placeholderCostituzione

di Sandro Chignola - Il termine deriva dal latino constitutio, atto del constituere («istituire», «fondare»). Sin dalle origini, oltre ad un significato «naturalistico-descrittivo» (nella latinità si parla in questo senso di corporis firma constitutio intendendo quest'ultima come «complessione», «condizione» fisica), il termine assume valenze tecnico-giuridiche. Nel Medioevo, con C. si designa un titolo di franchigia o di immunità coincidente con una specifica libertas accordata solennemente dal principe ad un corpo, un comune o una città. Il termine si politicizza nel corso del secolo XVIII nelle fasi che precedono la Rivoluzione Americana e la Rivoluzione francese. La C. viene invocata come sanzione scritta del patto costituente che erige la «Nazione», e quale quadro della proclamazione degli imprescrittibili diritti (e doveri) dell'uomo e del cittadino. Dall'ambivalenza semantica originaria, derivano le due principali accezioni del termine. Da un lato per C. si intende il sistema dei rapporti giuridici che costituiscono la specificità di un ordine politico. Da questo punto di vista ogni regime possiede una propria costituzione, che è inscindibilmente legata alla realtà concreta della sua singolare storicità. Quest'accezione naturalistico-concreta del termine conosce un'importante tematizzazione in epoca di restaurazione, allorché, cioè, gli autori romantici e controrivoluzionari definiscono, opponendosi alla sua politicizzazione rivouzionaria, la C. come la modalità dell'esistenza del regno. E' così che Edmund Burke può parlare, per l'Inghilterra, di un immemoriale «engagement and pact of society, which generally goes by the name of constitution», come della forma consuetudinaria in cui si sono storicamente composte le divergenti forze della Corona e del Parlamento. Burke rifiuta la tesi rivoluzionaria di un vuoto costituzionale che renderebbe necessaria, come avvenuto in Francia, l'opera costituente; e denuncia la follia implicita nella pretesa di vincolare ora al patto costituzionale soggetti politici (Re, parlamenti, stati e corporazioni), da sempre inseriti in relazioni e rapporti di scambio politico, le quali, per il solo fatto d'essere state possibili, dimostrano da sé l'esistenza di un precostituito collegamento «costituzionale». Bonald e Maistre, per parte loro, contestando radicalmente la legittimità dell'iniziativa costituente del 1791 (e con essa la stessa artificialità della Dichiarazione dei diritti, che la precede inaugurando il processo rivoluzionario), pervengono a definire in termini storico-concreti la costituzione come il mode de existence della nazione.

E' proprio da questa posizione che è possibile ricavare, in negativo, l'altra accezione del termine. In essa, la C. risulta essere la portatrice di un preciso valore politico: perché C. ci sia (ed è quanto i costituenti francesi contestano quando danno inizio alla rivoluzione), occorre un insieme di regole che assicurino i diritti e la libertà dei cittadini, all'interno di un quadro stabilito e certo di garanzie giuridiche e di separazione dei poteri. In questo senso, la C. appare come un'autentica «tecnica di libertà». Essa rappresenta cioè la tecnica giuridica per mezzo della quale ai cittadini viene assicurato l'esercizio dei diritti fondamentali, e lo Stato viene posto nell'impossibilità di poterli violare. Una forma politica «costituzionale» non corrisponde, di conseguenza, ad un qualsiasi regime, ma esiste solo laddove si dia garanzia dei diritti individuali e separazione dei poteri; ovvero soltanto come esito di storie costituzionali in cui progressivamente si affermi, di contro a forme assolute di potere, una divisione di compiti e di prerogative tra la sovranità ed il suo esercizio (come nel caso della differenziazione di ruoli tra Re e Parlamento, oppure tra l'originaria sovranità popolare e gli organi costituzionali della rappresentanza e del governo). In questa seconda accezione, la C. viene intesa quindi come il quadro giuridico-formale delle garanzie costituzionali, e può essere riferita soltanto a regimi o sistemi politici che le riconoscano con un documento scritto. Di qui la separazione tra regimi e pratiche «costituzionali» o «incostituzionali». La C. rappresenta, in termini giuridici, la norma o la legge fondamentale dell'unità politica, che, nella modernità, si rappresenta come Stato nazionale.

Nel caso dell'Europa continentale, proprio in questo senso, la storia costituzionale tende a produrre una progressiva identificazione tra Stato e diritto. La cultura giuridica inglese, invece, tende ad ignorare il concetto di Stato ed ad usare in sua vece quello di «governo» (composto dei tre poteri), affermando, accanto e sopra di esso, l'autonomia del diritto (common law) di cui i giudici, la cui indipendenza deve essere salvaguardata rispetto a qualsiasi ingerenza da parte del potere, sono gli unici depositari. Di questo sistema di garanzie, si farà garante in altri paesi, a partire dal sec. XX, la Corte costituzionale. La differenza tra l'idea anglosassone del «rule of law» (ovvero della preesistenza del «diritto» rispetto alla sua proclamazione formale), e quella dell'idea continentale di C. «formale» (identificata con il sistema del diritto pubblico dello Stato), rappresenta una delle forme possibili dell'ambivalenza del concetto di C.

Poiché riferita all'unità politica, con C. è dato intendere la condizione generale dell'ordine sociale e politico di una determinata unità territoriale. E' in questo senso, secondo alcuni costituzionalisti, che va inteso già il concetto greco di «politeia». Con essa, Aristotele (Pol., IV, I, 5) intende un «ordinamento» della convivenza naturale degli uomini in una città o in un territorio. L'ordinamento riguarda l'articolazione giuridico-politica della città, che invera il fine vivente («telos») della forma politica cittadina: se la C. viene rimossa cessa lo Stato; se è posta una nuova C. allora sorge, nel nuovo ordinamento, una nuova città. In questa stessa direzione, Isocrate (Aeropag. 14) definisce la C. «anima della polis». Come ha rilevato Carl Schmitt, l'impiego di termini come «ordinamento», «telos» o «anima» non può essere riferito, in questo caso, a termini del «dover essere» - come se, cioè, la C. rimandasse ad un assetto normativo perfetto che dovesse essere realizzato perchè giusto e non ancora vigente -, e la C. si identifica con l'ordinamento attuale e concretamente esistente. E' in questo senso che Schmitt distingue tra C. in senso «materiale» e C. in senso «formale». In senso formale la C. (ted. Konstitution) appare sovrapponibile alla carta dei diritti fondamentali ed ad un modello giuspositivo di organizzazione dei poteri dello Stato. In quest'accezione, essa rinvia esclusivamente ad una versione «ideologizzata» del termine, perché relativa al periodo storico delle lotte liberali per il riconoscimento dei diritti civili e politici e per la trasformazione in senso «costituzionale» del sistema politico. Intesa in senso materiale la C. (ted. Verfassung) rimanda invece alla complessità dei rapporti sociali, economici e giuridici che eccedono, con la loro densità e la loro concretezza, il sistema «puro» delle semplici garanzie costituzionali. In questa seconda accezione, il termine C. appare connotato in senso «esistenziale» e può essere applicato alla descrizione di qualsiasi ordinamento politico o territoriale del diritto.

E' così che è dato parlare, ad es., di una C. medioevale come di un sistema di diritto «oggettivo» (jus), benché certo non promanante da una norma generale ed astratta di garanzia, che si presenta come ricompositivo di jura e libertates, di diritti e libertà. A partire dal sec. XIII, la realtà costituzionale del medioevo tende a razionalizzarsi in ambiti di dominio territoriali, all'interno dei quali i singoli signori (Landesherren) pongono per iscritto, con veri e propri contratti di dominazione (Herrschaftsvertäge), le norme che sono destinate a regolare, anche sotto il profilo dei diritti e delle libertà, i rapporti con i ceti. Per alcuni storici questo tipo di documenti, certo non immediatamente compatibili con la nozione moderna e formale di C., inaugurano la storia dello Stato moderno e - organizzando la rappresentanza cetuale e con essa un rapporto di tipo giuridico tra signore e territorio - la vicenda della costituzionalizzazione del potere politico. Con quest'ultima si intende non soltanto la stabilizzazione del primo in senso giuridico, quanto piuttosto la storia della limitazione del potere a partire dalla garanzia dei diritti dei cittadini. Il modello costituzionale «inglese», punto di riferimento per molte tradizioni del pensiero politico continentale moderno (almeno a partire da Delolme e Montesquieu), viene elaborato da Bracton a partire dall'idea di una separazione tra gubernaculum e jurisdictio nel potere del principe. Nel primo caso, che fa riferimento alle funzioni esecutivo-discrezionali ed amministrative del Re, il suo potere è assoluto e sottoordinato solamente a quello di Dio (sub Deo). In quanto «fonte di giustizia» il suo potere è però, per un altro aspetto, subordinato alla legge consuetudinaria del regno (sub lege); la common law che riconosce e sancisce l'imprescrittibilità dei diritti del suddito. Di qui l'idea della necessità di un sistema costituzionale di «contropoteri» (checks and balances) - primo fra tutti un forte potere giudiziario, cui sia possibile ricorrere in caso di abuso - che limitino, neutralizzandone giuridicamente l'eccedenza, la preminenza del potere esecutivo. La Rivoluzione americana sancirà con una C. scritta l'esistenza di una «legge fondamentale» (fundamental law) che garantisca il diritto dei sudditi. Da essa promana la legittimità del governo; e non è quest'ultimo a creare la C. In caso di violazione della giurisdizione da parte del governo, non è necessario il ricorso alla forza, perché esiste la possibilità di un ricorso alle Corti giudiziarie per un sindacato di costituzionalità delle leggi. Nella versione continentale, l'evento fondatore è invece la Rivoluzione francese. Essa muove non dall'esistenza di un sistema di contropoteri o di libertà consuetudinarie, quanto piuttosto dalla necessità di un'azione costituente e rifondativa del sistema politico. In essa il potere costituente della Nation - unico e non trasferibile, secondo la versione di Rousseau - si identifica senza resto con la sovranità popolare e dà origine, di contro al potere monocratico ed assoluto del re, ad un quadro costituzionale di separazione dei poteri, colmando il «vuoto» costituzionale della monarchia. E' in questo senso che l'art. 16 della «Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino» (1789) riconosce vigente una C. soltanto laddove esista un quadro giuridicamente riconosciuto di separazione dei poteri.

Lavori del gruppo

S. Chignola, Società e costituzione. Teologia e politica nel sistema di Bonald, Milano, Angeli, 1993.

- Donoso Cortés. Tradizione e dittatura, «Il Centauro», 13/14, 1985, pp. 38-66.

- Il concetto controrivoluzionario di potere e la logica della sovranità, in G. Duso (a c. di), Il potere. Per la storia della filosofia politica moderna, Roma, Carocci, 1999, pp. 323-339.

- I controrivoluzionari e il diritto moderno, in M. Cavina - F. Belvisi, Diritto e filosofia nel XIX secolo, Milano, Giuffrè, 2001 (in corso di stampa, 35 pp.).

M. Tomba, Potere e costituzione in Hegel, in G. Duso (a cura di), Il Potere. Per la storia della filosofia politica moderna, Roma, Carocci, 1999, pp. 297-316;

Bibliografia generale

W. Bagehot, The English Constitution, London, 1876;

E. W. Böckenförde, Staat, Verfassung, Demokratie. Studien zur Verfassungstheorie und zum Verfassungsrecht, Frankfurt a. M., 1991;

A. W. Dicey, The Law of the Constitution, 1885;

M. Fioravanti, Appunti di storia delle costituzioni moderne, Torino, 1991;

- Stato e costituzione. Materiali per una storia delle dottrine costituzionali, Torino, 1993.

D. Grimm, Die Zukunft der Verfassung, Frankfurt a. M., 1994 (2.ed);

F. Kern, Recht und Verfassung in Mittelalter [1919], Darmstadt, 1952;

N. Matteucci, Organizzazione del potere e libertà. Storia del costituzionalismo moderno, Torino, 1976;

Ch. H. McIlwain, Costituzionalismo antico e moderno [1947], Bologna, 1990;

C. Mortati, La Costituzione in senso materiale, Milano, 1940;

C. Schmitt, Dottrina della costituzione [1928], Milano, 1984;

M. Troper, La séparation des pouvoirs et l'histoire constitutionnelle française, Paris, 1980;


tratto da:Enciclopedia del pensiero politico, a c. di C. Galli -R. Esposito, Roma-Bari, Laterza, 2000
/ CB