placeholder Rapresentanza

di Sandro Chignola - il termine deriva dal latino repraesentare, a sua volta composto dal prefisso iterativo re- e da praesentare. Il verbo latino assume così la valenza di «rendere presente», «mettere sotto gli occhi», «evocare», «essere l'immagine di». Il termine acquisisce particolare pregnanza nel suo impiego teologico: nella speculazione trinitaria del cristianesimo, il Figlio, immagine e Repraesentator del Padre in terra (l'espressione compare per la prima volta in Tertulliano, Adv. Praxeam, 24, 7), possiede una qualità personale specifica: in Cristo si rende presente, e perciò storicamente «visibile», il mistero di Dio. Una posizione teoretica affine era ravvisabile nello statuto metafisico dell'immagine (eikon) in Platone: in essa soltanto si rappresenta l'idea.

Dal punto di vista storico, nel suo uso politico, l'atto del rappresentare assume una doppia valenza. Secondo una prima accezione, ciò che viene rappresentato, e quindi politicamente espresso, è la volontà di un mandante per il tramite di un mandatario (il «rappresentante», appunto). Questa nozione sta alla base del concetto privatistico di R., in forza del quale un delegato o un fiduciario viene incaricato di rappresentare qualcun altro nel corso di una negoziazione o di una tutela. Differente è la seconda possibilità. Qui l'atto del rappresentare viene riferito all'operazione in forza della quale si costituisce la fictio della totalità del corpo politico, come differente dalla semplice somma algebrica delle singole volontà degli individui che la compongono. E' così che nelle moderne istituzioni parlamentari si rappresenta la volontà della Nazione come un intero. La R. opera in questo secondo caso come un catalizzatore politico, che sintetizza, a partire dalle tendenze e dai differenti interessi individuali, la formazione dell'interesse generale del corpo politico, che soltanto così può essere «reso visibile».

Il passaggio dalla prima alla seconda accezione scandisce l'evoluzione degli istituti rappresentativi nella storia costituzionale occidentale. Strettamente legato alla versione privatistica della R. è l'istituto del mandato imperativo. In base ad esso, il rappresentante non può derogare alle istruzioni che ha ricevuto, e che gli trasmettono la volontà del proprio mandante. Esso rinvia all'esistenza di soggettività politiche precostituite all'atto del rappresentare, le cui prescrizioni ed istanze, rigidamente vincolanti per il rappresentante, vanno semplicemente espresse o trasmesse nel processo di scambio politico (assemblee corporative, società per ceti). Questa nozione di R., assieme al vincolo di mandato, verrà superata nel processo costituzionale moderno.

In realtà, il contributo della monarchia amministrativa ed assoluta all'opera di costruzione della moderna statualità, prevede, sin in epoca antica, la plena potestas dei delegati rappresentativi. Le assemblées d'états di antico regime avocano infatti a sé competenze finanziarie e consultive (auxilium et consilium), riconosciute come vigenti dal sovrano soltanto qualora i rappresentanti fossero stati muniti di plena potestas, ovvero della possibilità di vincolare tutti coloro i quali li avevano autorizzati ad agire in loro vece. La R. viene riconosciuta nella misura in cui i pieni poteri dei rappresentanti rispetto ai propri mandanti contribuiscono al rafforzamento del consenso di cui gode il potere monarchico. Con l'evolversi degli istituti rappresentativi, tale tendenza plenipotenziaria e «libera» del mandato, viene rafforzandosi. Il moltiplicarsi delle categorie e dei corpi che aspirano alla R. impone una progressiva riduzione dello spettro degli interessi da rappresentare, e quindi l'emersione dell'idea centripeta di un interesse generale della Nazione. E così, ad es., che all'interno degli Stati generali le rimostranze che le municipalità indirizzavano al monarca, vengono rifuse in cahiers de doléance unici per ciascuno dei tre ordini. Le ambiguità residue date dal permanere del mandato imperativo accanto alla plenipotenza dei corpi rappresentativi, verranno sciolte dalla Rivoluzione francese: con essa si afferma definitivamente l'idea della moderna sovranità nazionale e si concretizza l'istanza di una R. unitaria dello Stato.

Già in epoca precedente la Rivoluzione francese, E. Burke (Speech to the Electors of Bristol, 1774), prende posizione a favore del mandato libero. Un moderno parlamento, infatti, non può essere un congresso di delegati locali portatori di interessi differenziati e particolari, quanto piuttosto «l'assemblea deliberativa di una nazione, con un solo interesse». La posizione burkeana anticipa direttamente - anche se motivata da una differente tradizione costituzionale - Sieyès. Il processo costituente che erige per la prima volta i francesi in Nation, istituisce come proprio corollario la necessità del mandato libero. Se «lo scopo che ci si propone» è «quello di unire la totalità dei rappresentanti per mezzo di una volontà comune», la R. della volontà generale della Nazione non può essere frazionata (e quindi non può determinarsi a partire da un compromesso tra le volontà particolari dei tre ordini), né essere vincolata da alcunché di precostituito: il corpo rappresentativo straordinario «non è soggetto ad alcuna forma specifica: esso si riunisce e delibera come farebbe una nazione formata da un piccolo numero di individui» (Qu'est-ce que le tiers état?, 1789). Questa conclusione oppone direttamente la logica del moderno concetto di R., alla sua versione preassolutista o cetuale. La tradizionale R. di interessi frazionali o particolari, posti come vincolanti l'opera del rappresentante, distrugge l'unità dello Stato, che si definisce nello stesso processo costituente. La figura del mandato libero, in quanto legata all'idea dell'espressione della volontà comune - che non coincide con quella dei singoli -, è dunque necessaria al processo rappresentativo. Nell'ottocento R. e principio parlamentare si articolano l'una all'altro come istituzioni irrinunciabili del popolo sovrano e come manifestazioni assolute della sua volontà unitaria. L'idea della sovranità nazionale, che si afferma, una volta politicamente neutralizzata l'idea giacobina di democrazia diretta, con la Rivoluzione francese, trova nella R. il proprio referente costituzionale e nell'idea giuridica della personalità dello Stato (in cui si rappresenta la totalità del corpo politico) il cardine dell'unità politica del popolo. Quest'idea è destinata ad incrinarsi con la crisi del principio parlamentare e con la crisi della forma-Stato dell'inizio del '900. Con esse riprende quota la teoria della R. degli interessi organizzati e la figura del Parlamento come luogo di mediazione tra istanze differenziate ed interessi antagonisti. Il fenomeno si approfondisce in particolare nel corso della prima guerra mondiale (quando le organizzazioni d'interesse vengono direttamente coinvolte in responsabilità decisionali) e negli anni critici ad essa successivi. Anche se con la teoria della R. degli interessi si intenderà allora entrare in polemica con il principio parlamentare e oltrepassare la crisi della forma-Stato, l'idea che gli interessi organizzati possano accedere alla dimensione pubblica soltanto se mediati in termini rappresentativi, conferma l'insuperabilità della moderna logica della R.

Dal punto di vista teorico, il concetto di R. deve essere sganciato dalle istituzioni rappresentative del moderno parlamentarismo. R. si dà infatti anche laddove non esista delega elettorale. Il Papa non è il «rappresentante» del collegio che lo elegge; e del monaca costituzionale, nel sec. XIX, si dice che «rappresenta» la Nazione, anche se non viene affatto eletto. L'origine del moderno concetto di R. non coincide dunque con gli istituti rappresentativi del parlamentarismo, e può invece essere ravvisata nel meccanismo logico del patto sociale hobbesiano. In Hobbes «popolo» non c'è se non nella persona repraesentativa del sovrano, che agisce, per delega, in nome e per conto di tutti. Nella logica del contratto sociale hobbesiano è possibile rinvenire tutti gli elementi costitutivi della moderna R.: l'inconsistenza politica degli individui al di fuori del mandato rappresentativo (nello stato di natura che precede il patto non c'è popolo, ma soltanto disgregata moltitudine); la dialettica autore/attore come modo di formazione della personalità rappresentativa (il sovrano agisce come persona, e quindi come «maschera», dell'intero corpo politico); l'irresistibilità del sovrano pensato in termini rappresentativi (non è dato ai privati individui resistere alla volontà collettiva impersonata dal sovrano legislatore); l'idea dell'unità rappresentativa del sovrano, come personificazione dell'unità politica dello Stato. Questi elementi definiscono l'orizzonte logico in cui viene necessariamente pensata la R. nella modernità politica. La R. definisce l'unica modalità che permetta al popolo di agire come corpo politico. Tale principio è tanto connaturato alla moderna teoria dello Stato, da essere condiviso anche da autori non appartenenti alla schiera dei fautori dell'assolutismo (da Rousseau a Kant). Ed è strettamente connesso all'idea del mandato libero. L'espressione della volontà comune, che non coincide con quella dei singoli che stanno alla base del mandato, letteralmente non esiste se non prende forma mediante la R.

Lavori del gruppo

G. Duso, La rappresentanza: un problema di filosofia politica, Milano, 1988;

- Rappresentanza, in Lessico della politica, a c. di G. Zaccaria, Roma, 1990, pp. 479-488;

A. Scalone, Rappresentanza politica e rappresentanza degli interessi, Milano, 1996.

Bibliografia generale

H. Eulau - J. C. Wahlke, The Politics of Representation, Beverly Hills, 1978;

D. Fisichella (a c. di), La rappresentanza politica, Milano, 1983;

H. Hofmann, Repräsentation. Studien zur Wort- und Begriffsgeschichte von der Antike bis ins 19. Jahrhundert, Berlin, 19902;

G. Leibholz, La rappresentazione nella democrazia, Milano, 1989;

C. Müller, Das imperative und freie Mandat. Überlegungen zur Lehre von der Repräsentation des Volkes, Leiden, 1966;

J. R. Pennock - J. W. Chapman (eds.), Representation, New York, 1968;

H. F. Pitkin, The Concept of Representation, Berkeley, 1967;

H. Rausch (Hrsg.), Zur Theorie und Geschichte der Repräsentation und Repräsentativverfassung, Darmstadt, 1968;


tratto da:Enciclopedia del pensiero politico, a c. di C. Galli -R. Esposito, Roma-Bari, Laterza, 2000
/ CB