Società

di Sandro Chignola - La storia del concetto di S. inizia con l'espressione aristotelica politiké koinonía. Esso penetra nel lessico politico occidentale per il tramite della sua traduzione latina, societas civilis, che rappresenta il nucleo delle successive varianti nelle lingue europee: civil society, société civile, bürgerliche Gesellschaft. Pur permanendo costante l'indicatore terminologico, nell'uso moderno interviene una decisiva dislocazione semantica. Tra l'originario termine aristotelico (politiké koinonía) e quello moderno di S. si compie il processo della moderna statualità. La moderna società civile, che è la società dei privati cittadini, in quanto subordinata allo Stato che la garantisce e protegge, nasce sulla base della disgregazione dell'antica società civile-politica corporativo cetuale (societas civilis sive politica), e viene prodotta, quale suo risultato, dalla logica che assegna allo Stato il monopolio della sovranità. Di contro, in Aristotele, il termine viene assunto come sinonimo di quello che definisce l'unità politica della città (Pol. 1252 a 6). Centrale in Aristotele è l'inscindibilità dei due termini che esprimono l'uno l'istanza associativa (koinonía, koinón) e l'altro l'articolazione politica della stessa (polis, politiké). La politiké koinonía è una comunità di cittadini costituita allo scopo del «vivere bene». Essa si costituisce: 1) come comunità di liberi ed uguali (maschi, adulti e liberi); e 2) sulla base della «subordinazione» della sfera domestico-economica della casa. La polis è una comunità di «case» e di «stirpi», che nasce per estensione dalle forme associative naturali e che riconosce come immediatamente politici i diritti del «signore della casa», istituendo così la differenziazione funzionale interna alla tripartizione della società (Dumezil). Secondo quest'aspetto, le linee di diseguaglianza naturale che percorrono la polis esprimono allo stesso tempo, in essa, le forme del dominio, ovvero l'immediata naturalità della sua organizzazione politica, in cui il governante è differente dal governato. Tra la S. e quello che noi chiameremmo Stato non c'è differenza.

Il cristianesimo tenderà in seguito a sfumare il concetto di servitù per natura o la nozione dell'inferiorità naturale della donna. Non intaccato risulterà però il campo semantico definito dal concetto aristotelico più antico, che, anche attraverso la rinascita medioevale, strutturerà la tradizione europea sino al sec. XVIII. Traduzione latina del concetto di politiké koinonía è quello di societas civilis, ma lo sono anche le varianti - attestatibili in Cicerone, ad es. - di communitas civilis, communicatio, communio e, soprattutto, coetus.

Il paradigma aristotelico, nonostante mantenga vitalità costituzionale sino a Kant, inizia ad incrinarsi almeno lungo due linee: 1) per la costituzione di un concetto non teleologico di ordine (fisica galileiana e critica baconiana alla logica aristotelica); 2) per la rivoluzione del paradigma filosofico-politico della modernità, dominato dal processo della moderna statualità. Con l'introduzione del concetto di sovranità-puissance muta radicalmente la relazione società/politica. Il rapporto è ora disgiuntivo, strutturato da una relazionalità causale: la puissance «ordina», differenziandosi ed opponendosi così da essa, la società. Bodin: «la famiglia è una comunità naturale, il Collegio è una comunità civile, la Repubblica ha questo in più, il fatto che essa è una comunità governata dalla puissance sovrana». Si assiste qui ad una drastica relativizzazione del concetto aristotelico, ma non ancora ad una separazione tra società e Stato. Il passaggio decisivo è compiuto da Hobbes. De Cive: «L'unione siffatta si chiama civitas o società civile, o anche persona civile». In sé stessa, questa societas civilis non appare più come unità; essa rimanda piuttosto al processo di unificazione che trova espressione nel patto e «personificazione» nel sovrano: è infatti persona civilis. La società esiste ora soltanto grazie alla sovranità (politica) che la garantisce. Leviathan, II, Chap. 31 «Una città (Commonwealth) senza potere sovrano, non è che una parola priva di sostanza e non può sussistere» (lat.: «civitatem, sine summa potestate unius hominis vel coetus, vocabulum inane esse»). La logica del contratto sociale introduce con Hobbes una variante decisiva: 1) la società non è più pensata come naturale, ma può essere assunta soltanto come derivata dal patto; 2) lo status civilis, prodotto dal patto, richiede un garante, una «persona repraesentativa». L'uguaglianza degli individui viene garantita dall'uguale subordinazione all'unico sovrano che esprime l'unità del corpo politico: la società dei «privati», nasce dalla radicale spoliticizzazione delle loro aspettative, che a loro volta potranno essere mantenute soltanto in quanto «protette» e «separate» dallo Stato. Origina di qui, in altre parole, quella differenziazione tra pubblico e privato, tra Stato e società, da cui deriva la moderna patogenesi della soggettività. Senza un sovrano che la costituisca e protegga, non esiste, per Hobbes, società. E quest'ultima, può esistere soltanto in quanto radicalmente «spoliticizzata»; come società, cioè, di «privati» cittadini garantiti, nei loro diritti, dalla certezza del diritto, di cui si fa garante il sovrano. L'intera consistenza del paradigma aristotelico viene drasticamente esautorata. E' Kant (Metaphysik der Sitten § 43) a raccogliere in pieno l'istanza logica hobbesiana: la società non è Mitgenossenschaft, libera associazione, ma prodotto e risultato di uguale subordinazione (Unterordnung) alla volontà generale espressa nella forma giuridica che garantisce leggi comuni ed uguali per tutti. E' il fondamento sovrano del diritto a fare la società. (Reflexion, 7847).

La Rivoluzione francese rappresenta il punto a partire dal quale si opporranno i sostenitori dell'antica società-civile politica (ovvero i conservatori che forniranno all'incipiente sociologia un concetto di società come luogo di circolazione di forme naturali del potere), e apologeti della sua subordinazione alle logiche dello Stato. Contestando quella che essi denunciano come l'«astrattezza» del paradigma individualista liberale e l'assurdità di una possibile genealogia contrattualista e razionale della società, i controrivoluzionari, portano in primo piano tutta una serie di elementi per quella che essi ritengono l'immediata connettività del sociale: a) l'impossibilità di astrarne un fondamento individualista a discapito della originarietà dei gruppi e delle istanze di autorità, che li articolano; b) la coestensività di umanità e linguaggio (adoperata come prova dell'assoluta naturalità della sociabilitas dell'uomo, «être parlant» e di per ciò stesso da sempre socialmente relazionato agli altri - Bonald); c) l'assoluta negazione del concetto di stato naturale, preso come ipotesi storica, ed il rifiuto del costruttivismo implicito in una concezione che fa dipendere la S. dallo Stato.

In merito alla sua versione sociologica, molto importante, del resto, è anche la questione della progressiva inclusione della determinazione economica del sociale. Possono essere ricordate almeno tre scansioni: a) i prodromi di una definizione della società a partire dalle relazioni di scambio economico nel pensiero liberale inglese e scozzese (Smith, Ferguson, Hume); b) la progressiva evanescenza, nel concetto di ordre del ciclo economico complessivo, dell'interpretazione rigida della società per ceti come sistema differenziato di franchigie e privilegi di status (i fisiocratici: Quesnay, Mirabeau); c) il nesso tra proprietà e S. in Rousseau: «il primo che, avendo recintato un terreno, si azzardò a dire: questo e mio, trovando della gente tanto semplice da credergli, fu il vero fondatore della società civile». Il diritto di proprietà acquista in Rousseau assoluta centralità per assurgere infine, anche grazie a Locke, al rango di categoria definitoria del sociale.

Derivano di qui, schematicamente, le due linee divergenti seguite dal concetto di S. nel corso del secolo XIX: a) quella «liberale» classica, che si sforza di «difendere», di contro alle possibili intrusioni dello Stato, la S. come prodotto delle relazioni economiche di scambio; b) quella che al contrario cerca di ridefinire in direzione del sociale, e proprio a partire dalla società e dagli squilibri in essa presenti, i compiti dello Stato. E' quest'ultima linea quella che condurrà alla teoria dello Stato sociale. Se la partizione tra bürgerliche Gesellschaft (società civile come sistema dei bisogni) e Staat viene introdotta da Hegel, è in realtà un giurista di formazione hegeliana, Lorenz von Stein, colui che per primo cerca di elaborare scientificamente, alla metà del secolo, la questione sociale. La società armonicamente prodotta dall'interesse individuale e dallo scambio, rivela, dopo la crisi del 1848, ed a dispetto dell'irenismo liberale, la sua natura intrinsecamente conflittuale. Politicizzate dal discorso politico dell'uguaglianza, le masse operaie e i partiti socialisti rivendicano una sua estensione al campo neutrale dell'economia. La diagnosi sulla radice conflittuale del sociale è condivisa da Stein, Tocqueville e Marx. La teoria dello Stato sociale si afferma come oltrepassamento del paradigma giuspubblicista liberale, e come presupposto per un'attivazione interventista e regolazionista dello Stato (garante di libertà ed uguaglianza per il più alto numero possibile dei suoi cittadini) nei confronti della società (terreno dello scontro di interessi antagonisti e irriducibili).

Il pensiero filosofico-politico del '900 mette allo scoperto almeno due contraddizioni fondamentali nel rapporto tra lo Stato e la S.: a) il fatto che la società, pur fatta dei singoli, sia in quanto tale superiore ai singoli che la compongono (è la prognosi sul «despotismo democratico» di Tocqueville, sull'onnipotenza dell'opinione e della moda, ripresa da Ortega y Gasset, Simmel, Canetti); b) il fatto che gli individui che, dal punto di vista della società, agiscono liberamente e fondano il sistema politico, si ritrovino invece ad essere «oggetto» dell'azione politica dello Stato. Si tratta del paradosso della libertà posto in luce dal dibattito contemporaneo sul concetto di «totalitarismo» (dalla Scuola di Francoforte, alla Arendt, alla Weil); o dall'opposizione tra «società chiusa» e «società aperta» (Popper). Con questo, siamo però definitivamente usciti dalla storia del concetto, per addentrarci nei territori della filosofia politica.

Bibliografia

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tratto da:Enciclopedia del pensiero politico, a c. di C. Galli -R. Esposito, Roma-Bari, Laterza, 2000
Ultimo aggiornamento: 07/09/2000 14:48:52 / CB