Che cos’è la politica? Quali aspetti della vita umana riguarda? Quali relazioni intrattiene con le altre parti del sapere umano, con la filosofia morale, l’etica, il diritto? Come si può insegnare e come si può imparare ad agire secondo giustizia nella società degli uomini? A queste domande dovette rispondere la disciplina della politica quando, all’inizio del Seicento, fu introdotta nell’insegnamento universitario. Proviamo ora a formulare gli stessi interrogativi e ripercorriamo con il loro aiuto la storia di questo sapere: vedremo che la “scienza pratica” ha subito una profonda metamorfosi durante la prima età moderna. Se all’inizio del Seicento essa era la regina delle azioni umane, la prudenza che guida al bene e perciò la virtù di tutti coloro che condividono i beni materiali e spirituali nell’orizzonte della città, un secolo dopo si presenta invece come la tecnica dell’uomo di stato, come un sapere speciale e subordinato alle indicazioni di una teoria universale. Questa trasformazione, che riguarda la superficie delle discipline, ma più a fondo coinvolge anche la struttura e il senso dell’agire, ha imposto un nuovo ordine all’esperienza umana: ha distinto il mondo finito della coercizione esterna dall’universo infinito del valore interiore, ha separato l’unità della pratica in una teoria universale e in una prassi applicativa, ha messo a disposizione criteri per organizzare la storia in una scienza. Ricostruire le vicende della politica nell’età moderna, la sua fondazione, le sue trasformazioni, gli strumenti intellettuali di cui essa si dotò e le forme che essa assunse significa perciò indagare e riconoscere non solo ciò che gli uomini erano, ma anche ciò che ora sono, e dunque anche ciò che potrebbero essere.
tratto da M. Scattola, Dalla virtù alla scienza. La fondazione e la trasformazione della disciplina politica nell’età moderna, Milano, Franco Angeli 2003, pp. 582