di Sandro Chignola - Il termine italiano, che deriva dal latino coetus, ovvero dal participio *coitus del verbo coire (andare assieme), indica una riunione assembleare in cui si deliberi. Per estensione, un ordine, una classe di persone convenuta a quello scopo. Il tedesco Stand, derivante dal verbo stehen, come il latino status (da stare), allude al sistema di rapporti in cui si articola la gerarchia dell'ordine, ed al luogo specifico occupato in esso. Per questo la costellazione semantica del termine comprende sinonimi quali status, conditio, dignitas, genus, gradus etc. In tutti i casi il riferimento va ad un ordine di relazioni stabilmente fissato (si ricordi anche il corrispettivo francese état), in cui singoli e gruppi ritrovano il proprio luogo naturale. Intimamente legato alla nozione di «ordine» (ordo, taxis), l'impiego del termine status, Stand, richiama una speculazione metafisica complessiva, che interpreta come sottordinato, e comunque analogicamente collegato al primo, il sistema della politica. Riflettere sullo status dei singoli all'interno dell'ordo significa perciò, direttamente, assumere il sistema di diseguaglianze, differenze, gradazioni (di rango, gerarchiche, di potenza) imposte da Dio al creato. Con l'idea della «differenza» è posta al contempo l'idea di un «convenire» di tutte le singole parti, che assicura l'articolazione funzionale e gerarchica dell'ordine e la sua costante riproduzione come intero.
A partire da Platone, la metafora che assegna alla polis, come «macroanthropos», la struttura di un organismo, implica una differenziazione funzionale delle parti della città e del «corpo» dello Stato. L'ottima polis della Repubblica platonica è rigidamente differenziata in tre classi di cittadini, cui risponde una differente qualità ontologica. In Aristotele, la città - espressione dell'innata sociabilitas dell'uomo - concresce su di una differenza di potere che divide naturalmente chi governa da chi è governato. L'articolazione funzionalista delle parti della polis, risponde ad una precisa qualità politica, che assegna un posto ai cittadini in base alla differenziazione naturale del potere e del governo.
Nel tardo medioevo e nella prima età moderna, i ceti sono associazioni (Verbände) di poteri locali, di signori terrieri o di comunità cittadine. In un secondo momento (ma in Francia già a partire dal 1484 per il tiers état, e dal sec. XVI per la nobiltà ed il clero) il termine perviene ad indicare un corpo o un ordine di cittadini (idea già implicita nella distinzione tra servi, liti, liberi e nobiles dei testi giuridici dell'epoca carolingia) dotato di una propria personalità «rappresentativa», di proprie immunità e di propri privilegi. La società per ceti, formatasi in modo particolare in Francia grazie all'azione amministrativa della monarchia, definisce un ambito civile-politico all'interno del quale «soggetti» sono le classi giuridicamente organizzate come états; non da intendersi cioè come determinate dalla professione o dal possesso, quanto piuttosto come definite dai rispettivi diritti di signoria, intesi come privilegi. Una costituzione per ceti, in altri termini, è storicamente identificabile laddove in un'unione politica di potere (regno, territorio o Land) i «meliores et majores terrae», cioè gli strati della popolazione privilegiati e più attivi dal punto di vista economico e politico (di qui la prossimità semantica tra «ceto» e «classe») rappresentano, nei confronti del signore, il «territorio» o il «regno», in un'organizzazione corporativa della totalità.
Pur evolvendosi in contatto con essa, il moderno concetto di rappresentanza - che implica una volontà generale da rappresentarsi - non può essere confuso con la rappresentanza della costituzione per ceti e della monarchia territoriale. In questo caso non esiste infatti negozio giuridico, né mandato, e la rappresentanza cetuale proviene dal diritto consuetudinario e non dal diritto di autodisposizione di tutti. I ceti rappresentano, in forma antagonistica e duale, il territorio e le differenti libertates di fronte al monarca. Nelle dottrine del diritto naturale (Hobbes, Pufendorf, Spinoza, Rousseau), il termine viene progressivamente svuotato di rilevanza, di pari passo con l'assunzione dell'idea dell'uguaglianza naturale degli uomini. La scienza politica moderna assume quest'ultima come precondizione argomentativa di qualsiasi discorso sui diritti.
Con la legislazione rivoluzionaria francese, i ceti, le corporazioni, gli ordini e le associazioni particolari dei cittadini, vengono cancellate dal nuovo piano universale della cittadinanza. Ma già grazie al processo di progressiva erosione assolutista dell'antica societas civilis, i ceti perdono la propria valenza politica e vengono assegnati, incrementando la propria contiguità semantica con il moderno concetto di classe, alla «bürgerliche Gesellschaft» (società civile) dei privati. Si tratta di un passaggio adombrato nell'uso semantico ambiguo dell'idealismo tedesco. Kant e Fichte distinguono infatti una doppia legalità - quella esteriore delle leggi, e quella interiore della moralità - che scinde l'individuo privato dal cittadino dello Stato. Assumendo quella scissione come distinzione di Stato e società, Hegel recupera nel ceto (Stand) e nella corporazione il luogo di integrazione tra l'atomismo della società dei privati e la realtà dell'idea etica, che si incarna nello Stato. L'incompatibilità di fondo tra articolazione cetuale dello Stato e democrazia politica trapassa nel diritto costituzionale moderno. Solamente le tradizioni di pensiero reazionarie e fasciste, che non accettano la radicale svolta del diritto pubblico avvenuta con la Rivoluzione francese e con il moderno concetto di democrazia, pensano ancora attuale, o recuperabile, l'esperienza cetuale e corporativa.
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