L'Università di Padova esprime solidarietà per le donne e la popolazione dell'Iran

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L'Università di Padova fa proprio il messaggio di solidarietà della Rete delle Università italiane per la Pace nei confronti delle “studentesse di nazionalità iraniana iscritte presso gli atenei italiani e più in generale a tutte le donne iraniane e ai tanti giovani uomini iraniani che in questi giorni stanno coraggiosamente protestando”.

Ribadiamo fermamente la condanna a ogni forma di violenza e a ogni privazione dei diritti umani di cui ogni individuo è portatore.

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L'Università di Padova fa proprio il messaggio di solidarietà della Rete delle Università italiane per la Pace nei confronti delle “studentesse di nazionalità iraniana iscritte presso gli atenei italiani e più in generale a tutte le donne iraniane e ai tanti giovani uomini iraniani che in questi giorni stanno coraggiosamente protestando”.

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Virtual influencers, who are they and what do they do?

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Alongside the real-world human influencers, virtual influencers are CGI characters who act as human influencers, but who do not physically exist in the real world. Such characters, created and animated using 3D graphics by marketing companies, are specially designed to particularly support the big brands.

Who are these virtual influencers? What is their purpose? What ethics is behind all this? Above all, what is the public opinion towards virtual influencers? Defined by its acronym SPRITZ, the Security and PRIvacy Through Zeal Group is led by the University of Padua IT Security professor, Mauro Conti. The group studies the most popular virtual influencers and their collaborations by comparing them with real influencers.

Operating in the social media sector, the spin-off of the University of Padua CHISITO co-financed grants for the study to UniPD researcher Pier Paolo Tricomi. The University of California Irvine student, Jenil Gathani, also participated in the study, which examined the evolution of virtual influencers by asking about the opportunities and threats that could arise from their exposure to the public. The study also delves into the question of virtual influencers’ ethical standards that govern their existence. The study assessed the result collected from 360 participants who completed questionnaires based on this phenomenon.

The results of the research entitled Virtual Influencers in Online Social Media published in IEEE Communications Magazine indicates that Virtual Influencers, paid even $ 10,000 per post, offer various benefits to the companies that use them.  Such influence offers complete exclusivity, total fidelity and the possibility of being represented in any place and time.

What do people think of all this? While many believe that creating a virtual influencer for profit alone is immoral (42%), others (12%) argue that it is not much different from what human influencers do: show the best (often fake) part of themselves to earn more money and followers. The remaining 45% would trust a virtual influencer based on the context in which they operate, mainly for topics of technology and fashion.

In general, people have shown both interest and fear for this phenomenon, which could become uncontrollable. I0% of people think it is impossible to build relationships with them (33% said "maybe"), which reflects that only 15% of participants would chat with them.


Furthermore, there is nothing to prevent virtual influencers from one day conveying more dangerous messages than simple advertisements. Considering that artificial intelligent algorithms automatically generate their content, moderation will certainly become more problematic.

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Alongside the real-world human influencers, virtual influencers are CGI characters who act as human influencers, but who do not physically exist in the real world. Such characters, created and animated using 3D graphics by marketing companies, are specially designed to particularly support the big brands.

Who are these virtual influencers? What is their purpose? What ethics is behind all this? Above all, what is the public opinion towards virtual influencers? Defined by its acronym SPRITZ, the Security and PRIvacy Through Zeal Group is led by the University of Padua IT Security professor, Mauro Conti. The group studies the most popular virtual influencers and their collaborations by comparing them with real influencers.

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Alongside the real-world human influencers, virtual influencers are CGI characters who act as human influencers, but who do not physically exist in the real world. Such characters, created and animated using 3D graphics by marketing companies, are specially designed to particularly support the big brands.

Who are these virtual influencers? What is their purpose? What ethics is behind all this? Above all, what is the public opinion towards virtual influencers? Defined by its acronym SPRITZ, the Security and PRIvacy Through Zeal Group is led by the University of Padua IT Security professor, Mauro Conti. The group studies the most popular virtual influencers and their collaborations by comparing them with real influencers.

Operating in the social media sector, the spin-off of the University of Padua CHISITO co-financed grants for the study to UniPD researcher Pier Paolo Tricomi. The University of California Irvine student, Jenil Gathani, also participated in the study, which examined the evolution of virtual influencers by asking about the opportunities and threats that could arise from their exposure to the public. The study also delves into the question of virtual influencers’ ethical standards that govern their existence. The study assessed the result collected from 360 participants who completed questionnaires based on this phenomenon.

The results of the research entitled Virtual Influencers in Online Social Media published in IEEE Communications Magazine indicates that Virtual Influencers, paid even $ 10,000 per post, offer various benefits to the companies that use them.  Such influence offers complete exclusivity, total fidelity and the possibility of being represented in any place and time.

What do people think of all this? While many believe that creating a virtual influencer for profit alone is immoral (42%), others (12%) argue that it is not much different from what human influencers do: show the best (often fake) part of themselves to earn more money and followers. The remaining 45% would trust a virtual influencer based on the context in which they operate, mainly for topics of technology and fashion.

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Con il professor Anton Zeilinger, vincitore del premio Nobel per la Fisica 2022, l’Università di Padova ha una consolidata collaborazione, che ha portato a un significativo risultato sviluppato nell'ambito di un progetto di ricerca di ateneo (bando 2002), compresa la pubblicazione sulla prestigiosa rivista «New Journal of Physics» dello studio Experimental verification of the feasibility of a quantum channel between space and Earth (P. Villoresi, T Jennewein, F Tamburini, M Aspelmeyer, C Bonato, R Ursin, C Pernechele, V Luceri, G Bianco, A Zeilinger and C Barbieri; New Journal of Physics, vol. 10, no. 3, p. 033038, Mar. 2008).

«L'obiettivo assai ambizioso è stato di dimostrare lo scambio di singoli quanti di luce da un satellite a terra – spiega il prof Paolo Villoresi, direttore del Centro di ricerca sulle tecnologie quantisatiche dell’Ateneo e coordinatore del progetto -. Il progetto si poneva un obiettivo che allora non aveva precedenti sperimentali: utilizzare lo spazio come canale per le comunicazioni quantistiche».

Fu proprio il coordinatore Paolo Villoresi a salire a Vienna nel 2003 per chiedere la collaborazione sull'aspetto dei rivelatori a singolo fotone al professor Zeilinger, che accettò molto volentieri, indicando la squadra di suoi collaboratori per partecipare al progetto.

Il progetto dimostrò il primo scambio di quanti nello spazio e venne pubblicato nel 2008, diventando il primo risultato nel campo. Altri lavori in collaborazione seguirono nel settore, che è stato oggi premiato con il massimo riconoscimento scientifico.

«ll premio Nobel per la Fisica assegnato ad Alain Aspect, John Clauser e Anton Zeilinger, con il quale abbiamo una consolidata collaborazione, premia i loro pionieristici esperimenti che hanno aperto la strada alla scienza dell'informazione quantistica e alla rivoluzione delle Tecnologie Quantistiche attualmente in corso e fa felice anche l’Università di Padova – afferma Daniela Mapelli, rettrice dell’Università di Padova –. Il nostro Ateneo, infatti, è in prima linea in questi ambiti di ricerca, con recenti investimenti importanti nel centro di Ateneo QTECH, coordinato dal professor Paolo Villoresi, che vanta anche una collaborazione del Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione, e nel progetto di World Class Research Infrastructure sul computer quantistico, coordinato dal professor Simone Montangero del Dipartimento di Fisica e Astronomia. L’Ateneo partecipa anche, con un ruolo di primo piano, allo Spoke di Calcolo Quantistico del Centro Nazionale su High Performance Computing del PNRR».

ricercatori fisica

Il gruppo di ricerca presso il Matera Laser Ranging Observatory dell’ASI - 2004. Da sinistra Paolo Villoresi (Unipd), Cesare Barbieri(Unipd), Anton Zeilinger (UVienna), Fabrizio Tamburini (Unipd), Claudio Pernechele (INAF-Padova), un tecnico MLRO, Thomas Jennewein (UVienna) e Marcus Aspelmayer (UVienna).

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Con il professor Anton Zeilinger, vincitore del premio Nobel per la Fisica 2022, l’Università di Padova ha una consolidata collaborazione, che ha portato a un significativo risultato sviluppato nell'ambito di un progetto di ricerca di ateneo (bando 2002), compresa la pubblicazione sulla prestigiosa rivista «New Journal of Physics» dello studio Experimental verification of the feasibility of a quantum channel between space and Earth (P. Villoresi, T Jennewein, F Tamburini, M Aspelmeyer, C Bonato, R Ursin, C Pernechele, V Luceri, G Bianco, A Zeilinger and C Barbieri; New Journal of Physics, vol. 10, no. 3, p. 033038, Mar. 2008).

«L'obiettivo assai ambizioso è stato di dimostrare lo scambio di singoli quanti di luce da un satellite a terra – spiega il prof Paolo Villoresi, direttore del Centro di ricerca sulle tecnologie quantisatiche dell’Ateneo e coordinatore del progetto -. Il progetto si poneva un obiettivo che allora non aveva precedenti sperimentali: utilizzare lo spazio come canale per le comunicazioni quantistiche».

Fu proprio il coordinatore Paolo Villoresi a salire a Vienna nel 2003 per chiedere la collaborazione sull'aspetto dei rivelatori a singolo fotone al professor Zeilinger, che accettò molto volentieri, indicando la squadra di suoi collaboratori per partecipare al progetto.

Il progetto dimostrò il primo scambio di quanti nello spazio e venne pubblicato nel 2008, diventando il primo risultato nel campo. Altri lavori in collaborazione seguirono nel settore, che è stato oggi premiato con il massimo riconoscimento scientifico.

«ll premio Nobel per la Fisica assegnato ad Alain Aspect, John Clauser e Anton Zeilinger, con il quale abbiamo una consolidata collaborazione, premia i loro pionieristici esperimenti che hanno aperto la strada alla scienza dell'informazione quantistica e alla rivoluzione delle Tecnologie Quantistiche attualmente in corso e fa felice anche l’Università di Padova – afferma Daniela Mapelli, rettrice dell’Università di Padova –. Il nostro Ateneo, infatti, è in prima linea in questi ambiti di ricerca, con recenti investimenti importanti nel centro di Ateneo QTECH, coordinato dal professor Paolo Villoresi, che vanta anche una collaborazione del Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione, e nel progetto di World Class Research Infrastructure sul computer quantistico, coordinato dal professor Simone Montangero del Dipartimento di Fisica e Astronomia. L’Ateneo partecipa anche, con un ruolo di primo piano, allo Spoke di Calcolo Quantistico del Centro Nazionale su High Performance Computing del PNRR».

ricercatori fisica

Il gruppo di ricerca presso il Matera Laser Ranging Observatory dell’ASI - 2004. Da sinistra Paolo Villoresi (Unipd), Cesare Barbieri(Unipd), Anton Zeilinger (UVienna), Fabrizio Tamburini (Unipd), Claudio Pernechele (INAF-Padova), un tecnico MLRO, Thomas Jennewein (UVienna) e Marcus Aspelmayer (UVienna).

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«L'obiettivo assai ambizioso è stato di dimostrare lo scambio di singoli quanti di luce da un satellite a terra – spiega il prof Paolo Villoresi, direttore del Centro di ricerca sulle tecnologie quantisatiche dell’Ateneo e coordinatore del progetto -. Il progetto si poneva un obiettivo che allora non aveva precedenti sperimentali: utilizzare lo spazio come canale per le comunicazioni quantistiche».

Fu proprio il coordinatore Paolo Villoresi a salire a Vienna nel 2003 per chiedere la collaborazione sull'aspetto dei rivelatori a singolo fotone al professor Zeilinger, che accettò molto volentieri, indicando la squadra di suoi collaboratori per partecipare al progetto.

Il progetto dimostrò il primo scambio di quanti nello spazio e venne pubblicato nel 2008, diventando il primo risultato nel campo. Altri lavori in collaborazione seguirono nel settore, che è stato oggi premiato con il massimo riconoscimento scientifico.

«ll premio Nobel per la Fisica assegnato ad Alain Aspect, John Clauser e Anton Zeilinger, con il quale abbiamo una consolidata collaborazione, premia i loro pionieristici esperimenti che hanno aperto la strada alla scienza dell'informazione quantistica e alla rivoluzione delle Tecnologie Quantistiche attualmente in corso e fa felice anche l’Università di Padova – afferma Daniela Mapelli, rettrice dell’Università di Padova –. Il nostro Ateneo, infatti, è in prima linea in questi ambiti di ricerca, con recenti investimenti importanti nel centro di Ateneo QTECH, coordinato dal professor Paolo Villoresi, che vanta anche una collaborazione del Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione, e nel progetto di World Class Research Infrastructure sul computer quantistico, coordinato dal professor Simone Montangero del Dipartimento di Fisica e Astronomia. L’Ateneo partecipa anche, con un ruolo di primo piano, allo Spoke di Calcolo Quantistico del Centro Nazionale su High Performance Computing del PNRR».

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ricercatori fisica

Il gruppo di ricerca presso il Matera Laser Ranging Observatory dell’ASI - 2004. Da sinistra Paolo Villoresi (Unipd), Cesare Barbieri(Unipd), Anton Zeilinger (UVienna), Fabrizio Tamburini (Unipd), Claudio Pernechele (INAF-Padova), un tecnico MLRO, Thomas Jennewein (UVienna) e Marcus Aspelmayer (UVienna).

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«L'obiettivo assai ambizioso è stato di dimostrare lo scambio di singoli quanti di luce da un satellite a terra – spiega il prof Paolo Villoresi, direttore del Centro di ricerca sulle tecnologie quantisatiche dell’Ateneo e coordinatore del progetto -. Il progetto si poneva un obiettivo che allora non aveva precedenti sperimentali: utilizzare lo spazio come canale per le comunicazioni quantistiche».

Fu proprio il coordinatore Paolo Villoresi a salire a Vienna nel 2003 per chiedere la collaborazione sull'aspetto dei rivelatori a singolo fotone al professor Zeilinger, che accettò molto volentieri, indicando la squadra di suoi collaboratori per partecipare al progetto.

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Il gruppo di ricerca presso il Matera Laser Ranging Observatory dell’ASI - 2004. Da sinistra Paolo Villoresi (Unipd), Cesare Barbieri(Unipd), Anton Zeilinger (UVienna), Fabrizio Tamburini (Unipd), Claudio Pernechele (INAF-Padova), un tecnico MLRO, Thomas Jennewein (UVienna) e Marcus Aspelmayer (UVienna).

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ricercatori fisica

Il gruppo di ricerca presso il Matera Laser Ranging Observatory dell’ASI - 2004. Da sinistra Paolo Villoresi (Unipd), Cesare Barbieri(Unipd), Anton Zeilinger (UVienna), Fabrizio Tamburini (Unipd), Claudio Pernechele (INAF-Padova), un tecnico MLRO, Thomas Jennewein (UVienna) e Marcus Aspelmayer (UVienna).

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NOBEL PER LA FISICA A ZEILINGER. LA COLLABORAZIONE CON L’UNIVERSITÀ DI PADOVA PER LO STUDIO DEI QUANTI

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Quando il cervello è troppo connesso. Lo studio Unipd - Irccs

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Pubblicato su «Cortex» lo studio - nato dalla pluriennale collaborazione tra l’unità di Epilessia e Neurofisiologia clinica dell’Irccs Eugenio Medea (sede di Conegliano) e il Dipartimento di Psicologia Generale dell’Università di Padova - nel quale è stato dimostrato come la comunicazione spontanea dei network cerebrali a riposo possa spiegare le prestazioni cognitive dei pazienti con epilessia del lobo temporale.

Per molti anni i neuroscienziati hanno creduto che l’attività spontanea cerebrale, ovvero il comportamento dei neuroni quando non direttamente impegnati in attività specifiche quali produrre pensieri o interagire col mondo esterno, fosse per lo più caotica e priva di significato funzionale. Eppure, da almeno due decenni sappiamo che, seppur apparentemente scollegata dal pensiero e dall’azione, l’attività “a riposo” (dall’inglese resting state) del nostro cervello presenta un livello sorprendente di organizzazione spaziale e temporale. Se proviamo a pensare alle onde cerebrali misurate tramite l’elettroencefalogramma come al linguaggio che neuroni anche molto lontani tra di loro possono usare per parlarsi, vediamo che il funzionamento di un cervello sano è caratterizzato da una sorta di ordine intrinseco, fatto di oscillazioni armoniose che viaggiano a frequenze diverse in grado di trasportare messaggi fondamentali per la nostra sopravvivenza. Questo è vero tanto per le azioni più semplici quanto per le elucubrazioni mentali più ardite

Recentemente si è anche scoperto che la capacità di comunicazione neuronale costituisce una sorta di “impronta digitale” del nostro cervello che caratterizza gli individui e li differenzia gli uni dagli altri. Questo implica che possibili funzionamenti alterati della comunicazione elettrica tra neuroni possono dare luogo a patologie cliniche. Una delle patologie neurologiche maggiormente diffuse nel mondo è l’epilessia, con una prevalenza di circa una persona ogni 100 nei paesi industrializzati. Tra le varie forme di epilessia, l’epilessia del lobo temporale è la più comune.

La concezione dell’epilessia è cambiata nel tempo, passando dall’essere considerata un’alterazione specifica di una porzione del cervello a un disturbo più sistemico che può coinvolgere uno o più network cerebrali. Prendendo in prestito dei concetti matematici, i neuroscienziati hanno ampiamente compreso che una comunicazione efficiente all’interno di una rete, fosse questa una comunità di persone (es., facebook) o un complesso sistema cellulare quale è il cervello, avviene quando le informazioni che i nodi di questa rete si scambiano vengo elaborate, ovvero integrate, dai singoli elementi. Ma questo non basta, per funzionare bene un network deve anche essere in grado di differenziare la comunicazione tra gli elementi interni ad esso e quelli esterni, un principio noto come “segregazione”. Il cervello, proprio come ogni sistema complesso, per funzionare ottimamente ha bisogno di un equilibrio tra integrazione e segregazione. In poche parole, i differenti circuiti cerebrali che lo costituiscono devono essere ben organizzati al proprio interno e ben differenziati gli uni dagli altri, come l’impianto elettrico di un grattacielo, ma infinitamente più complesso.

Il team di ricercatori dell’Irccs Meda - La Nostra Famiglia nella sede di Conegliano e dell’Università di Padova, Dipartimento di Psicologia Generale, hanno dedicato i loro sforzi a studiare il delicato equilibrio tra integrazione e segregazione nell’epilessia del lobo temporale. I risultati sono stati pubblicati nello studio dal titolo “Resting state network dynamic reconfiguration and neuropsychological functioning in temporal lobe epilepsy: an HD-EEG investigation” pubblicato sulla rivista «Cortex»

Dalla ricerca, parte di un progetto sull’epilessia finanziato dal Ministero della Salute con il contributo del "5xMILLE", è emerso che proprio questi due meccanismi risultano alterati nei pazienti con epilessia del lobo temporale.

«Nel cervello caratterizzato da epilessia abbiamo riscontrato uno sbilanciamento a favore di una iper-comunicazione tra diverse aree cerebrali, perfino quando il cervello non è impegnato in nessun compito» - dice il dottor Gian Marco Duma, ricercatore dell’Ircss E. Medea di Conegliano e primo autore dello studio – «Questa iper-comunicazione tra zone cerebrali distinte potrebbe rappresentare il meccanismo fisiologico che giustifica come un’alterazione probabilmente locale, possa impattare sul funzionamento dell’intero sistema cerebrale, producendo alterazioni patologiche a più livelli»

«Uno dei risultati più importanti di questo studio è che maggiori livelli di integrazione tra i network cerebrali correlano con prestazioni peggiori del funzionamento cognitivo nei pazienti con epilessia, e in particolare nei test di memoria e attenzione. Questa è una dimostrazione che – sottolinea il prof. Giovanni Mento, docente di Neuropsicologia dello Sviluppo del dipartimento di Psicologia Generale dell’Università di Padova che ha coordinato lo studio – la flessibilità ed integrazione dei network cerebrali sono in un delicato equilibrio, ed una loro alterazione può impattare le nostre funzioni cognitive. D’altronde l’omeostasi tra la differenziazione e l’integrazione tra gli elementi costituenti è un pattern tipico di molti sistemi complessi non solo biologici, basti pensare ai rapporti all’interno di gruppi sociali».

Come evidenziato dal dott. Paolo Bonanni, direttore dell’unità di epilessia e neurofisiologia clinica del Irccs Eugenio MEDEA di Conegliano e Pieve di Soligo «Molti pazienti reclutati nello studio a causa della gravità dell’epilessia hanno subito successivamente un intervento di chirurgia e sono guariti con recupero anche di funzioni neuropsicologiche come la memoria. Sarà interessante ripetere lo studio della comunicazione spontanea dei network cerebrali a riposo per vedere se nei pazienti guariti dall’epilessia vi è, come sarebbe logico aspettarsi, un ritorno alla normalità dei circuiti cerebrali»

«I nostri risultati – conclude il dott. Alberto Danieli, medico e ricercatore che ha seguito direttamente lo svolgimento dello studio - andranno confermati in popolazioni cliniche più ampie anche in modo prospettico e attraverso metodiche complementari, e ci auguriamo possano contribuire a migliorare la gestione clinica e la qualità di vita della persona con epilessia sin dall’esordio del disturbo».

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Pubblicato su «Cortex» lo studio - nato dalla pluriennale collaborazione tra l’unità di Epilessia e Neurofisiologia clinica dell’Irccs Eugenio Medea (sede di Conegliano) e il Dipartimento di Psicologia Generale dell’Università di Padova - nel quale è stato dimostrato come la comunicazione spontanea dei network cerebrali a riposo possa spiegare le prestazioni cognitive dei pazienti con epilessia del lobo temporale.

Per molti anni i neuroscienziati hanno creduto che l’attività spontanea cerebrale, ovvero il comportamento dei neuroni quando non direttamente impegnati in attività specifiche quali produrre pensieri o interagire col mondo esterno, fosse per lo più caotica e priva di significato funzionale. Eppure, da almeno due decenni sappiamo che, seppur apparentemente scollegata dal pensiero e dall’azione, l’attività “a riposo” (dall’inglese resting state) del nostro cervello presenta un livello sorprendente di organizzazione spaziale e temporale. Se proviamo a pensare alle onde cerebrali misurate tramite l’elettroencefalogramma come al linguaggio che neuroni anche molto lontani tra di loro possono usare per parlarsi, vediamo che il funzionamento di un cervello sano è caratterizzato da una sorta di ordine intrinseco, fatto di oscillazioni armoniose che viaggiano a frequenze diverse in grado di trasportare messaggi fondamentali per la nostra sopravvivenza. Questo è vero tanto per le azioni più semplici quanto per le elucubrazioni mentali più ardite

Recentemente si è anche scoperto che la capacità di comunicazione neuronale costituisce una sorta di “impronta digitale” del nostro cervello che caratterizza gli individui e li differenzia gli uni dagli altri. Questo implica che possibili funzionamenti alterati della comunicazione elettrica tra neuroni possono dare luogo a patologie cliniche. Una delle patologie neurologiche maggiormente diffuse nel mondo è l’epilessia, con una prevalenza di circa una persona ogni 100 nei paesi industrializzati. Tra le varie forme di epilessia, l’epilessia del lobo temporale è la più comune.

La concezione dell’epilessia è cambiata nel tempo, passando dall’essere considerata un’alterazione specifica di una porzione del cervello a un disturbo più sistemico che può coinvolgere uno o più network cerebrali. Prendendo in prestito dei concetti matematici, i neuroscienziati hanno ampiamente compreso che una comunicazione efficiente all’interno di una rete, fosse questa una comunità di persone (es., facebook) o un complesso sistema cellulare quale è il cervello, avviene quando le informazioni che i nodi di questa rete si scambiano vengo elaborate, ovvero integrate, dai singoli elementi. Ma questo non basta, per funzionare bene un network deve anche essere in grado di differenziare la comunicazione tra gli elementi interni ad esso e quelli esterni, un principio noto come “segregazione”. Il cervello, proprio come ogni sistema complesso, per funzionare ottimamente ha bisogno di un equilibrio tra integrazione e segregazione. In poche parole, i differenti circuiti cerebrali che lo costituiscono devono essere ben organizzati al proprio interno e ben differenziati gli uni dagli altri, come l’impianto elettrico di un grattacielo, ma infinitamente più complesso.

Il team di ricercatori dell’Irccs Meda - La Nostra Famiglia nella sede di Conegliano e dell’Università di Padova, Dipartimento di Psicologia Generale, hanno dedicato i loro sforzi a studiare il delicato equilibrio tra integrazione e segregazione nell’epilessia del lobo temporale. I risultati sono stati pubblicati nello studio dal titolo “Resting state network dynamic reconfiguration and neuropsychological functioning in temporal lobe epilepsy: an HD-EEG investigation” pubblicato sulla rivista «Cortex»

Dalla ricerca, parte di un progetto sull’epilessia finanziato dal Ministero della Salute con il contributo del "5xMILLE", è emerso che proprio questi due meccanismi risultano alterati nei pazienti con epilessia del lobo temporale.

«Nel cervello caratterizzato da epilessia abbiamo riscontrato uno sbilanciamento a favore di una iper-comunicazione tra diverse aree cerebrali, perfino quando il cervello non è impegnato in nessun compito» - dice il dottor Gian Marco Duma, ricercatore dell’Ircss E. Medea di Conegliano e primo autore dello studio – «Questa iper-comunicazione tra zone cerebrali distinte potrebbe rappresentare il meccanismo fisiologico che giustifica come un’alterazione probabilmente locale, possa impattare sul funzionamento dell’intero sistema cerebrale, producendo alterazioni patologiche a più livelli»

«Uno dei risultati più importanti di questo studio è che maggiori livelli di integrazione tra i network cerebrali correlano con prestazioni peggiori del funzionamento cognitivo nei pazienti con epilessia, e in particolare nei test di memoria e attenzione. Questa è una dimostrazione che – sottolinea il prof. Giovanni Mento, docente di Neuropsicologia dello Sviluppo del dipartimento di Psicologia Generale dell’Università di Padova che ha coordinato lo studio – la flessibilità ed integrazione dei network cerebrali sono in un delicato equilibrio, ed una loro alterazione può impattare le nostre funzioni cognitive. D’altronde l’omeostasi tra la differenziazione e l’integrazione tra gli elementi costituenti è un pattern tipico di molti sistemi complessi non solo biologici, basti pensare ai rapporti all’interno di gruppi sociali».

Come evidenziato dal dott. Paolo Bonanni, direttore dell’unità di epilessia e neurofisiologia clinica del Irccs Eugenio MEDEA di Conegliano e Pieve di Soligo «Molti pazienti reclutati nello studio a causa della gravità dell’epilessia hanno subito successivamente un intervento di chirurgia e sono guariti con recupero anche di funzioni neuropsicologiche come la memoria. Sarà interessante ripetere lo studio della comunicazione spontanea dei network cerebrali a riposo per vedere se nei pazienti guariti dall’epilessia vi è, come sarebbe logico aspettarsi, un ritorno alla normalità dei circuiti cerebrali»

«I nostri risultati – conclude il dott. Alberto Danieli, medico e ricercatore che ha seguito direttamente lo svolgimento dello studio - andranno confermati in popolazioni cliniche più ampie anche in modo prospettico e attraverso metodiche complementari, e ci auguriamo possano contribuire a migliorare la gestione clinica e la qualità di vita della persona con epilessia sin dall’esordio del disturbo».

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Per molti anni i neuroscienziati hanno creduto che l’attività spontanea cerebrale, ovvero il comportamento dei neuroni quando non direttamente impegnati in attività specifiche quali produrre pensieri o interagire col mondo esterno, fosse per lo più caotica e priva di significato funzionale. Eppure, da almeno due decenni sappiamo che, seppur apparentemente scollegata dal pensiero e dall’azione, l’attività “a riposo” (dall’inglese resting state) del nostro cervello presenta un livello sorprendente di organizzazione spaziale e temporale. Se proviamo a pensare alle onde cerebrali misurate tramite l’elettroencefalogramma come al linguaggio che neuroni anche molto lontani tra di loro possono usare per parlarsi, vediamo che il funzionamento di un cervello sano è caratterizzato da una sorta di ordine intrinseco, fatto di oscillazioni armoniose che viaggiano a frequenze diverse in grado di trasportare messaggi fondamentali per la nostra sopravvivenza. Questo è vero tanto per le azioni più semplici quanto per le elucubrazioni mentali più ardite

Recentemente si è anche scoperto che la capacità di comunicazione neuronale costituisce una sorta di “impronta digitale” del nostro cervello che caratterizza gli individui e li differenzia gli uni dagli altri. Questo implica che possibili funzionamenti alterati della comunicazione elettrica tra neuroni possono dare luogo a patologie cliniche. Una delle patologie neurologiche maggiormente diffuse nel mondo è l’epilessia, con una prevalenza di circa una persona ogni 100 nei paesi industrializzati. Tra le varie forme di epilessia, l’epilessia del lobo temporale è la più comune.

La concezione dell’epilessia è cambiata nel tempo, passando dall’essere considerata un’alterazione specifica di una porzione del cervello a un disturbo più sistemico che può coinvolgere uno o più network cerebrali. Prendendo in prestito dei concetti matematici, i neuroscienziati hanno ampiamente compreso che una comunicazione efficiente all’interno di una rete, fosse questa una comunità di persone (es., facebook) o un complesso sistema cellulare quale è il cervello, avviene quando le informazioni che i nodi di questa rete si scambiano vengo elaborate, ovvero integrate, dai singoli elementi. Ma questo non basta, per funzionare bene un network deve anche essere in grado di differenziare la comunicazione tra gli elementi interni ad esso e quelli esterni, un principio noto come “segregazione”. Il cervello, proprio come ogni sistema complesso, per funzionare ottimamente ha bisogno di un equilibrio tra integrazione e segregazione. In poche parole, i differenti circuiti cerebrali che lo costituiscono devono essere ben organizzati al proprio interno e ben differenziati gli uni dagli altri, come l’impianto elettrico di un grattacielo, ma infinitamente più complesso.

Il team di ricercatori dell’Irccs Meda - La Nostra Famiglia nella sede di Conegliano e dell’Università di Padova, Dipartimento di Psicologia Generale, hanno dedicato i loro sforzi a studiare il delicato equilibrio tra integrazione e segregazione nell’epilessia del lobo temporale. I risultati sono stati pubblicati nello studio dal titolo “Resting state network dynamic reconfiguration and neuropsychological functioning in temporal lobe epilepsy: an HD-EEG investigation” pubblicato sulla rivista «Cortex»

Dalla ricerca, parte di un progetto sull’epilessia finanziato dal Ministero della Salute con il contributo del "5xMILLE", è emerso che proprio questi due meccanismi risultano alterati nei pazienti con epilessia del lobo temporale.

«Nel cervello caratterizzato da epilessia abbiamo riscontrato uno sbilanciamento a favore di una iper-comunicazione tra diverse aree cerebrali, perfino quando il cervello non è impegnato in nessun compito» - dice il dottor Gian Marco Duma, ricercatore dell’Ircss E. Medea di Conegliano e primo autore dello studio – «Questa iper-comunicazione tra zone cerebrali distinte potrebbe rappresentare il meccanismo fisiologico che giustifica come un’alterazione probabilmente locale, possa impattare sul funzionamento dell’intero sistema cerebrale, producendo alterazioni patologiche a più livelli»

«Uno dei risultati più importanti di questo studio è che maggiori livelli di integrazione tra i network cerebrali correlano con prestazioni peggiori del funzionamento cognitivo nei pazienti con epilessia, e in particolare nei test di memoria e attenzione. Questa è una dimostrazione che – sottolinea il prof. Giovanni Mento, docente di Neuropsicologia dello Sviluppo del dipartimento di Psicologia Generale dell’Università di Padova che ha coordinato lo studio – la flessibilità ed integrazione dei network cerebrali sono in un delicato equilibrio, ed una loro alterazione può impattare le nostre funzioni cognitive. D’altronde l’omeostasi tra la differenziazione e l’integrazione tra gli elementi costituenti è un pattern tipico di molti sistemi complessi non solo biologici, basti pensare ai rapporti all’interno di gruppi sociali».

Come evidenziato dal dott. Paolo Bonanni, direttore dell’unità di epilessia e neurofisiologia clinica del Irccs Eugenio MEDEA di Conegliano e Pieve di Soligo «Molti pazienti reclutati nello studio a causa della gravità dell’epilessia hanno subito successivamente un intervento di chirurgia e sono guariti con recupero anche di funzioni neuropsicologiche come la memoria. Sarà interessante ripetere lo studio della comunicazione spontanea dei network cerebrali a riposo per vedere se nei pazienti guariti dall’epilessia vi è, come sarebbe logico aspettarsi, un ritorno alla normalità dei circuiti cerebrali»

«I nostri risultati – conclude il dott. Alberto Danieli, medico e ricercatore che ha seguito direttamente lo svolgimento dello studio - andranno confermati in popolazioni cliniche più ampie anche in modo prospettico e attraverso metodiche complementari, e ci auguriamo possano contribuire a migliorare la gestione clinica e la qualità di vita della persona con epilessia sin dall’esordio del disturbo».

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Pubblicato su «Cortex» lo studio - nato dalla pluriennale collaborazione tra l’unità di Epilessia e Neurofisiologia clinica dell’Irccs Eugenio Medea (sede di Conegliano) e il Dipartimento di Psicologia Generale dell’Università di Padova - nel quale è stato dimostrato come la comunicazione spontanea dei network cerebrali a riposo possa spiegare le prestazioni cognitive dei pazienti con epilessia del lobo temporale.

Per molti anni i neuroscienziati hanno creduto che l’attività spontanea cerebrale, ovvero il comportamento dei neuroni quando non direttamente impegnati in attività specifiche quali produrre pensieri o interagire col mondo esterno, fosse per lo più caotica e priva di significato funzionale. Eppure, da almeno due decenni sappiamo che, seppur apparentemente scollegata dal pensiero e dall’azione, l’attività “a riposo” (dall’inglese resting state) del nostro cervello presenta un livello sorprendente di organizzazione spaziale e temporale. Se proviamo a pensare alle onde cerebrali misurate tramite l’elettroencefalogramma come al linguaggio che neuroni anche molto lontani tra di loro possono usare per parlarsi, vediamo che il funzionamento di un cervello sano è caratterizzato da una sorta di ordine intrinseco, fatto di oscillazioni armoniose che viaggiano a frequenze diverse in grado di trasportare messaggi fondamentali per la nostra sopravvivenza. Questo è vero tanto per le azioni più semplici quanto per le elucubrazioni mentali più ardite

Recentemente si è anche scoperto che la capacità di comunicazione neuronale costituisce una sorta di “impronta digitale” del nostro cervello che caratterizza gli individui e li differenzia gli uni dagli altri. Questo implica che possibili funzionamenti alterati della comunicazione elettrica tra neuroni possono dare luogo a patologie cliniche. Una delle patologie neurologiche maggiormente diffuse nel mondo è l’epilessia, con una prevalenza di circa una persona ogni 100 nei paesi industrializzati. Tra le varie forme di epilessia, l’epilessia del lobo temporale è la più comune.

La concezione dell’epilessia è cambiata nel tempo, passando dall’essere considerata un’alterazione specifica di una porzione del cervello a un disturbo più sistemico che può coinvolgere uno o più network cerebrali. Prendendo in prestito dei concetti matematici, i neuroscienziati hanno ampiamente compreso che una comunicazione efficiente all’interno di una rete, fosse questa una comunità di persone (es., facebook) o un complesso sistema cellulare quale è il cervello, avviene quando le informazioni che i nodi di questa rete si scambiano vengo elaborate, ovvero integrate, dai singoli elementi. Ma questo non basta, per funzionare bene un network deve anche essere in grado di differenziare la comunicazione tra gli elementi interni ad esso e quelli esterni, un principio noto come “segregazione”. Il cervello, proprio come ogni sistema complesso, per funzionare ottimamente ha bisogno di un equilibrio tra integrazione e segregazione. In poche parole, i differenti circuiti cerebrali che lo costituiscono devono essere ben organizzati al proprio interno e ben differenziati gli uni dagli altri, come l’impianto elettrico di un grattacielo, ma infinitamente più complesso.

Il team di ricercatori dell’Irccs Meda - La Nostra Famiglia nella sede di Conegliano e dell’Università di Padova, Dipartimento di Psicologia Generale, hanno dedicato i loro sforzi a studiare il delicato equilibrio tra integrazione e segregazione nell’epilessia del lobo temporale. I risultati sono stati pubblicati nello studio dal titolo “Resting state network dynamic reconfiguration and neuropsychological functioning in temporal lobe epilepsy: an HD-EEG investigation” pubblicato sulla rivista «Cortex»

Dalla ricerca, parte di un progetto sull’epilessia finanziato dal Ministero della Salute con il contributo del "5xMILLE", è emerso che proprio questi due meccanismi risultano alterati nei pazienti con epilessia del lobo temporale.

«Nel cervello caratterizzato da epilessia abbiamo riscontrato uno sbilanciamento a favore di una iper-comunicazione tra diverse aree cerebrali, perfino quando il cervello non è impegnato in nessun compito» - dice il dottor Gian Marco Duma, ricercatore dell’Ircss E. Medea di Conegliano e primo autore dello studio – «Questa iper-comunicazione tra zone cerebrali distinte potrebbe rappresentare il meccanismo fisiologico che giustifica come un’alterazione probabilmente locale, possa impattare sul funzionamento dell’intero sistema cerebrale, producendo alterazioni patologiche a più livelli»

«Uno dei risultati più importanti di questo studio è che maggiori livelli di integrazione tra i network cerebrali correlano con prestazioni peggiori del funzionamento cognitivo nei pazienti con epilessia, e in particolare nei test di memoria e attenzione. Questa è una dimostrazione che – sottolinea il prof. Giovanni Mento, docente di Neuropsicologia dello Sviluppo del dipartimento di Psicologia Generale dell’Università di Padova che ha coordinato lo studio – la flessibilità ed integrazione dei network cerebrali sono in un delicato equilibrio, ed una loro alterazione può impattare le nostre funzioni cognitive. D’altronde l’omeostasi tra la differenziazione e l’integrazione tra gli elementi costituenti è un pattern tipico di molti sistemi complessi non solo biologici, basti pensare ai rapporti all’interno di gruppi sociali».

Come evidenziato dal dott. Paolo Bonanni, direttore dell’unità di epilessia e neurofisiologia clinica del Irccs Eugenio MEDEA di Conegliano e Pieve di Soligo «Molti pazienti reclutati nello studio a causa della gravità dell’epilessia hanno subito successivamente un intervento di chirurgia e sono guariti con recupero anche di funzioni neuropsicologiche come la memoria. Sarà interessante ripetere lo studio della comunicazione spontanea dei network cerebrali a riposo per vedere se nei pazienti guariti dall’epilessia vi è, come sarebbe logico aspettarsi, un ritorno alla normalità dei circuiti cerebrali»

«I nostri risultati – conclude il dott. Alberto Danieli, medico e ricercatore che ha seguito direttamente lo svolgimento dello studio - andranno confermati in popolazioni cliniche più ampie anche in modo prospettico e attraverso metodiche complementari, e ci auguriamo possano contribuire a migliorare la gestione clinica e la qualità di vita della persona con epilessia sin dall’esordio del disturbo».

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Per molti anni i neuroscienziati hanno creduto che l’attività spontanea cerebrale, ovvero il comportamento dei neuroni quando non direttamente impegnati in attività specifiche quali produrre pensieri o interagire col mondo esterno, fosse per lo più caotica e priva di significato funzionale. Eppure, da almeno due decenni sappiamo che, seppur apparentemente scollegata dal pensiero e dall’azione, l’attività “a riposo” (dall’inglese resting state) del nostro cervello presenta un livello sorprendente di organizzazione spaziale e temporale. Se proviamo a pensare alle onde cerebrali misurate tramite l’elettroencefalogramma come al linguaggio che neuroni anche molto lontani tra di loro possono usare per parlarsi, vediamo che il funzionamento di un cervello sano è caratterizzato da una sorta di ordine intrinseco, fatto di oscillazioni armoniose che viaggiano a frequenze diverse in grado di trasportare messaggi fondamentali per la nostra sopravvivenza. Questo è vero tanto per le azioni più semplici quanto per le elucubrazioni mentali più ardite

Recentemente si è anche scoperto che la capacità di comunicazione neuronale costituisce una sorta di “impronta digitale” del nostro cervello che caratterizza gli individui e li differenzia gli uni dagli altri. Questo implica che possibili funzionamenti alterati della comunicazione elettrica tra neuroni possono dare luogo a patologie cliniche. Una delle patologie neurologiche maggiormente diffuse nel mondo è l’epilessia, con una prevalenza di circa una persona ogni 100 nei paesi industrializzati. Tra le varie forme di epilessia, l’epilessia del lobo temporale è la più comune.

La concezione dell’epilessia è cambiata nel tempo, passando dall’essere considerata un’alterazione specifica di una porzione del cervello a un disturbo più sistemico che può coinvolgere uno o più network cerebrali. Prendendo in prestito dei concetti matematici, i neuroscienziati hanno ampiamente compreso che una comunicazione efficiente all’interno di una rete, fosse questa una comunità di persone (es., facebook) o un complesso sistema cellulare quale è il cervello, avviene quando le informazioni che i nodi di questa rete si scambiano vengo elaborate, ovvero integrate, dai singoli elementi. Ma questo non basta, per funzionare bene un network deve anche essere in grado di differenziare la comunicazione tra gli elementi interni ad esso e quelli esterni, un principio noto come “segregazione”. Il cervello, proprio come ogni sistema complesso, per funzionare ottimamente ha bisogno di un equilibrio tra integrazione e segregazione. In poche parole, i differenti circuiti cerebrali che lo costituiscono devono essere ben organizzati al proprio interno e ben differenziati gli uni dagli altri, come l’impianto elettrico di un grattacielo, ma infinitamente più complesso.

Il team di ricercatori dell’Irccs Meda - La Nostra Famiglia nella sede di Conegliano e dell’Università di Padova, Dipartimento di Psicologia Generale, hanno dedicato i loro sforzi a studiare il delicato equilibrio tra integrazione e segregazione nell’epilessia del lobo temporale. I risultati sono stati pubblicati nello studio dal titolo “Resting state network dynamic reconfiguration and neuropsychological functioning in temporal lobe epilepsy: an HD-EEG investigation” pubblicato sulla rivista «Cortex»

Dalla ricerca, parte di un progetto sull’epilessia finanziato dal Ministero della Salute con il contributo del "5xMILLE", è emerso che proprio questi due meccanismi risultano alterati nei pazienti con epilessia del lobo temporale.

«Nel cervello caratterizzato da epilessia abbiamo riscontrato uno sbilanciamento a favore di una iper-comunicazione tra diverse aree cerebrali, perfino quando il cervello non è impegnato in nessun compito» - dice il dottor Gian Marco Duma, ricercatore dell’Ircss E. Medea di Conegliano e primo autore dello studio – «Questa iper-comunicazione tra zone cerebrali distinte potrebbe rappresentare il meccanismo fisiologico che giustifica come un’alterazione probabilmente locale, possa impattare sul funzionamento dell’intero sistema cerebrale, producendo alterazioni patologiche a più livelli»

«Uno dei risultati più importanti di questo studio è che maggiori livelli di integrazione tra i network cerebrali correlano con prestazioni peggiori del funzionamento cognitivo nei pazienti con epilessia, e in particolare nei test di memoria e attenzione. Questa è una dimostrazione che – sottolinea il prof. Giovanni Mento, docente di Neuropsicologia dello Sviluppo del dipartimento di Psicologia Generale dell’Università di Padova che ha coordinato lo studio – la flessibilità ed integrazione dei network cerebrali sono in un delicato equilibrio, ed una loro alterazione può impattare le nostre funzioni cognitive. D’altronde l’omeostasi tra la differenziazione e l’integrazione tra gli elementi costituenti è un pattern tipico di molti sistemi complessi non solo biologici, basti pensare ai rapporti all’interno di gruppi sociali».

Come evidenziato dal dott. Paolo Bonanni, direttore dell’unità di epilessia e neurofisiologia clinica del Irccs Eugenio MEDEA di Conegliano e Pieve di Soligo «Molti pazienti reclutati nello studio a causa della gravità dell’epilessia hanno subito successivamente un intervento di chirurgia e sono guariti con recupero anche di funzioni neuropsicologiche come la memoria. Sarà interessante ripetere lo studio della comunicazione spontanea dei network cerebrali a riposo per vedere se nei pazienti guariti dall’epilessia vi è, come sarebbe logico aspettarsi, un ritorno alla normalità dei circuiti cerebrali»

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Pubblicato su «Cortex» lo studio - nato dalla pluriennale collaborazione tra l’unità di Epilessia e Neurofisiologia clinica dell’Irccs Eugenio Medea (sede di Conegliano) e il Dipartimento di Psicologia Generale dell’Università di Padova - nel quale è stato dimostrato come la comunicazione spontanea dei network cerebrali a riposo possa spiegare le prestazioni cognitive dei pazienti con epilessia del lobo temporale.

Per molti anni i neuroscienziati hanno creduto che l’attività spontanea cerebrale, ovvero il comportamento dei neuroni quando non direttamente impegnati in attività specifiche quali produrre pensieri o interagire col mondo esterno, fosse per lo più caotica e priva di significato funzionale. Eppure, da almeno due decenni sappiamo che, seppur apparentemente scollegata dal pensiero e dall’azione, l’attività “a riposo” (dall’inglese resting state) del nostro cervello presenta un livello sorprendente di organizzazione spaziale e temporale. Se proviamo a pensare alle onde cerebrali misurate tramite l’elettroencefalogramma come al linguaggio che neuroni anche molto lontani tra di loro possono usare per parlarsi, vediamo che il funzionamento di un cervello sano è caratterizzato da una sorta di ordine intrinseco, fatto di oscillazioni armoniose che viaggiano a frequenze diverse in grado di trasportare messaggi fondamentali per la nostra sopravvivenza. Questo è vero tanto per le azioni più semplici quanto per le elucubrazioni mentali più ardite

Recentemente si è anche scoperto che la capacità di comunicazione neuronale costituisce una sorta di “impronta digitale” del nostro cervello che caratterizza gli individui e li differenzia gli uni dagli altri. Questo implica che possibili funzionamenti alterati della comunicazione elettrica tra neuroni possono dare luogo a patologie cliniche. Una delle patologie neurologiche maggiormente diffuse nel mondo è l’epilessia, con una prevalenza di circa una persona ogni 100 nei paesi industrializzati. Tra le varie forme di epilessia, l’epilessia del lobo temporale è la più comune.

La concezione dell’epilessia è cambiata nel tempo, passando dall’essere considerata un’alterazione specifica di una porzione del cervello a un disturbo più sistemico che può coinvolgere uno o più network cerebrali. Prendendo in prestito dei concetti matematici, i neuroscienziati hanno ampiamente compreso che una comunicazione efficiente all’interno di una rete, fosse questa una comunità di persone (es., facebook) o un complesso sistema cellulare quale è il cervello, avviene quando le informazioni che i nodi di questa rete si scambiano vengo elaborate, ovvero integrate, dai singoli elementi. Ma questo non basta, per funzionare bene un network deve anche essere in grado di differenziare la comunicazione tra gli elementi interni ad esso e quelli esterni, un principio noto come “segregazione”. Il cervello, proprio come ogni sistema complesso, per funzionare ottimamente ha bisogno di un equilibrio tra integrazione e segregazione. In poche parole, i differenti circuiti cerebrali che lo costituiscono devono essere ben organizzati al proprio interno e ben differenziati gli uni dagli altri, come l’impianto elettrico di un grattacielo, ma infinitamente più complesso.

Il team di ricercatori dell’Irccs Meda - La Nostra Famiglia nella sede di Conegliano e dell’Università di Padova, Dipartimento di Psicologia Generale, hanno dedicato i loro sforzi a studiare il delicato equilibrio tra integrazione e segregazione nell’epilessia del lobo temporale. I risultati sono stati pubblicati nello studio dal titolo “Resting state network dynamic reconfiguration and neuropsychological functioning in temporal lobe epilepsy: an HD-EEG investigation” pubblicato sulla rivista «Cortex»

Dalla ricerca, parte di un progetto sull’epilessia finanziato dal Ministero della Salute con il contributo del "5xMILLE", è emerso che proprio questi due meccanismi risultano alterati nei pazienti con epilessia del lobo temporale.

«Nel cervello caratterizzato da epilessia abbiamo riscontrato uno sbilanciamento a favore di una iper-comunicazione tra diverse aree cerebrali, perfino quando il cervello non è impegnato in nessun compito» - dice il dottor Gian Marco Duma, ricercatore dell’Ircss E. Medea di Conegliano e primo autore dello studio – «Questa iper-comunicazione tra zone cerebrali distinte potrebbe rappresentare il meccanismo fisiologico che giustifica come un’alterazione probabilmente locale, possa impattare sul funzionamento dell’intero sistema cerebrale, producendo alterazioni patologiche a più livelli»

«Uno dei risultati più importanti di questo studio è che maggiori livelli di integrazione tra i network cerebrali correlano con prestazioni peggiori del funzionamento cognitivo nei pazienti con epilessia, e in particolare nei test di memoria e attenzione. Questa è una dimostrazione che – sottolinea il prof. Giovanni Mento, docente di Neuropsicologia dello Sviluppo del dipartimento di Psicologia Generale dell’Università di Padova che ha coordinato lo studio – la flessibilità ed integrazione dei network cerebrali sono in un delicato equilibrio, ed una loro alterazione può impattare le nostre funzioni cognitive. D’altronde l’omeostasi tra la differenziazione e l’integrazione tra gli elementi costituenti è un pattern tipico di molti sistemi complessi non solo biologici, basti pensare ai rapporti all’interno di gruppi sociali».

Come evidenziato dal dott. Paolo Bonanni, direttore dell’unità di epilessia e neurofisiologia clinica del Irccs Eugenio MEDEA di Conegliano e Pieve di Soligo «Molti pazienti reclutati nello studio a causa della gravità dell’epilessia hanno subito successivamente un intervento di chirurgia e sono guariti con recupero anche di funzioni neuropsicologiche come la memoria. Sarà interessante ripetere lo studio della comunicazione spontanea dei network cerebrali a riposo per vedere se nei pazienti guariti dall’epilessia vi è, come sarebbe logico aspettarsi, un ritorno alla normalità dei circuiti cerebrali»

«I nostri risultati – conclude il dott. Alberto Danieli, medico e ricercatore che ha seguito direttamente lo svolgimento dello studio - andranno confermati in popolazioni cliniche più ampie anche in modo prospettico e attraverso metodiche complementari, e ci auguriamo possano contribuire a migliorare la gestione clinica e la qualità di vita della persona con epilessia sin dall’esordio del disturbo».

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Per molti anni i neuroscienziati hanno creduto che l’attività spontanea cerebrale, ovvero il comportamento dei neuroni quando non direttamente impegnati in attività specifiche quali produrre pensieri o interagire col mondo esterno, fosse per lo più caotica e priva di significato funzionale. Eppure, da almeno due decenni sappiamo che, seppur apparentemente scollegata dal pensiero e dall’azione, l’attività “a riposo” (dall’inglese resting state) del nostro cervello presenta un livello sorprendente di organizzazione spaziale e temporale. Se proviamo a pensare alle onde cerebrali misurate tramite l’elettroencefalogramma come al linguaggio che neuroni anche molto lontani tra di loro possono usare per parlarsi, vediamo che il funzionamento di un cervello sano è caratterizzato da una sorta di ordine intrinseco, fatto di oscillazioni armoniose che viaggiano a frequenze diverse in grado di trasportare messaggi fondamentali per la nostra sopravvivenza. Questo è vero tanto per le azioni più semplici quanto per le elucubrazioni mentali più ardite

Recentemente si è anche scoperto che la capacità di comunicazione neuronale costituisce una sorta di “impronta digitale” del nostro cervello che caratterizza gli individui e li differenzia gli uni dagli altri. Questo implica che possibili funzionamenti alterati della comunicazione elettrica tra neuroni possono dare luogo a patologie cliniche. Una delle patologie neurologiche maggiormente diffuse nel mondo è l’epilessia, con una prevalenza di circa una persona ogni 100 nei paesi industrializzati. Tra le varie forme di epilessia, l’epilessia del lobo temporale è la più comune.

La concezione dell’epilessia è cambiata nel tempo, passando dall’essere considerata un’alterazione specifica di una porzione del cervello a un disturbo più sistemico che può coinvolgere uno o più network cerebrali. Prendendo in prestito dei concetti matematici, i neuroscienziati hanno ampiamente compreso che una comunicazione efficiente all’interno di una rete, fosse questa una comunità di persone (es., facebook) o un complesso sistema cellulare quale è il cervello, avviene quando le informazioni che i nodi di questa rete si scambiano vengo elaborate, ovvero integrate, dai singoli elementi. Ma questo non basta, per funzionare bene un network deve anche essere in grado di differenziare la comunicazione tra gli elementi interni ad esso e quelli esterni, un principio noto come “segregazione”. Il cervello, proprio come ogni sistema complesso, per funzionare ottimamente ha bisogno di un equilibrio tra integrazione e segregazione. In poche parole, i differenti circuiti cerebrali che lo costituiscono devono essere ben organizzati al proprio interno e ben differenziati gli uni dagli altri, come l’impianto elettrico di un grattacielo, ma infinitamente più complesso.

Il team di ricercatori dell’Irccs Meda - La Nostra Famiglia nella sede di Conegliano e dell’Università di Padova, Dipartimento di Psicologia Generale, hanno dedicato i loro sforzi a studiare il delicato equilibrio tra integrazione e segregazione nell’epilessia del lobo temporale. I risultati sono stati pubblicati nello studio dal titolo “Resting state network dynamic reconfiguration and neuropsychological functioning in temporal lobe epilepsy: an HD-EEG investigation” pubblicato sulla rivista «Cortex»

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«Nel cervello caratterizzato da epilessia abbiamo riscontrato uno sbilanciamento a favore di una iper-comunicazione tra diverse aree cerebrali, perfino quando il cervello non è impegnato in nessun compito» - dice il dottor Gian Marco Duma, ricercatore dell’Ircss E. Medea di Conegliano e primo autore dello studio – «Questa iper-comunicazione tra zone cerebrali distinte potrebbe rappresentare il meccanismo fisiologico che giustifica come un’alterazione probabilmente locale, possa impattare sul funzionamento dell’intero sistema cerebrale, producendo alterazioni patologiche a più livelli»

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Per molti anni i neuroscienziati hanno creduto che l’attività spontanea cerebrale, ovvero il comportamento dei neuroni quando non direttamente impegnati in attività specifiche quali produrre pensieri o interagire col mondo esterno, fosse per lo più caotica e priva di significato funzionale. Eppure, da almeno due decenni sappiamo che, seppur apparentemente scollegata dal pensiero e dall’azione, l’attività “a riposo” (dall’inglese resting state) del nostro cervello presenta un livello sorprendente di organizzazione spaziale e temporale. Se proviamo a pensare alle onde cerebrali misurate tramite l’elettroencefalogramma come al linguaggio che neuroni anche molto lontani tra di loro possono usare per parlarsi, vediamo che il funzionamento di un cervello sano è caratterizzato da una sorta di ordine intrinseco, fatto di oscillazioni armoniose che viaggiano a frequenze diverse in grado di trasportare messaggi fondamentali per la nostra sopravvivenza. Questo è vero tanto per le azioni più semplici quanto per le elucubrazioni mentali più ardite

Recentemente si è anche scoperto che la capacità di comunicazione neuronale costituisce una sorta di “impronta digitale” del nostro cervello che caratterizza gli individui e li differenzia gli uni dagli altri. Questo implica che possibili funzionamenti alterati della comunicazione elettrica tra neuroni possono dare luogo a patologie cliniche. Una delle patologie neurologiche maggiormente diffuse nel mondo è l’epilessia, con una prevalenza di circa una persona ogni 100 nei paesi industrializzati. Tra le varie forme di epilessia, l’epilessia del lobo temporale è la più comune.

La concezione dell’epilessia è cambiata nel tempo, passando dall’essere considerata un’alterazione specifica di una porzione del cervello a un disturbo più sistemico che può coinvolgere uno o più network cerebrali. Prendendo in prestito dei concetti matematici, i neuroscienziati hanno ampiamente compreso che una comunicazione efficiente all’interno di una rete, fosse questa una comunità di persone (es., facebook) o un complesso sistema cellulare quale è il cervello, avviene quando le informazioni che i nodi di questa rete si scambiano vengo elaborate, ovvero integrate, dai singoli elementi. Ma questo non basta, per funzionare bene un network deve anche essere in grado di differenziare la comunicazione tra gli elementi interni ad esso e quelli esterni, un principio noto come “segregazione”. Il cervello, proprio come ogni sistema complesso, per funzionare ottimamente ha bisogno di un equilibrio tra integrazione e segregazione. In poche parole, i differenti circuiti cerebrali che lo costituiscono devono essere ben organizzati al proprio interno e ben differenziati gli uni dagli altri, come l’impianto elettrico di un grattacielo, ma infinitamente più complesso.

Il team di ricercatori dell’Irccs Meda - La Nostra Famiglia nella sede di Conegliano e dell’Università di Padova, Dipartimento di Psicologia Generale, hanno dedicato i loro sforzi a studiare il delicato equilibrio tra integrazione e segregazione nell’epilessia del lobo temporale. I risultati sono stati pubblicati nello studio dal titolo “Resting state network dynamic reconfiguration and neuropsychological functioning in temporal lobe epilepsy: an HD-EEG investigation” pubblicato sulla rivista «Cortex»

Dalla ricerca, parte di un progetto sull’epilessia finanziato dal Ministero della Salute con il contributo del "5xMILLE", è emerso che proprio questi due meccanismi risultano alterati nei pazienti con epilessia del lobo temporale.

«Nel cervello caratterizzato da epilessia abbiamo riscontrato uno sbilanciamento a favore di una iper-comunicazione tra diverse aree cerebrali, perfino quando il cervello non è impegnato in nessun compito» - dice il dottor Gian Marco Duma, ricercatore dell’Ircss E. Medea di Conegliano e primo autore dello studio – «Questa iper-comunicazione tra zone cerebrali distinte potrebbe rappresentare il meccanismo fisiologico che giustifica come un’alterazione probabilmente locale, possa impattare sul funzionamento dell’intero sistema cerebrale, producendo alterazioni patologiche a più livelli»

«Uno dei risultati più importanti di questo studio è che maggiori livelli di integrazione tra i network cerebrali correlano con prestazioni peggiori del funzionamento cognitivo nei pazienti con epilessia, e in particolare nei test di memoria e attenzione. Questa è una dimostrazione che – sottolinea il prof. Giovanni Mento, docente di Neuropsicologia dello Sviluppo del dipartimento di Psicologia Generale dell’Università di Padova che ha coordinato lo studio – la flessibilità ed integrazione dei network cerebrali sono in un delicato equilibrio, ed una loro alterazione può impattare le nostre funzioni cognitive. D’altronde l’omeostasi tra la differenziazione e l’integrazione tra gli elementi costituenti è un pattern tipico di molti sistemi complessi non solo biologici, basti pensare ai rapporti all’interno di gruppi sociali».

Come evidenziato dal dott. Paolo Bonanni, direttore dell’unità di epilessia e neurofisiologia clinica del Irccs Eugenio MEDEA di Conegliano e Pieve di Soligo «Molti pazienti reclutati nello studio a causa della gravità dell’epilessia hanno subito successivamente un intervento di chirurgia e sono guariti con recupero anche di funzioni neuropsicologiche come la memoria. Sarà interessante ripetere lo studio della comunicazione spontanea dei network cerebrali a riposo per vedere se nei pazienti guariti dall’epilessia vi è, come sarebbe logico aspettarsi, un ritorno alla normalità dei circuiti cerebrali»

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«Nel cervello caratterizzato da epilessia abbiamo riscontrato uno sbilanciamento a favore di una iper-comunicazione tra diverse aree cerebrali, perfino quando il cervello non è impegnato in nessun compito» - dice il dottor Gian Marco Duma, ricercatore dell’Ircss E. Medea di Conegliano e primo autore dello studio – «Questa iper-comunicazione tra zone cerebrali distinte potrebbe rappresentare il meccanismo fisiologico che giustifica come un’alterazione probabilmente locale, possa impattare sul funzionamento dell’intero sistema cerebrale, producendo alterazioni patologiche a più livelli»

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Pubblicato su «Cortex» lo studio - nato dalla pluriennale collaborazione tra l’unità di Epilessia e Neurofisiologia clinica dell’Irccs Eugenio Medea (sede di Conegliano) e il Dipartimento di Psicologia Generale dell’Università di Padova - nel quale è stato dimostrato come la comunicazione spontanea dei network cerebrali a riposo possa spiegare le prestazioni cognitive dei pazienti con epilessia del lobo temporale.

Per molti anni i neuroscienziati hanno creduto che l’attività spontanea cerebrale, ovvero il comportamento dei neuroni quando non direttamente impegnati in attività specifiche quali produrre pensieri o interagire col mondo esterno, fosse per lo più caotica e priva di significato funzionale. Eppure, da almeno due decenni sappiamo che, seppur apparentemente scollegata dal pensiero e dall’azione, l’attività “a riposo” (dall’inglese resting state) del nostro cervello presenta un livello sorprendente di organizzazione spaziale e temporale. Se proviamo a pensare alle onde cerebrali misurate tramite l’elettroencefalogramma come al linguaggio che neuroni anche molto lontani tra di loro possono usare per parlarsi, vediamo che il funzionamento di un cervello sano è caratterizzato da una sorta di ordine intrinseco, fatto di oscillazioni armoniose che viaggiano a frequenze diverse in grado di trasportare messaggi fondamentali per la nostra sopravvivenza. Questo è vero tanto per le azioni più semplici quanto per le elucubrazioni mentali più ardite

Recentemente si è anche scoperto che la capacità di comunicazione neuronale costituisce una sorta di “impronta digitale” del nostro cervello che caratterizza gli individui e li differenzia gli uni dagli altri. Questo implica che possibili funzionamenti alterati della comunicazione elettrica tra neuroni possono dare luogo a patologie cliniche. Una delle patologie neurologiche maggiormente diffuse nel mondo è l’epilessia, con una prevalenza di circa una persona ogni 100 nei paesi industrializzati. Tra le varie forme di epilessia, l’epilessia del lobo temporale è la più comune.

La concezione dell’epilessia è cambiata nel tempo, passando dall’essere considerata un’alterazione specifica di una porzione del cervello a un disturbo più sistemico che può coinvolgere uno o più network cerebrali. Prendendo in prestito dei concetti matematici, i neuroscienziati hanno ampiamente compreso che una comunicazione efficiente all’interno di una rete, fosse questa una comunità di persone (es., facebook) o un complesso sistema cellulare quale è il cervello, avviene quando le informazioni che i nodi di questa rete si scambiano vengo elaborate, ovvero integrate, dai singoli elementi. Ma questo non basta, per funzionare bene un network deve anche essere in grado di differenziare la comunicazione tra gli elementi interni ad esso e quelli esterni, un principio noto come “segregazione”. Il cervello, proprio come ogni sistema complesso, per funzionare ottimamente ha bisogno di un equilibrio tra integrazione e segregazione. In poche parole, i differenti circuiti cerebrali che lo costituiscono devono essere ben organizzati al proprio interno e ben differenziati gli uni dagli altri, come l’impianto elettrico di un grattacielo, ma infinitamente più complesso.

Il team di ricercatori dell’Irccs Meda - La Nostra Famiglia nella sede di Conegliano e dell’Università di Padova, Dipartimento di Psicologia Generale, hanno dedicato i loro sforzi a studiare il delicato equilibrio tra integrazione e segregazione nell’epilessia del lobo temporale. I risultati sono stati pubblicati nello studio dal titolo “Resting state network dynamic reconfiguration and neuropsychological functioning in temporal lobe epilepsy: an HD-EEG investigation” pubblicato sulla rivista «Cortex»

Dalla ricerca, parte di un progetto sull’epilessia finanziato dal Ministero della Salute con il contributo del "5xMILLE", è emerso che proprio questi due meccanismi risultano alterati nei pazienti con epilessia del lobo temporale.

«Nel cervello caratterizzato da epilessia abbiamo riscontrato uno sbilanciamento a favore di una iper-comunicazione tra diverse aree cerebrali, perfino quando il cervello non è impegnato in nessun compito» - dice il dottor Gian Marco Duma, ricercatore dell’Ircss E. Medea di Conegliano e primo autore dello studio – «Questa iper-comunicazione tra zone cerebrali distinte potrebbe rappresentare il meccanismo fisiologico che giustifica come un’alterazione probabilmente locale, possa impattare sul funzionamento dell’intero sistema cerebrale, producendo alterazioni patologiche a più livelli»

«Uno dei risultati più importanti di questo studio è che maggiori livelli di integrazione tra i network cerebrali correlano con prestazioni peggiori del funzionamento cognitivo nei pazienti con epilessia, e in particolare nei test di memoria e attenzione. Questa è una dimostrazione che – sottolinea il prof. Giovanni Mento, docente di Neuropsicologia dello Sviluppo del dipartimento di Psicologia Generale dell’Università di Padova che ha coordinato lo studio – la flessibilità ed integrazione dei network cerebrali sono in un delicato equilibrio, ed una loro alterazione può impattare le nostre funzioni cognitive. D’altronde l’omeostasi tra la differenziazione e l’integrazione tra gli elementi costituenti è un pattern tipico di molti sistemi complessi non solo biologici, basti pensare ai rapporti all’interno di gruppi sociali».

Come evidenziato dal dott. Paolo Bonanni, direttore dell’unità di epilessia e neurofisiologia clinica del Irccs Eugenio MEDEA di Conegliano e Pieve di Soligo «Molti pazienti reclutati nello studio a causa della gravità dell’epilessia hanno subito successivamente un intervento di chirurgia e sono guariti con recupero anche di funzioni neuropsicologiche come la memoria. Sarà interessante ripetere lo studio della comunicazione spontanea dei network cerebrali a riposo per vedere se nei pazienti guariti dall’epilessia vi è, come sarebbe logico aspettarsi, un ritorno alla normalità dei circuiti cerebrali»

«I nostri risultati – conclude il dott. Alberto Danieli, medico e ricercatore che ha seguito direttamente lo svolgimento dello studio - andranno confermati in popolazioni cliniche più ampie anche in modo prospettico e attraverso metodiche complementari, e ci auguriamo possano contribuire a migliorare la gestione clinica e la qualità di vita della persona con epilessia sin dall’esordio del disturbo».

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Per molti anni i neuroscienziati hanno creduto che l’attività spontanea cerebrale, ovvero il comportamento dei neuroni quando non direttamente impegnati in attività specifiche quali produrre pensieri o interagire col mondo esterno, fosse per lo più caotica e priva di significato funzionale. Eppure, da almeno due decenni sappiamo che, seppur apparentemente scollegata dal pensiero e dall’azione, l’attività “a riposo” (dall’inglese resting state) del nostro cervello presenta un livello sorprendente di organizzazione spaziale e temporale. Se proviamo a pensare alle onde cerebrali misurate tramite l’elettroencefalogramma come al linguaggio che neuroni anche molto lontani tra di loro possono usare per parlarsi, vediamo che il funzionamento di un cervello sano è caratterizzato da una sorta di ordine intrinseco, fatto di oscillazioni armoniose che viaggiano a frequenze diverse in grado di trasportare messaggi fondamentali per la nostra sopravvivenza. Questo è vero tanto per le azioni più semplici quanto per le elucubrazioni mentali più ardite

Recentemente si è anche scoperto che la capacità di comunicazione neuronale costituisce una sorta di “impronta digitale” del nostro cervello che caratterizza gli individui e li differenzia gli uni dagli altri. Questo implica che possibili funzionamenti alterati della comunicazione elettrica tra neuroni possono dare luogo a patologie cliniche. Una delle patologie neurologiche maggiormente diffuse nel mondo è l’epilessia, con una prevalenza di circa una persona ogni 100 nei paesi industrializzati. Tra le varie forme di epilessia, l’epilessia del lobo temporale è la più comune.

La concezione dell’epilessia è cambiata nel tempo, passando dall’essere considerata un’alterazione specifica di una porzione del cervello a un disturbo più sistemico che può coinvolgere uno o più network cerebrali. Prendendo in prestito dei concetti matematici, i neuroscienziati hanno ampiamente compreso che una comunicazione efficiente all’interno di una rete, fosse questa una comunità di persone (es., facebook) o un complesso sistema cellulare quale è il cervello, avviene quando le informazioni che i nodi di questa rete si scambiano vengo elaborate, ovvero integrate, dai singoli elementi. Ma questo non basta, per funzionare bene un network deve anche essere in grado di differenziare la comunicazione tra gli elementi interni ad esso e quelli esterni, un principio noto come “segregazione”. Il cervello, proprio come ogni sistema complesso, per funzionare ottimamente ha bisogno di un equilibrio tra integrazione e segregazione. In poche parole, i differenti circuiti cerebrali che lo costituiscono devono essere ben organizzati al proprio interno e ben differenziati gli uni dagli altri, come l’impianto elettrico di un grattacielo, ma infinitamente più complesso.

Il team di ricercatori dell’Irccs Meda - La Nostra Famiglia nella sede di Conegliano e dell’Università di Padova, Dipartimento di Psicologia Generale, hanno dedicato i loro sforzi a studiare il delicato equilibrio tra integrazione e segregazione nell’epilessia del lobo temporale. I risultati sono stati pubblicati nello studio dal titolo “Resting state network dynamic reconfiguration and neuropsychological functioning in temporal lobe epilepsy: an HD-EEG investigation” pubblicato sulla rivista «Cortex»

Dalla ricerca, parte di un progetto sull’epilessia finanziato dal Ministero della Salute con il contributo del "5xMILLE", è emerso che proprio questi due meccanismi risultano alterati nei pazienti con epilessia del lobo temporale.

«Nel cervello caratterizzato da epilessia abbiamo riscontrato uno sbilanciamento a favore di una iper-comunicazione tra diverse aree cerebrali, perfino quando il cervello non è impegnato in nessun compito» - dice il dottor Gian Marco Duma, ricercatore dell’Ircss E. Medea di Conegliano e primo autore dello studio – «Questa iper-comunicazione tra zone cerebrali distinte potrebbe rappresentare il meccanismo fisiologico che giustifica come un’alterazione probabilmente locale, possa impattare sul funzionamento dell’intero sistema cerebrale, producendo alterazioni patologiche a più livelli»

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Recentemente si è anche scoperto che la capacità di comunicazione neuronale costituisce una sorta di “impronta digitale” del nostro cervello che caratterizza gli individui e li differenzia gli uni dagli altri. Questo implica che possibili funzionamenti alterati della comunicazione elettrica tra neuroni possono dare luogo a patologie cliniche. Una delle patologie neurologiche maggiormente diffuse nel mondo è l’epilessia, con una prevalenza di circa una persona ogni 100 nei paesi industrializzati. Tra le varie forme di epilessia, l’epilessia del lobo temporale è la più comune.

La concezione dell’epilessia è cambiata nel tempo, passando dall’essere considerata un’alterazione specifica di una porzione del cervello a un disturbo più sistemico che può coinvolgere uno o più network cerebrali. Prendendo in prestito dei concetti matematici, i neuroscienziati hanno ampiamente compreso che una comunicazione efficiente all’interno di una rete, fosse questa una comunità di persone (es., facebook) o un complesso sistema cellulare quale è il cervello, avviene quando le informazioni che i nodi di questa rete si scambiano vengo elaborate, ovvero integrate, dai singoli elementi. Ma questo non basta, per funzionare bene un network deve anche essere in grado di differenziare la comunicazione tra gli elementi interni ad esso e quelli esterni, un principio noto come “segregazione”. Il cervello, proprio come ogni sistema complesso, per funzionare ottimamente ha bisogno di un equilibrio tra integrazione e segregazione. In poche parole, i differenti circuiti cerebrali che lo costituiscono devono essere ben organizzati al proprio interno e ben differenziati gli uni dagli altri, come l’impianto elettrico di un grattacielo, ma infinitamente più complesso.

Il team di ricercatori dell’Irccs Meda - La Nostra Famiglia nella sede di Conegliano e dell’Università di Padova, Dipartimento di Psicologia Generale, hanno dedicato i loro sforzi a studiare il delicato equilibrio tra integrazione e segregazione nell’epilessia del lobo temporale. I risultati sono stati pubblicati nello studio dal titolo “Resting state network dynamic reconfiguration and neuropsychological functioning in temporal lobe epilepsy: an HD-EEG investigation” pubblicato sulla rivista «Cortex»

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«Uno dei risultati più importanti di questo studio è che maggiori livelli di integrazione tra i network cerebrali correlano con prestazioni peggiori del funzionamento cognitivo nei pazienti con epilessia, e in particolare nei test di memoria e attenzione. Questa è una dimostrazione che – sottolinea il prof. Giovanni Mento, docente di Neuropsicologia dello Sviluppo del dipartimento di Psicologia Generale dell’Università di Padova che ha coordinato lo studio – la flessibilità ed integrazione dei network cerebrali sono in un delicato equilibrio, ed una loro alterazione può impattare le nostre funzioni cognitive. D’altronde l’omeostasi tra la differenziazione e l’integrazione tra gli elementi costituenti è un pattern tipico di molti sistemi complessi non solo biologici, basti pensare ai rapporti all’interno di gruppi sociali».

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Esito Premio Belloni 2021

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2022S41 Piano di emergenza ed evacuazione - Centro Linguistico di Ateneo

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2022S41 Planimetria - prova scritta

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2022S41 Piano operativo - prova scritta

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2022S39 Piano di emergenza ed evacuazione - palazzo storione

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