio dei campi di forza che si producono durante le varie fasi dello sviluppo embrionale e sono cruciali nella formazione degli organi e dei sistemi anatomici, è reso però difficile da una serie di problematiche tecniche legate alla difficoltà di agire sugli embrioni. Un esempio tipico in cui la meccanica agisce ed è fondamentale riguarda la formazione del tubo neurale, che darà origine al sistema nervoso centrale.

Per superare questa sfida, uno studio condotto da Eirini Maniou, Marie Sklodowska Curie Fellow all’Università di Padova Associate Staff presso UCL, Nicola Elvassore, professore dell'Università di Padova e direttore scientifico del VIMM, e da Gabriel Galea, Principal Research Fellow presso UCL, è riuscito a costruire attraverso la stampa 3D dei minuscoli sensori di forza, larghi circa 0,1 mm, direttamente nel sistema nervoso in via di sviluppo degli embrioni di pulcino.

Questo ha reso possibile quantificare le minuscole forze – pari a circa 1/10 del peso delle ciglia umane – che gli embrioni devono generare per formare il midollo spinale.
Per uno sviluppo normale dell’embrione, queste forze devono essere maggiori delle forze negative che resistono in senso opposto, e quindi l’identificazione di farmaci in grado di aumentare le forze positive o diminuire quelle negative potrebbe aiutare a prevenire malformazioni congenite come la spina bifida. Tali farmaci potrebbero integrare i benefici dell’assunzione di acido folico, una strategia di prevenzione consolidata prima della gravidanza.

Il gruppo di ricerca ha inoltre dimostrato che la stessa tecnologia può essere applicata alle cellule staminali umane man mano che si specializzano nelle cellule del midollo spinale. In futuro, ciò consentirà di confrontare le cellule staminali di donatori sani e pazienti affetti da spina bifida, con l'obiettivo di capire perché alcune persone sviluppano la condizione.

“Grazie all’utilizzo di biomateriali innovativi e di una microscopia avanzata, questo studio promette un passo avanti importante nel campo della meccanica degli embrioni, e getta le basi per una comprensione unificata dello sviluppo”, ha commentato la dott.ssa Maniou. “Il nostro lavoro apre la strada all’identificazione di nuove strategie preventive e terapeutiche per le malformazioni del sistema nervoso centrale”

La dott.ssa Galea aggiunge: “Questa tecnologia è molto versatile e ampiamente applicabile a molti ambiti di ricerca, e ci auguriamo che venga adottata e applicata tempestivamente anche da altri gruppi per rispondere a domande fondamentali”.

“Le forze coinvolte sono così piccole che è stato necessario combinare simulazioni al computer ed esperimenti di laboratorio umido per progettare e calibrare i sensori. Questi sono stati adattati per valutare i fenomeni meccanici nell’embrione” afferma Piero Pavan, professore associato presso il Dipartimento di Ingegneria Industriale dell'Università di Padova, che ha guidato le simulazioni computazionali.

“Questa scoperta permette non solo di comprendere meglio le forze meccaniche in gioco durante lo sviluppo embrionale, ma ci offre anche nuove prospettive per intervenire e prevenire condizioni come la spina bifida. La possibilità di quantificare le forze embrionali con tale precisione rappresenta un passo avanti significativo nella ricerca biomedica", conclude Nicola Elvassore. Questo risultato ci insegna che l’unione di scienziati e scienziate con profili diversi, come chimici, biologi, medici, ingegneri chimici e bioingegneri, può affrontare sfide importanti e portare a sostanziali progressi nelle scienze biomediche e, in futuro, a importanti applicazioni nella medicina.

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Lo studio "Quantifying mechanical forces during vertebrate morphogenesis", pubblicato sulla prestigiosa rivista “Nature Materials”, apre nuove strade per comprendere e prevenire malformazioni congenite come la spina bifida che colpiscono un bambino su 1.000 nati in Europa.

Anche se vengono studiate da decenni, l’intero spettro di queste malformazioni non può essere spiegato mediante studi molecolari e genetici. Una strada complementare è stata quindi quella individuata nello studio dei parametri fisici e meccanici dei tessuti durante lo sviluppo embrionale. Lo studio dei campi di forza che si producono durante le varie fasi dello sviluppo embrionale e sono cruciali nella formazione degli organi e dei sistemi anatomici, è reso però difficile da una serie di problematiche tecniche legate alla difficoltà di agire sugli embrioni. Un esempio tipico in cui la meccanica agisce ed è fondamentale riguarda la formazione del tubo neurale, che darà origine al sistema nervoso centrale.

Per superare questa sfida, uno studio condotto da Eirini Maniou, Marie Sklodowska Curie Fellow all’Università di Padova Associate Staff presso UCL, Nicola Elvassore, professore dell'Università di Padova e direttore scientifico del VIMM, e da Gabriel Galea, Principal Research Fellow presso UCL, è riuscito a costruire attraverso la stampa 3D dei minuscoli sensori di forza, larghi circa 0,1 mm, direttamente nel sistema nervoso in via di sviluppo degli embrioni di pulcino.

Questo ha reso possibile quantificare le minuscole forze – pari a circa 1/10 del peso delle ciglia umane – che gli embrioni devono generare per formare il midollo spinale.
Per uno sviluppo normale dell’embrione, queste forze devono essere maggiori delle forze negative che resistono in senso opposto, e quindi l’identificazione di farmaci in grado di aumentare le forze positive o diminuire quelle negative potrebbe aiutare a prevenire malformazioni congenite come la spina bifida. Tali farmaci potrebbero integrare i benefici dell’assunzione di acido folico, una strategia di prevenzione consolidata prima della gravidanza.

Il gruppo di ricerca ha inoltre dimostrato che la stessa tecnologia può essere applicata alle cellule staminali umane man mano che si specializzano nelle cellule del midollo spinale. In futuro, ciò consentirà di confrontare le cellule staminali di donatori sani e pazienti affetti da spina bifida, con l'obiettivo di capire perché alcune persone sviluppano la condizione.

“Grazie all’utilizzo di biomateriali innovativi e di una microscopia avanzata, questo studio promette un passo avanti importante nel campo della meccanica degli embrioni, e getta le basi per una comprensione unificata dello sviluppo”, ha commentato la dott.ssa Maniou. “Il nostro lavoro apre la strada all’identificazione di nuove strategie preventive e terapeutiche per le malformazioni del sistema nervoso centrale”

La dott.ssa Galea aggiunge: “Questa tecnologia è molto versatile e ampiamente applicabile a molti ambiti di ricerca, e ci auguriamo che venga adottata e applicata tempestivamente anche da altri gruppi per rispondere a domande fondamentali”.

“Le forze coinvolte sono così piccole che è stato necessario combinare simulazioni al computer ed esperimenti di laboratorio umido per progettare e calibrare i sensori. Questi sono stati adattati per valutare i fenomeni meccanici nell’embrione” afferma Piero Pavan, professore associato presso il Dipartimento di Ingegneria Industriale dell'Università di Padova, che ha guidato le simulazioni computazionali.

“Questa scoperta permette non solo di comprendere meglio le forze meccaniche in gioco durante lo sviluppo embrionale, ma ci offre anche nuove prospettive per intervenire e prevenire condizioni come la spina bifida. La possibilità di quantificare le forze embrionali con tale precisione rappresenta un passo avanti significativo nella ricerca biomedica", conclude Nicola Elvassore. Questo risultato ci insegna che l’unione di scienziati e scienziate con profili diversi, come chimici, biologi, medici, ingegneri chimici e bioingegneri, può affrontare sfide importanti e portare a sostanziali progressi nelle scienze biomediche e, in futuro, a importanti applicazioni nella medicina.

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Lo studio "Quantifying mechanical forces during vertebrate morphogenesis", pubblicato sulla prestigiosa rivista “Nature Materials”, apre nuove strade per comprendere e prevenire malformazioni congenite come la spina bifida che colpiscono un bambino su 1.000 nati in Europa.

Anche se vengono studiate da decenni, l’intero spettro di queste malformazioni non può essere spiegato mediante studi molecolari e genetici. Una strada complementare è stata quindi quella individuata nello studio dei parametri fisici e meccanici dei tessuti durante lo sviluppo embrionale. Lo studio dei campi di forza che si producono durante le varie fasi dello sviluppo embrionale e sono cruciali nella formazione degli organi e dei sistemi anatomici, è reso però difficile da una serie di problematiche tecniche legate alla difficoltà di agire sugli embrioni. Un esempio tipico in cui la meccanica agisce ed è fondamentale riguarda la formazione del tubo neurale, che darà origine al sistema nervoso centrale.

Per superare questa sfida, uno studio condotto da Eirini Maniou, Marie Sklodowska Curie Fellow all’Università di Padova Associate Staff presso UCL, Nicola Elvassore, professore dell'Università di Padova e direttore scientifico del VIMM, e da Gabriel Galea, Principal Research Fellow presso UCL, è riuscito a costruire attraverso la stampa 3D dei minuscoli sensori di forza, larghi circa 0,1 mm, direttamente nel sistema nervoso in via di sviluppo degli embrioni di pulcino.

Questo ha reso possibile quantificare le minuscole forze – pari a circa 1/10 del peso delle ciglia umane – che gli embrioni devono generare per formare il midollo spinale.
Per uno sviluppo normale dell’embrione, queste forze devono essere maggiori delle forze negative che resistono in senso opposto, e quindi l’identificazione di farmaci in grado di aumentare le forze positive o diminuire quelle negative potrebbe aiutare a prevenire malformazioni congenite come la spina bifida. Tali farmaci potrebbero integrare i benefici dell’assunzione di acido folico, una strategia di prevenzione consolidata prima della gravidanza.

Il gruppo di ricerca ha inoltre dimostrato che la stessa tecnologia può essere applicata alle cellule staminali umane man mano che si specializzano nelle cellule del midollo spinale. In futuro, ciò consentirà di confrontare le cellule staminali di donatori sani e pazienti affetti da spina bifida, con l'obiettivo di capire perché alcune persone sviluppano la condizione.

“Grazie all’utilizzo di biomateriali innovativi e di una microscopia avanzata, questo studio promette un passo avanti importante nel campo della meccanica degli embrioni, e getta le basi per una comprensione unificata dello sviluppo”, ha commentato la dott.ssa Maniou. “Il nostro lavoro apre la strada all’identificazione di nuove strategie preventive e terapeutiche per le malformazioni del sistema nervoso centrale”

La dott.ssa Galea aggiunge: “Questa tecnologia è molto versatile e ampiamente applicabile a molti ambiti di ricerca, e ci auguriamo che venga adottata e applicata tempestivamente anche da altri gruppi per rispondere a domande fondamentali”.

“Le forze coinvolte sono così piccole che è stato necessario combinare simulazioni al computer ed esperimenti di laboratorio umido per progettare e calibrare i sensori. Questi sono stati adattati per valutare i fenomeni meccanici nell’embrione” afferma Piero Pavan, professore associato presso il Dipartimento di Ingegneria Industriale dell'Università di Padova, che ha guidato le simulazioni computazionali.

“Questa scoperta permette non solo di comprendere meglio le forze meccaniche in gioco durante lo sviluppo embrionale, ma ci offre anche nuove prospettive per intervenire e prevenire condizioni come la spina bifida. La possibilità di quantificare le forze embrionali con tale precisione rappresenta un passo avanti significativo nella ricerca biomedica", conclude Nicola Elvassore. Questo risultato ci insegna che l’unione di scienziati e scienziate con profili diversi, come chimici, biologi, medici, ingegneri chimici e bioingegneri, può affrontare sfide importanti e portare a sostanziali progressi nelle scienze biomediche e, in futuro, a importanti applicazioni nella medicina.

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Lo studio "Quantifying mechanical forces during vertebrate morphogenesis", pubblicato sulla prestigiosa rivista “Nature Materials”, apre nuove strade per comprendere e prevenire malformazioni congenite come la spina bifida che colpiscono un bambino su 1.000 nati in Europa.

Anche se vengono studiate da decenni, l’intero spettro di queste malformazioni non può essere spiegato mediante studi molecolari e genetici. Una strada complementare è stata quindi quella individuata nello studio dei parametri fisici e meccanici dei tessuti durante lo sviluppo embrionale. Lo studio dei campi di forza che si producono durante le varie fasi dello sviluppo embrionale e sono cruciali nella formazione degli organi e dei sistemi anatomici, è reso però difficile da una serie di problematiche tecniche legate alla difficoltà di agire sugli embrioni. Un esempio tipico in cui la meccanica agisce ed è fondamentale riguarda la formazione del tubo neurale, che darà origine al sistema nervoso centrale.

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Il gruppo di ricerca ha inoltre dimostrato che la stessa tecnologia può essere applicata alle cellule staminali umane man mano che si specializzano nelle cellule del midollo spinale. In futuro, ciò consentirà di confrontare le cellule staminali di donatori sani e pazienti affetti da spina bifida, con l'obiettivo di capire perché alcune persone sviluppano la condizione.

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La dott.ssa Galea aggiunge: “Questa tecnologia è molto versatile e ampiamente applicabile a molti ambiti di ricerca, e ci auguriamo che venga adottata e applicata tempestivamente anche da altri gruppi per rispondere a domande fondamentali”.

“Le forze coinvolte sono così piccole che è stato necessario combinare simulazioni al computer ed esperimenti di laboratorio umido per progettare e calibrare i sensori. Questi sono stati adattati per valutare i fenomeni meccanici nell’embrione” afferma Piero Pavan, professore associato presso il Dipartimento di Ingegneria Industriale dell'Università di Padova, che ha guidato le simulazioni computazionali.

“Questa scoperta permette non solo di comprendere meglio le forze meccaniche in gioco durante lo sviluppo embrionale, ma ci offre anche nuove prospettive per intervenire e prevenire condizioni come la spina bifida. La possibilità di quantificare le forze embrionali con tale precisione rappresenta un passo avanti significativo nella ricerca biomedica", conclude Nicola Elvassore. Questo risultato ci insegna che l’unione di scienziati e scienziate con profili diversi, come chimici, biologi, medici, ingegneri chimici e bioingegneri, può affrontare sfide importanti e portare a sostanziali progressi nelle scienze biomediche e, in futuro, a importanti applicazioni nella medicina.

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Un gruppo di scienziati e scienziate dell’Università di Padova e dell’Istituto Veneto di Medicina Molecolare (VIMM), in collaborazione con l’University College London (UCL), è riuscito a creare sensori di forza meccanica direttamente nel cervello in via di sviluppo e nel midollo spinale degli embrioni di pollo.

Lo studio "Quantifying mechanical forces during vertebrate morphogenesis", pubblicato sulla prestigiosa rivista “Nature Materials”, apre nuove strade per comprendere e prevenire malformazioni congenite come la spina bifida che colpiscono un bambino su 1.000 nati in Europa.

Anche se vengono studiate da decenni, l’intero spettro di queste malformazioni non può essere spiegato mediante studi molecolari e genetici. Una strada complementare è stata quindi quella individuata nello studio dei parametri fisici e meccanici dei tessuti durante lo sviluppo embrionale. Lo studio dei campi di forza che si producono durante le varie fasi dello sviluppo embrionale e sono cruciali nella formazione degli organi e dei sistemi anatomici, è reso però difficile da una serie di problematiche tecniche legate alla difficoltà di agire sugli embrioni. Un esempio tipico in cui la meccanica agisce ed è fondamentale riguarda la formazione del tubo neurale, che darà origine al sistema nervoso centrale.

Per superare questa sfida, uno studio condotto da Eirini Maniou, Marie Sklodowska Curie Fellow all’Università di Padova Associate Staff presso UCL, Nicola Elvassore, professore dell'Università di Padova e direttore scientifico del VIMM, e da Gabriel Galea, Principal Research Fellow presso UCL, è riuscito a costruire attraverso la stampa 3D dei minuscoli sensori di forza, larghi circa 0,1 mm, direttamente nel sistema nervoso in via di sviluppo degli embrioni di pulcino.

Questo ha reso possibile quantificare le minuscole forze – pari a circa 1/10 del peso delle ciglia umane – che gli embrioni devono generare per formare il midollo spinale.
Per uno sviluppo normale dell’embrione, queste forze devono essere maggiori delle forze negative che resistono in senso opposto, e quindi l’identificazione di farmaci in grado di aumentare le forze positive o diminuire quelle negative potrebbe aiutare a prevenire malformazioni congenite come la spina bifida. Tali farmaci potrebbero integrare i benefici dell’assunzione di acido folico, una strategia di prevenzione consolidata prima della gravidanza.

Il gruppo di ricerca ha inoltre dimostrato che la stessa tecnologia può essere applicata alle cellule staminali umane man mano che si specializzano nelle cellule del midollo spinale. In futuro, ciò consentirà di confrontare le cellule staminali di donatori sani e pazienti affetti da spina bifida, con l'obiettivo di capire perché alcune persone sviluppano la condizione.

“Grazie all’utilizzo di biomateriali innovativi e di una microscopia avanzata, questo studio promette un passo avanti importante nel campo della meccanica degli embrioni, e getta le basi per una comprensione unificata dello sviluppo”, ha commentato la dott.ssa Maniou. “Il nostro lavoro apre la strada all’identificazione di nuove strategie preventive e terapeutiche per le malformazioni del sistema nervoso centrale”

La dott.ssa Galea aggiunge: “Questa tecnologia è molto versatile e ampiamente applicabile a molti ambiti di ricerca, e ci auguriamo che venga adottata e applicata tempestivamente anche da altri gruppi per rispondere a domande fondamentali”.

“Le forze coinvolte sono così piccole che è stato necessario combinare simulazioni al computer ed esperimenti di laboratorio umido per progettare e calibrare i sensori. Questi sono stati adattati per valutare i fenomeni meccanici nell’embrione” afferma Piero Pavan, professore associato presso il Dipartimento di Ingegneria Industriale dell'Università di Padova, che ha guidato le simulazioni computazionali.

“Questa scoperta permette non solo di comprendere meglio le forze meccaniche in gioco durante lo sviluppo embrionale, ma ci offre anche nuove prospettive per intervenire e prevenire condizioni come la spina bifida. La possibilità di quantificare le forze embrionali con tale precisione rappresenta un passo avanti significativo nella ricerca biomedica", conclude Nicola Elvassore. Questo risultato ci insegna che l’unione di scienziati e scienziate con profili diversi, come chimici, biologi, medici, ingegneri chimici e bioingegneri, può affrontare sfide importanti e portare a sostanziali progressi nelle scienze biomediche e, in futuro, a importanti applicazioni nella medicina.

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Un gruppo di scienziati e scienziate dell’Università di Padova e dell’Istituto Veneto di Medicina Molecolare (VIMM), in collaborazione con l’University College London (UCL), è riuscito a creare sensori di forza meccanica direttamente nel cervello in via di sviluppo e nel midollo spinale degli embrioni di pollo.

Lo studio "Quantifying mechanical forces during vertebrate morphogenesis", pubblicato sulla prestigiosa rivista “Nature Materials”, apre nuove strade per comprendere e prevenire malformazioni congenite come la spina bifida che colpiscono un bambino su 1.000 nati in Europa.

Anche se vengono studiate da decenni, l’intero spettro di queste malformazioni non può essere spiegato mediante studi molecolari e genetici. Una strada complementare è stata quindi quella individuata nello studio dei parametri fisici e meccanici dei tessuti durante lo sviluppo embrionale. Lo studio dei campi di forza che si producono durante le varie fasi dello sviluppo embrionale e sono cruciali nella formazione degli organi e dei sistemi anatomici, è reso però difficile da una serie di problematiche tecniche legate alla difficoltà di agire sugli embrioni. Un esempio tipico in cui la meccanica agisce ed è fondamentale riguarda la formazione del tubo neurale, che darà origine al sistema nervoso centrale.

Per superare questa sfida, uno studio condotto da Eirini Maniou, Marie Sklodowska Curie Fellow all’Università di Padova Associate Staff presso UCL, Nicola Elvassore, professore dell'Università di Padova e direttore scientifico del VIMM, e da Gabriel Galea, Principal Research Fellow presso UCL, è riuscito a costruire attraverso la stampa 3D dei minuscoli sensori di forza, larghi circa 0,1 mm, direttamente nel sistema nervoso in via di sviluppo degli embrioni di pulcino.

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Il gruppo di ricerca ha inoltre dimostrato che la stessa tecnologia può essere applicata alle cellule staminali umane man mano che si specializzano nelle cellule del midollo spinale. In futuro, ciò consentirà di confrontare le cellule staminali di donatori sani e pazienti affetti da spina bifida, con l'obiettivo di capire perché alcune persone sviluppano la condizione.

“Grazie all’utilizzo di biomateriali innovativi e di una microscopia avanzata, questo studio promette un passo avanti importante nel campo della meccanica degli embrioni, e getta le basi per una comprensione unificata dello sviluppo”, ha commentato la dott.ssa Maniou. “Il nostro lavoro apre la strada all’identificazione di nuove strategie preventive e terapeutiche per le malformazioni del sistema nervoso centrale”

La dott.ssa Galea aggiunge: “Questa tecnologia è molto versatile e ampiamente applicabile a molti ambiti di ricerca, e ci auguriamo che venga adottata e applicata tempestivamente anche da altri gruppi per rispondere a domande fondamentali”.

“Le forze coinvolte sono così piccole che è stato necessario combinare simulazioni al computer ed esperimenti di laboratorio umido per progettare e calibrare i sensori. Questi sono stati adattati per valutare i fenomeni meccanici nell’embrione” afferma Piero Pavan, professore associato presso il Dipartimento di Ingegneria Industriale dell'Università di Padova, che ha guidato le simulazioni computazionali.

“Questa scoperta permette non solo di comprendere meglio le forze meccaniche in gioco durante lo sviluppo embrionale, ma ci offre anche nuove prospettive per intervenire e prevenire condizioni come la spina bifida. La possibilità di quantificare le forze embrionali con tale precisione rappresenta un passo avanti significativo nella ricerca biomedica", conclude Nicola Elvassore. Questo risultato ci insegna che l’unione di scienziati e scienziate con profili diversi, come chimici, biologi, medici, ingegneri chimici e bioingegneri, può affrontare sfide importanti e portare a sostanziali progressi nelle scienze biomediche e, in futuro, a importanti applicazioni nella medicina.

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Per superare questa sfida, uno studio condotto da Eirini Maniou, Marie Sklodowska Curie Fellow all’Università di Padova Associate Staff presso UCL, Nicola Elvassore, professore dell'Università di Padova e direttore scientifico del VIMM, e da Gabriel Galea, Principal Research Fellow presso UCL, è riuscito a costruire attraverso la stampa 3D dei minuscoli sensori di forza, larghi circa 0,1 mm, direttamente nel sistema nervoso in via di sviluppo degli embrioni di pulcino.

Questo ha reso possibile quantificare le minuscole forze – pari a circa 1/10 del peso delle ciglia umane – che gli embrioni devono generare per formare il midollo spinale.
Per uno sviluppo normale dell’embrione, queste forze devono essere maggiori delle forze negative che resistono in senso opposto, e quindi l’identificazione di farmaci in grado di aumentare le forze positive o diminuire quelle negative potrebbe aiutare a prevenire malformazioni congenite come la spina bifida. Tali farmaci potrebbero integrare i benefici dell’assunzione di acido folico, una strategia di prevenzione consolidata prima della gravidanza.

Il gruppo di ricerca ha inoltre dimostrato che la stessa tecnologia può essere applicata alle cellule staminali umane man mano che si specializzano nelle cellule del midollo spinale. In futuro, ciò consentirà di confrontare le cellule staminali di donatori sani e pazienti affetti da spina bifida, con l'obiettivo di capire perché alcune persone sviluppano la condizione.

“Grazie all’utilizzo di biomateriali innovativi e di una microscopia avanzata, questo studio promette un passo avanti importante nel campo della meccanica degli embrioni, e getta le basi per una comprensione unificata dello sviluppo”, ha commentato la dott.ssa Maniou. “Il nostro lavoro apre la strada all’identificazione di nuove strategie preventive e terapeutiche per le malformazioni del sistema nervoso centrale”

La dott.ssa Galea aggiunge: “Questa tecnologia è molto versatile e ampiamente applicabile a molti ambiti di ricerca, e ci auguriamo che venga adottata e applicata tempestivamente anche da altri gruppi per rispondere a domande fondamentali”.

“Le forze coinvolte sono così piccole che è stato necessario combinare simulazioni al computer ed esperimenti di laboratorio umido per progettare e calibrare i sensori. Questi sono stati adattati per valutare i fenomeni meccanici nell’embrione” afferma Piero Pavan, professore associato presso il Dipartimento di Ingegneria Industriale dell'Università di Padova, che ha guidato le simulazioni computazionali.

“Questa scoperta permette non solo di comprendere meglio le forze meccaniche in gioco durante lo sviluppo embrionale, ma ci offre anche nuove prospettive per intervenire e prevenire condizioni come la spina bifida. La possibilità di quantificare le forze embrionali con tale precisione rappresenta un passo avanti significativo nella ricerca biomedica", conclude Nicola Elvassore. Questo risultato ci insegna che l’unione di scienziati e scienziate con profili diversi, come chimici, biologi, medici, ingegneri chimici e bioingegneri, può affrontare sfide importanti e portare a sostanziali progressi nelle scienze biomediche e, in futuro, a importanti applicazioni nella medicina.

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GUADAGNANO PIÙ DELLA MEDIA ITALIANA, SI DIPLOMANO PRIMA, SONO INTERNAZIONALI: ECCO LA “CARTA D’IDENTITÀ” ALMALAUREA DEL DOTTORE DI RICERCA UNIPD

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Verbale 1 - Criteri

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Almalaurea: i dottori e le dottoresse di ricerca Unipd guadagnano più della media italiana si diplomano prima e sono internazionali

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Guadagnano mediamente più di duemila euro netti al mese, cento euro in più rispetto alla media italiana, hanno un altissimo tasso di occupazione e provengono sempre più da atenei esteri: questa la “carta d’identità”, delineata dai più recenti dati Almalaurea, delle dottoresse e dei dottori di ricerca diplomati all’Università di Padova.

«L’Università di Padova continua a investire sulla formazione dottorale, visto il ruolo fondamentale che questi giovani hanno sul sistema della ricerca di ateneo. I dati di Almalaurea ci restituiscono risultati molto lusinghieri: siamo attrattivi e efficaci nella formazione – afferma Massimiliano Zattin, prorettore al Dottorato dell’Università degli Studi di Padova –. Continueremo a insistere sulla strada intrapresa: si è appena conclusa la prima tornata di selezioni per 479 posizioni di dottorato, alle quali se ne aggiungeranno un altro centinaio attraverso un bando legato a risorse PNRR che prevede il co-finanziamento da parte di aziende (scadenza: 25 luglio). Attualmente, il numero complessivo di dottorandi si aggira sulle 2.100 unità, di poco inferiore al numero di docenti strutturati».

I DATI
I dati relativi ai dottori di ricerca del 2023 mostrano un’età media al momento del conseguimento del titolo di 30,9 anni, sensibilmente inferiore rispetto ai 32,4 della media italiana. La vocazione internazionale è testimoniata non solo dalla crescente percentuale di dottori e dottoresse che si è laureata in un Ateneo estero (14% contro una media nazionale dell’11%) ma anche dal 59% di dottorandi che ha trascorso un periodo all’estero, superiore a 6 mesi per il 26% di loro (Paesi più gettonati: Francia, Germania e Stati Uniti).
L’attività di ricerca si è svolta in gruppi ben organizzati nell’83,1 (media italiana 78%), è stata supportata da adeguati finanziamenti per il 88,4% dei casi (ben superiore alla media italiana dell’81%) e ha prodotto almeno una pubblicazione per l’85,5% dei dottori (tra questi, il 93,8% l’ha realizzata in inglese).
Questi numeri, estremamente positivi, si traducono in un tasso di occupazione ad un anno dal conseguimento del titolo che raggiunge il 91,1%, con una retribuzione netta mensile di 2012 euro, superiore alla media italiana di 1.902 euro.

Da notare che l’85,5% dei dottori di ricerca è impiegato in professioni intellettuali, scientifiche e di elevata specializzazione, pienamente congruenti quindi con il percorso dottorale appena terminato. In definitiva, il titolo è risultato molto efficace per il lavoro svolto nel 76% dei casi.

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«L’Università di Padova continua a investire sulla formazione dottorale, visto il ruolo fondamentale che questi giovani hanno sul sistema della ricerca di ateneo. I dati di Almalaurea ci restituiscono risultati molto lusinghieri: siamo attrattivi e efficaci nella formazione – afferma Massimiliano Zattin, prorettore al Dottorato dell’Università degli Studi di Padova –. Continueremo a insistere sulla strada intrapresa: si è appena conclusa la prima tornata di selezioni per 479 posizioni di dottorato, alle quali se ne aggiungeranno un altro centinaio attraverso un bando legato a risorse PNRR che prevede il co-finanziamento da parte di aziende (scadenza: 25 luglio). Attualmente, il numero complessivo di dottorandi si aggira sulle 2.100 unità, di poco inferiore al numero di docenti strutturati».

I DATI
I dati relativi ai dottori di ricerca del 2023 mostrano un’età media al momento del conseguimento del titolo di 30,9 anni, sensibilmente inferiore rispetto ai 32,4 della media italiana. La vocazione internazionale è testimoniata non solo dalla crescente percentuale di dottori e dottoresse che si è laureata in un Ateneo estero (14% contro una media nazionale dell’11%) ma anche dal 59% di dottorandi che ha trascorso un periodo all’estero, superiore a 6 mesi per il 26% di loro (Paesi più gettonati: Francia, Germania e Stati Uniti).
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Da notare che l’85,5% dei dottori di ricerca è impiegato in professioni intellettuali, scientifiche e di elevata specializzazione, pienamente congruenti quindi con il percorso dottorale appena terminato. In definitiva, il titolo è risultato molto efficace per il lavoro svolto nel 76% dei casi.

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«L’Università di Padova continua a investire sulla formazione dottorale, visto il ruolo fondamentale che questi giovani hanno sul sistema della ricerca di ateneo. I dati di Almalaurea ci restituiscono risultati molto lusinghieri: siamo attrattivi e efficaci nella formazione – afferma Massimiliano Zattin, prorettore al Dottorato dell’Università degli Studi di Padova –. Continueremo a insistere sulla strada intrapresa: si è appena conclusa la prima tornata di selezioni per 479 posizioni di dottorato, alle quali se ne aggiungeranno un altro centinaio attraverso un bando legato a risorse PNRR che prevede il co-finanziamento da parte di aziende (scadenza: 25 luglio). Attualmente, il numero complessivo di dottorandi si aggira sulle 2.100 unità, di poco inferiore al numero di docenti strutturati».

I DATI
I dati relativi ai dottori di ricerca del 2023 mostrano un’età media al momento del conseguimento del titolo di 30,9 anni, sensibilmente inferiore rispetto ai 32,4 della media italiana. La vocazione internazionale è testimoniata non solo dalla crescente percentuale di dottori e dottoresse che si è laureata in un Ateneo estero (14% contro una media nazionale dell’11%) ma anche dal 59% di dottorandi che ha trascorso un periodo all’estero, superiore a 6 mesi per il 26% di loro (Paesi più gettonati: Francia, Germania e Stati Uniti).
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«L’Università di Padova continua a investire sulla formazione dottorale, visto il ruolo fondamentale che questi giovani hanno sul sistema della ricerca di ateneo. I dati di Almalaurea ci restituiscono risultati molto lusinghieri: siamo attrattivi e efficaci nella formazione – afferma Massimiliano Zattin, prorettore al Dottorato dell’Università degli Studi di Padova –. Continueremo a insistere sulla strada intrapresa: si è appena conclusa la prima tornata di selezioni per 479 posizioni di dottorato, alle quali se ne aggiungeranno un altro centinaio attraverso un bando legato a risorse PNRR che prevede il co-finanziamento da parte di aziende (scadenza: 25 luglio). Attualmente, il numero complessivo di dottorandi si aggira sulle 2.100 unità, di poco inferiore al numero di docenti strutturati».

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I dati relativi ai dottori di ricerca del 2023 mostrano un’età media al momento del conseguimento del titolo di 30,9 anni, sensibilmente inferiore rispetto ai 32,4 della media italiana. La vocazione internazionale è testimoniata non solo dalla crescente percentuale di dottori e dottoresse che si è laureata in un Ateneo estero (14% contro una media nazionale dell’11%) ma anche dal 59% di dottorandi che ha trascorso un periodo all’estero, superiore a 6 mesi per il 26% di loro (Paesi più gettonati: Francia, Germania e Stati Uniti).
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«L’Università di Padova continua a investire sulla formazione dottorale, visto il ruolo fondamentale che questi giovani hanno sul sistema della ricerca di ateneo. I dati di Almalaurea ci restituiscono risultati molto lusinghieri: siamo attrattivi e efficaci nella formazione – afferma Massimiliano Zattin, prorettore al Dottorato dell’Università degli Studi di Padova –. Continueremo a insistere sulla strada intrapresa: si è appena conclusa la prima tornata di selezioni per 479 posizioni di dottorato, alle quali se ne aggiungeranno un altro centinaio attraverso un bando legato a risorse PNRR che prevede il co-finanziamento da parte di aziende (scadenza: 25 luglio). Attualmente, il numero complessivo di dottorandi si aggira sulle 2.100 unità, di poco inferiore al numero di docenti strutturati».

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I dati relativi ai dottori di ricerca del 2023 mostrano un’età media al momento del conseguimento del titolo di 30,9 anni, sensibilmente inferiore rispetto ai 32,4 della media italiana. La vocazione internazionale è testimoniata non solo dalla crescente percentuale di dottori e dottoresse che si è laureata in un Ateneo estero (14% contro una media nazionale dell’11%) ma anche dal 59% di dottorandi che ha trascorso un periodo all’estero, superiore a 6 mesi per il 26% di loro (Paesi più gettonati: Francia, Germania e Stati Uniti).
L’attività di ricerca si è svolta in gruppi ben organizzati nell’83,1 (media italiana 78%), è stata supportata da adeguati finanziamenti per il 88,4% dei casi (ben superiore alla media italiana dell’81%) e ha prodotto almeno una pubblicazione per l’85,5% dei dottori (tra questi, il 93,8% l’ha realizzata in inglese).
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«L’Università di Padova continua a investire sulla formazione dottorale, visto il ruolo fondamentale che questi giovani hanno sul sistema della ricerca di ateneo. I dati di Almalaurea ci restituiscono risultati molto lusinghieri: siamo attrattivi e efficaci nella formazione – afferma Massimiliano Zattin, prorettore al Dottorato dell’Università degli Studi di Padova –. Continueremo a insistere sulla strada intrapresa: si è appena conclusa la prima tornata di selezioni per 479 posizioni di dottorato, alle quali se ne aggiungeranno un altro centinaio attraverso un bando legato a risorse PNRR che prevede il co-finanziamento da parte di aziende (scadenza: 25 luglio). Attualmente, il numero complessivo di dottorandi si aggira sulle 2.100 unità, di poco inferiore al numero di docenti strutturati».

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I dati relativi ai dottori di ricerca del 2023 mostrano un’età media al momento del conseguimento del titolo di 30,9 anni, sensibilmente inferiore rispetto ai 32,4 della media italiana. La vocazione internazionale è testimoniata non solo dalla crescente percentuale di dottori e dottoresse che si è laureata in un Ateneo estero (14% contro una media nazionale dell’11%) ma anche dal 59% di dottorandi che ha trascorso un periodo all’estero, superiore a 6 mesi per il 26% di loro (Paesi più gettonati: Francia, Germania e Stati Uniti).
L’attività di ricerca si è svolta in gruppi ben organizzati nell’83,1 (media italiana 78%), è stata supportata da adeguati finanziamenti per il 88,4% dei casi (ben superiore alla media italiana dell’81%) e ha prodotto almeno una pubblicazione per l’85,5% dei dottori (tra questi, il 93,8% l’ha realizzata in inglese).
Questi numeri, estremamente positivi, si traducono in un tasso di occupazione ad un anno dal conseguimento del titolo che raggiunge il 91,1%, con una retribuzione netta mensile di 2012 euro, superiore alla media italiana di 1.902 euro.

Da notare che l’85,5% dei dottori di ricerca è impiegato in professioni intellettuali, scientifiche e di elevata specializzazione, pienamente congruenti quindi con il percorso dottorale appena terminato. In definitiva, il titolo è risultato molto efficace per il lavoro svolto nel 76% dei casi.

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Guadagnano mediamente più di duemila euro netti al mese, cento euro in più rispetto alla media italiana, hanno un altissimo tasso di occupazione e provengono sempre più da atenei esteri: questa la “carta d’identità”, delineata dai più recenti dati Almalaurea, delle dottoresse e dei dottori di ricerca diplomati all’Università di Padova.

«L’Università di Padova continua a investire sulla formazione dottorale, visto il ruolo fondamentale che questi giovani hanno sul sistema della ricerca di ateneo. I dati di Almalaurea ci restituiscono risultati molto lusinghieri: siamo attrattivi e efficaci nella formazione – afferma Massimiliano Zattin, prorettore al Dottorato dell’Università degli Studi di Padova –. Continueremo a insistere sulla strada intrapresa: si è appena conclusa la prima tornata di selezioni per 479 posizioni di dottorato, alle quali se ne aggiungeranno un altro centinaio attraverso un bando legato a risorse PNRR che prevede il co-finanziamento da parte di aziende (scadenza: 25 luglio). Attualmente, il numero complessivo di dottorandi si aggira sulle 2.100 unità, di poco inferiore al numero di docenti strutturati».

I DATI
I dati relativi ai dottori di ricerca del 2023 mostrano un’età media al momento del conseguimento del titolo di 30,9 anni, sensibilmente inferiore rispetto ai 32,4 della media italiana. La vocazione internazionale è testimoniata non solo dalla crescente percentuale di dottori e dottoresse che si è laureata in un Ateneo estero (14% contro una media nazionale dell’11%) ma anche dal 59% di dottorandi che ha trascorso un periodo all’estero, superiore a 6 mesi per il 26% di loro (Paesi più gettonati: Francia, Germania e Stati Uniti).
L’attività di ricerca si è svolta in gruppi ben organizzati nell’83,1 (media italiana 78%), è stata supportata da adeguati finanziamenti per il 88,4% dei casi (ben superiore alla media italiana dell’81%) e ha prodotto almeno una pubblicazione per l’85,5% dei dottori (tra questi, il 93,8% l’ha realizzata in inglese).
Questi numeri, estremamente positivi, si traducono in un tasso di occupazione ad un anno dal conseguimento del titolo che raggiunge il 91,1%, con una retribuzione netta mensile di 2012 euro, superiore alla media italiana di 1.902 euro.

Da notare che l’85,5% dei dottori di ricerca è impiegato in professioni intellettuali, scientifiche e di elevata specializzazione, pienamente congruenti quindi con il percorso dottorale appena terminato. In definitiva, il titolo è risultato molto efficace per il lavoro svolto nel 76% dei casi.

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«L’Università di Padova continua a investire sulla formazione dottorale, visto il ruolo fondamentale che questi giovani hanno sul sistema della ricerca di ateneo. I dati di Almalaurea ci restituiscono risultati molto lusinghieri: siamo attrattivi e efficaci nella formazione – afferma Massimiliano Zattin, prorettore al Dottorato dell’Università degli Studi di Padova –. Continueremo a insistere sulla strada intrapresa: si è appena conclusa la prima tornata di selezioni per 479 posizioni di dottorato, alle quali se ne aggiungeranno un altro centinaio attraverso un bando legato a risorse PNRR che prevede il co-finanziamento da parte di aziende (scadenza: 25 luglio). Attualmente, il numero complessivo di dottorandi si aggira sulle 2.100 unità, di poco inferiore al numero di docenti strutturati».

I DATI
I dati relativi ai dottori di ricerca del 2023 mostrano un’età media al momento del conseguimento del titolo di 30,9 anni, sensibilmente inferiore rispetto ai 32,4 della media italiana. La vocazione internazionale è testimoniata non solo dalla crescente percentuale di dottori e dottoresse che si è laureata in un Ateneo estero (14% contro una media nazionale dell’11%) ma anche dal 59% di dottorandi che ha trascorso un periodo all’estero, superiore a 6 mesi per il 26% di loro (Paesi più gettonati: Francia, Germania e Stati Uniti).
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Questi numeri, estremamente positivi, si traducono in un tasso di occupazione ad un anno dal conseguimento del titolo che raggiunge il 91,1%, con una retribuzione netta mensile di 2012 euro, superiore alla media italiana di 1.902 euro.

Da notare che l’85,5% dei dottori di ricerca è impiegato in professioni intellettuali, scientifiche e di elevata specializzazione, pienamente congruenti quindi con il percorso dottorale appena terminato. In definitiva, il titolo è risultato molto efficace per il lavoro svolto nel 76% dei casi.

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«L’Università di Padova continua a investire sulla formazione dottorale, visto il ruolo fondamentale che questi giovani hanno sul sistema della ricerca di ateneo. I dati di Almalaurea ci restituiscono risultati molto lusinghieri: siamo attrattivi e efficaci nella formazione – afferma Massimiliano Zattin, prorettore al Dottorato dell’Università degli Studi di Padova –. Continueremo a insistere sulla strada intrapresa: si è appena conclusa la prima tornata di selezioni per 479 posizioni di dottorato, alle quali se ne aggiungeranno un altro centinaio attraverso un bando legato a risorse PNRR che prevede il co-finanziamento da parte di aziende (scadenza: 25 luglio). Attualmente, il numero complessivo di dottorandi si aggira sulle 2.100 unità, di poco inferiore al numero di docenti strutturati».

I DATI
I dati relativi ai dottori di ricerca del 2023 mostrano un’età media al momento del conseguimento del titolo di 30,9 anni, sensibilmente inferiore rispetto ai 32,4 della media italiana. La vocazione internazionale è testimoniata non solo dalla crescente percentuale di dottori e dottoresse che si è laureata in un Ateneo estero (14% contro una media nazionale dell’11%) ma anche dal 59% di dottorandi che ha trascorso un periodo all’estero, superiore a 6 mesi per il 26% di loro (Paesi più gettonati: Francia, Germania e Stati Uniti).
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«L’Università di Padova continua a investire sulla formazione dottorale, visto il ruolo fondamentale che questi giovani hanno sul sistema della ricerca di ateneo. I dati di Almalaurea ci restituiscono risultati molto lusinghieri: siamo attrattivi e efficaci nella formazione – afferma Massimiliano Zattin, prorettore al Dottorato dell’Università degli Studi di Padova –. Continueremo a insistere sulla strada intrapresa: si è appena conclusa la prima tornata di selezioni per 479 posizioni di dottorato, alle quali se ne aggiungeranno un altro centinaio attraverso un bando legato a risorse PNRR che prevede il co-finanziamento da parte di aziende (scadenza: 25 luglio). Attualmente, il numero complessivo di dottorandi si aggira sulle 2.100 unità, di poco inferiore al numero di docenti strutturati».

I DATI
I dati relativi ai dottori di ricerca del 2023 mostrano un’età media al momento del conseguimento del titolo di 30,9 anni, sensibilmente inferiore rispetto ai 32,4 della media italiana. La vocazione internazionale è testimoniata non solo dalla crescente percentuale di dottori e dottoresse che si è laureata in un Ateneo estero (14% contro una media nazionale dell’11%) ma anche dal 59% di dottorandi che ha trascorso un periodo all’estero, superiore a 6 mesi per il 26% di loro (Paesi più gettonati: Francia, Germania e Stati Uniti).
L’attività di ricerca si è svolta in gruppi ben organizzati nell’83,1 (media italiana 78%), è stata supportata da adeguati finanziamenti per il 88,4% dei casi (ben superiore alla media italiana dell’81%) e ha prodotto almeno una pubblicazione per l’85,5% dei dottori (tra questi, il 93,8% l’ha realizzata in inglese).
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Da notare che l’85,5% dei dottori di ricerca è impiegato in professioni intellettuali, scientifiche e di elevata specializzazione, pienamente congruenti quindi con il percorso dottorale appena terminato. In definitiva, il titolo è risultato molto efficace per il lavoro svolto nel 76% dei casi.

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