Università degli 
Studi di Padova
Archivio generale di Ateneo

Aggiornata il
15 ottobre 1998

ABSTRACT
della 1ª Conferenza organizzativa
degli archivi delle università italiane

Titulus 97:
verso la creazione di un sistema
archivistico nazionale universitario
 

Università degli Studi di Padova
Palazzo del Bo - Sala dell'Archivio Antico

22 - 23 ottobre 1998


ore 10.40 - Renzo Scortegagna, L’organizzazione e l’archivio
ore 11.00 - Eurigio Tonetti, Archivi e strumenti di corredo tra Antico Regime e nuovi assetti istituzionali
ore 11.20 - Giorgetta Bonfiglio Dosio, Una moderna concezione dell’archivio
ore 11.40 - Donato Tamblé, Gli strumenti dell’archivio e del protocollo: dalla certificazione giuridica alla concettualizzazione istituzionale
ore 12.00 - Augusto Antoniella, Attualità degli strumenti dell’archivio e del protocollo
ore 12.20 - Teresa Torricini, Workflow e archivistica
ore 12.40 - Camilla Occhionorelli, Aspetti pratici della gestione di un archivio corrente
ore 13.00 - Dibattito sulle relazioni e conclusioni della presidenza

ore 13.30 - pranzo a buffet

2ª Sessione
Indicazioni operative per la creazione
di un sistema archivistico universitario nazionale
PRESIEDE ODDO BUCCI - UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MACERATA

ore 15.00 - Michela Sessa, Gli archivi e la gestione dei documenti nelle università della Campania
ore 15.15 - Marina Messina, Gli archivi e la gestione dei documenti nelle università della Lombardia
ore 15.30 - Grazia Tatò, Gli archivi e la gestione dei documenti nelle università del Friuli Venezia Giulia
ore 15.45 - Luigi Previti, Gli archivi e la gestione dei documenti nelle università della Toscana
ore 16.00 - Bianca Lanfranchi Strina, Gli archivi e la gestione dei documenti nelle università del Veneto
ore 16.15 - Francesca Spanedda, L'archivio e la gestione dei documenti nella Università degli Studi di Sassari
ore 16.30 - Donatella Mazzetto - Carla Tonin, La sperimentazione di Titulus 97 a Padova e le ricadute dell'organizzazione archivistica in un Dipartimento universitario (Dipartimento di Ingegneria Meccanica e Dipartimento di Geografia)
ore 16.45 - Anna Maria Cremonese, La sperimentazione di Titulus 97 a Padova e le ricadute dell'organizzazione archivistica nell'Amministrazione centrale
ore 17.00 - Dibattito sulle relazioni e conclusioni della presidenza

3ª Sessione

ore 17.15 - Inizio di una Tavola rotonda:

Un lavoro in costruzione:
i Direttori amministrativi e gli archivi universitari
PRESIEDE ELIO LODOLINI - UNIVERSITÀ DEGLI STUDI “LA SAPIENZA” DI ROMA

Interventi di
Rita Besson (Verona), Ines Fabbro (Bologna), Luigi Grandinetti (Catanzaro)
Francesco Savonitto (Udine) e Gaetano Serafino (Palermo)

ore 18.45 - Fine dei lavori

Venerdì 23 ottobre 1998

4ª Sessione

Problemi e soluzioni per la sperimentazione
di un sistema archivistico universitario nazionale negli atenei italiani
PRESIEDE PAOLA CARUCCI - ARCHIVIO CENTRALE DELLO STATO

ore 9.00 - Saluto del Magnifico Rettore - Giovanni Marchesini
e - Saluto della CRUI

ore 9.15 - Alberto Mirandola, Dal «Progetto archivi» a «Titulus 97»
ore 9..45 - Gianni Penzo Doria, L’archivio come servizio integrato: dal protocollo all’archivio storico
ore 10.15 - Stefano Pigliapoco, Dal sistema informativo al sistema informatico
ore 10.45 - Alexandra Kolega, Aspetti critici ed innovativi del regolamento dell'Università degli Studi di Padova
ore 11.15 - Michele A. Cortelazzo, La semplificazione del linguaggio amministrativo e il regolamento dell’Università degli Studi di Padova
ore 11.45 - Dibattito sulle relazioni e conclusioni della presidenza

Nel corso della sessione verrà presentata la bozza
del Massimario di selezione dei documenti delle Università italiane

5ª Sessione
Programmazione dei temi per la
2ª Conferenza organizzativa degli archivi delle università italiane
(21-22 ottobre 1999)
PRESIEDE BIANCA LANFRANCHI STRINA - SOPRINTENDENZA ARCHIVISTICA PER IL VENETO

ore 12.15 - Zanetta Pistelli e G. Granata, Una proposta per l’indicizzazione del titolario di classificazione delle università italiane
ore 12.30 - Roberto Cerri, La soggettazione in archivistica: uno strumento di ricerca
ore 12.45 - Caterina Isabella, Una proposta per la certificazione di qualità negli archivi universitari
ore 13.00 - Ferruccio Ferruzzi, Alcuni spunti per la creazione di un gruppo di lavoro sulle tesi di laurea
ore 13.15 - Giovanni Pesiri, Un progetto per gli archivi storici delle università italiane: Studium 2000

Comunicazioni

Michela Maniassi, Titulus 97: una nuova realtà nell’Ateneo udinese
Giovanna Giubbini, Il progetto per l’archivio storico dell’Università degli Studi di Perugia e Studium 2000
Guglielmo Costanzo, Claudia Salmini, Sandro Salvatori, Gianni Zanlorenzi, Archivi: un progetto, anzi due

ore 13.30 - pranzo a buffet


Renzo Scortegagna

L’organizzazione e l’archivio

1. Nel concetto di organizzazione si raccolgono tutti gli elementi che risultano necessari a raggiungere un fine o, meglio ancora, ad ottenere un risultato; si tratta di regole finalizzate a definire procedure, ruoli e comportamenti; sono tutti mezzi materiali utilizzati per operare; sono gli uomini, le risorse umane che "fanno organizzazione". C’è infine la cultura fatta di valori, di linguaggi, di riti, di simboli etc., che esprime le dimensioni piú concrete dell’organizzazione, ciò che essa è effettivamente nel momento in cui la si osserva.

In questo senso l’organizzazione non è una costruzione statica, né un modello astratto, ma si presenta piú come un processo, un insieme di azioni concatenate e continue, dove si progetta e si riprogetta, dove si risolvono problemi, dove si producono servizi a seconda delle mutevoli esigenze di quanti ne hanno bisogno e così via.

2. L’archivio, in una sua prima formulazione, è un "luogo" dove si raccoglie tutto ciò che è stato utilizzato per lo svolgimento del processo, ma che non serve più, o almeno si ritiene non piú necessario. In questo senso esso appare come una componente "inutile" rispetto al processo, tant’è vero che l’alternativa all’archivio è l’eliminazione del suo contenuto. Considerando quindi il processo, l’archivio si posiziona fondamentalmente al termine del processo stesso, quando sorge l’interrogativo: "eliminare o conservare ciò che si è utilizzato?"

3. Vedere l’archivio soltanto come un problema di conservazione (o di eliminazione), significa interrogarsi sulle ragioni per cui si conservano certi documenti, specialmente perché conservare comporta impegno e costi. Si può conservare per diverse ragioni:

  1. per evitare di decidere se eliminare o non: è una scelta di attesa o di rinvio;
  2. per adempiere ad una norma precisa che lo impone: è una scelta imposta;
  3. per provare scelte e comportamenti già avvenuti: è una scelta di tutela;
  4. per documentare un avvenimento: è una scelta di conservazione (tenere memoria);
  5. per leggere e conoscere le esperienze precedenti: è una scelta apprendimento (ricordare per imparare).
A seconda del peso che viene assegnato alle ragioni che motivano la scelta, l’archivio può assomigliare o distinguersi rispetto ad altri tipi di soluzioni, quali semplici depositi, magazzini, biblioteche etc.

4. È possibile considerare l’archivio come parte integrante dell’organizzazione e quindi del processo, rinunciando quindi di collocarlo al termine del processo stesso, come potrebbe invece suggerire la prima approssimazione. In questa prospettiva l’archivio si considera una funzione organizzativa vera e propria in tutta la sua dinamicità, che si estende nei diversi momenti che lo definiscono, dal momento della protocollazione fino al momento di costituzione di archivio storico, passando naturalmente attraverso le fasi concomitanti al processo e quelle immediatamente seguenti. Come funzione organizzativa, l’archivio viene concepito in due modi distinti:

  1. come strumento per lo svolgimento del processo in senso lato, sia nella sua funzione probatoria e di supporto agli atti, sia come riscontro e supporto nelle scelte di sviluppo e nella definizione delle strategia (in una visione di organizzazione che impara continuamente)
  2. come prodotto (fruibile), in quanto documenta e testimonia scelte già fatte e processi già svolti, memorizzando, in modo sistematico e leggibile, gli aspetti connotanti le scelte stesse e i processi, nonché i risultati ottenuti. In questo senso appare come un "patrimonio" da consultare (e da visitare) o come una "biblioteca di eventi" e non semplicemente di parole o di carta scritta.
5. Per dare e garantire una collocazione dell’archivio nell’organizzazione, occorre liberarsi dallo stereotipo culturale che tende a considerarlo "fuori" o in posizione del tutto marginale.

Occorrono regole nuove che assicurino completezza e validità alla funzione stessa; e non devono essere regole separate da quelle che garantiscono il funzionamento complessivo dell’organizzazione, perché l’archivio "vive" e "si alimenta" degli stessi eventi che definiscono la gestione e tutta l’attività dell’ente.

Occorrono le professionalità per costituirlo e per gestirlo, ma occorre anche un atteggiamento diffuso da parte di tutti coloro che lavorano verso tale funzione. In questo senso l’archivio non può essere degli "archivisti", ma dev’essere un "po’" di tutti, anche se richiede poi degli specifici addetti e professionisti che ne assicurano un corretto funzionamento, non soltanto rispetto all’efficienza e all’efficacia, ma anche rispetto a obiettivi di qualità.

Occorrono adeguati strumenti e tecnologie che valorizzino al massimo le potenzialità nel rispetto degli ovvii principi di economia gestionale, con particolare attenzione ai criteri di efficienza.

6. L’archivio allora è un "servizio" dell’Ente, destinato a sostenere l’attività complessiva dell’Ente stesso, integrandosi quindi con altre funzioni organizzative tipiche. Ma è anche servizio fruibile all’esterno, in quanto patrimonio che appartiene alla collettività, al sociale.

Un "servizio" perciò "aperto", non soltanto perché in continuo sviluppo sul versante delle acquisizioni, ma anche perchè continuamente attento all’evoluzione e alle dinamiche della "domanda", a cui l’archivio stesso è interessato. Una domanda rispetto alla quale l’archivio dovrà interrogarsi, sia per leggerla in modo attento e critico, che per soddisfarla con obiettivi di qualità.
 
 


Eurigio Tonetti

Archivi e strumenti di corredo
tra Antico Regime e nuovi assetti istituzionali

La fine della secolare Repubblica aristocratica e l’avvento delle denominazioni straniere (austriaca, francese, di nuovo austriaca; tutte monarchie amministrative di tipo moderno) presenta, in area veneta, caratteri fortemente innovativi anche nell’organizzazione burocratica e nella struttura degli archivi.

Se ne può avere una percezione visiva immediata nei depositi dell’Archivio di Stato di Venezia: gli archivi dei massimi organi costituzionali della Repubblica si presentano come insieme ordinati di registri (che contengono solo le "parti", ossia le decisioni finali, la volontà pubblica) e di "filze" (con le minute originali delle deliberazioni e gli atti istruttori). L’appartenenza del singolo atto all’archivio era sancita, in modo immediato, da un elemento esterno all’atto stesso, ossia dalla cucitura nell’unità archivistica (legatura), che lo cautelava altresì da dispersioni e sottrazioni.

Viceversa, i nuovi archivi austriaci e francesi allineano sugli scaffali buste di atti sciolti e, in proporzione, pochi registri, i protocolli, dove ogni atto in arrivo o in partenza veniva annotato con gli elementi essenziali sotto un numero rigorosamente progressivo, e tanto bastava a certificarne l’appartenenza all’ufficio e a salvaguardarne l’integrità.

Nella nuova organizzazione burocratica il protocollo assume dunque un ruolo centrale, così come tutta la "manipolazione degli affari nel suo complesso. Le Istruzioni pel Governo (il massimo organo dell’amministrazione centrale austriaca nel Veneto), emanate nel 1815, rappresentano la sintesi degli sforzi compiuti nei due decenni precedenti in tema di strutturazione degli archivi. In esse la trattazione delle pratiche costituisce l’aspetto preponderante, assorbendo ben due terzi dei 122 articoli del dispositivo.
 
 


Giorgetta Bonfiglio-Dosio

Una moderna concezione dell’archivio

Fino all’inizio degli anni Novanta la gestione degli archivi in formazione degli enti pubblici presentava vistose carenze e disfunzioni, originate dall’abbandono e dalla imprecisa applicazione degli strumenti elaborati da una pratica consolidata, fondata su un’elaborazione teorica ormai secolare e sorretta da precisi provvedimenti normativi.

Si è risvegliato in questi ultimi anni un interesse crescente della Pubblica Amministrazione per una corretta ed efficiente gestione dei suoi archivi, interesse spronato e sorretto da una serie di provvedimenti legislativi, frutto di una nuova cultura amministrativa attenta alla soddisfazione dei bisogni dei cittadini.

La piú significativa, quella che ha determinato una vera e propria rivoluzione nel settore della Pubblica Amministrazione con ricadute di peso notevole anche per la gestione degli archivi, è la legge 7 agosto 1990, n. 241. La legge 241 stabilisce come criteri d’azione della Pubblica Amministrazione l’economicità, l’efficacia, la pubblicità (art. 1), prescrive l’individuazione del responsabile del procedimento amministrativo (art. 4 comma 1), obbligato ad informare gli interessati dell’avanzamento del procedimento e ad accogliere le loro controdeduzioni (art. 9-10). L’ulteriore disciplina dell’accesso (legge 241/90, art. 22-27; DPR 352/92) ha creato l’esigenza di archivi ben organizzati e perfettamente funzionanti.

Dopo i primi tentativi di rimediare a situazioni gravemente deteriorate con espedienti improvvisati e con l’utilizzo di sistemi informatici, che però ricalcavano i medesimi errori organizzativi di un sistema archivistico non funzionante, gli enti hanno percorso una strada costruttiva indicata dalla stessa normativa. Hanno analizzato la globalità della loro attività amministrativa, hanno determinato quali procedimenti gestivano e in quanto tempo ogni procedimento veniva concluso e attraverso quale iter, a garanzia della trasparenza e imparzialità richieste dall’art. 22 comma 1 della 241. L’analisi dei procedimenti gestiti da ciascun ufficio ha consentito l’individuazione dei flussi documentari connessi a ciascun procedimento e la progettazione di efficienti sistemi archivistici eventualmente supportati da sistemi informatici e telematici.

Altra pietra miliare nel percorso di ammodernamento della Pubblica Amministrazione è il decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, modificato e integrato dal decreto legislativo 10 novembre 1993, n. 470: esso, oltre a determinare le esigenze (art. 4) e i criteri di organizzazione (art. 5) delle pubbliche amministrazioni, ribadisce la responsabilità dei dirigenti (art. 3 comma 2, art. 14-17), afferma la funzione strategica della formazione (art. 7), ma soprattutto introduce il concetto di lavoro per obiettivi e di verifica dei risultati.

Questi nuovi indirizzi metodologici della normativa in merito all’organizzazione del lavoro nella Pubblica Amministrazione presuppongono che l’archivio funga da sistema informativo in grado di agevolare la programmazione, l’organizzazione del lavoro, la verifica dei risultati.

Nel contesto di questa nuova cultura della Pubblica Amministrazione, la gestione degli archivi in formazione ha acquisito o, meglio, riacquistato un ruolo strategico e gli archivisti hanno imparato a dialogare e interagire con altre discipline, in particolare, oltre che con il diritto amministrativo, con la sociologia dell’organizzazione e l’informatica. In realtà istituzionali sempre piú vaste, complesse e disseminate l’uso dell’informatica sia non solo utile, ma perfino inevitabile.

Gran parte dell’auspicata semplificazione amministrativa, richiesta dalla normativa a partire dalla legge 241/90 e perseguita dai provvedimenti legislativi che portano il nome del ministro Bassanini, può trovare piena realizzazione solo con la telematica, attraverso la realizzazione di una rete unitaria della Pubblica Amministrazione che consenta alle informazioni di viaggiare in rete ed eviti al cittadino la corsa da un ufficio all’altro per acquisire i certificati. È significativo che le disposizioni della legge 4 gennaio 1968, n. 15 in merito all’autocertificazione siano rimaste per buona parte inapplicate fino all’ulteriore spinta verso la semplificazione amministrativa impressa dalla legge 127/97.

La progettazione di un sistema informatico non è però possibile in assenza di un efficiente sistema informativo, del quale cardine essenziale è l’archivio. Gli informatici piú scaltriti hanno scoperto e adottato metodologie archivistiche, cadute in disuso in molti uffici della Pubblica Amministrazione negli ultimi decenni, in concomitanza con l’offuscamento della cultura amministrativa dei pubblici dipendenti.

Anche nel caso specifico dell’Ateneo patavino, la rivisitazione intelligente di tradizionali tecniche di organizzazione archivistica, elaborate nel corso di una tradizione secolare, ha funzionato pienamente e ha realizzato in concreto gli obiettivi individuati come strategici nella normativa di riforma della Pubblica Amministrazione

Si è elaborato un progetto; si sono coinvolte nella sua realizzazione tutte le forze disponibili, sia all’interno sia all’esterno della struttura; si è verificato passo dopo passo quanto gradualmente si veniva costruendo; si sono acquisite tutte le consulenze possibili, puntando su una condivisione quanto piú allargata degli obiettivi; si è proceduto ad una formazione graduale e capillare, talvolta personalizzata del personale; si sono stabilite norme e regolamenti, che sottraessero l’azione amministrativa all’arbitrio e alla discrezionalità, in linea con quanto prescritto dalla 241/90 in tema di imparzialità e di obiettività.

Ma gli strumenti di lavoro, pur rinfrescati e resi piú efficienti dalle tecnologie informatiche, sono quelli tradizionali maturati nella nostra cultura giuridica e archivistica: il protocollo, il titolario, l’indice del titolario, il massimario di scarto.
 
 


Donato Tamblé

Gli strumenti dell’archivio e del protocollo:
dalla certificazione giuridica alla concettualizzazione istituzionale

Sin dalla piú remota antichità sono stati escogitati strumenti per la gestione dei documenti, anzi, a mio avviso, se ne possono rintracciare esempi anche prima della diffusione della scrittura.

Infatti l’archiviazione delle cretule e dei tokens dimostra l’esistenza di un sistema per il controllo degli insiemi documentari oggettuali che con le bullae crea anche i primi dossier per affare.

In epoca storica si moltiplicano le procedure e gli strumenti di amministrazione archivistica.

Già presso i Sumeri e poi nella civiltà assiro babilonese si riscontrano l’etichettatura delle ceste e giare di tavolette d’argilla (pisan dubba), la preparazione di liste e sussidi di ricerca, le classificazioni cronologiche e per soggetto, la suddivisione del materiale non inventariato in serie e la loro conseguente collocazione nei luoghi di immagazzinamento.

Anche nel mondo greco si hanno sviluppi nella gestione archivistica delle poleis in serie connesse alle funzioni pubbliche ed alle magistrature come l’organizzazione del Metroon di Atene degli archivi in serie annuali cronologiche sotto il nome dell’arconte eponimo e in sottoserie per pritanie e l’adozione in ambiente ellenistico delle registrature giornaliere degli atti, le ephemerides secondo quanto stabilito da Alessandro Magno sull’esempio dei registri tenuti dai satrapi e dai funzionari persiani.

Quindi nella Persia dei Seleucidi l’organizzazione dei Chreophylakia, con gli elenchi o diastromata degli atti e dei contratti registrati da tenere sempre aggiornati, mentre nell’Egitto tolemaico si diffondono registrature giornaliere, gli hypomnematismoi, presso tutte le autorità di governo centrali e periferiche, dove un apposito funzionario archivista, detto hypomnematographeis, teneva un diario delle transazioni d’ufficio che includeva estratti o talvolta trascrizioni complete di atti, ed era prima esposto al pubblico e poi consultabile nell’archivio.

Parallelamente nell’antica Roma da parte di chi ricopriva cariche pubbliche civili o religiose si usavano i commentari, che secondo alcuni sarebbero il piú antico precedente del protocollo, mentre nei tabularia l’unione di piú tavolette in dittici, trittici e polittici permetteva già la formazione dei fascicoli. Negli archivi della Roma imperiale un titulus attaccato all’estremità di un rotolo di papiro aiutava a identificare l’unità archivistica, che spesso era una vera e propria pratica completa, essendo stato mutuato dall’Egitto ellenistico il sistema dei tomoi synkollesimoi, cioè l’incollatura sequenziale dei documenti relativi ad uno stesso affare.

Nel Medio Evo la gestione dei documenti pergamenacei conservati spesso dai destinatari come tesori o affidati a chiese e conventi per sicurezza, determinò la necessità di trascriverli e raccoglierli in cartulari o in libri iurium comunali, mezzi che servivano anche a superare la singolarità dei diplomi e ad averne un controllo a volte strettamente cronologico, altre volte topografico e tematico, talora perfino con ripartizioni in quaderni e sezioni specifiche — in pratica ordinamenti e classificazioni sulla carta.

La registrazione integrale dei documenti come mezzo di certezza giuridica era prassi normale nella cancelleria pontificia e nelle corti europee. Da questi archivi l’uso si diffuse anche a livello locale, per esempio nei comuni e specie per le lettere in uscita, negli archivi dei mercanti da cui deriveranno i copialettere commerciali.

Con l’evoluzione burocratica ed il mutare delle architetture istituzionali, gli archivi organizzati tradizionalmente per serie ovvero per tipologie documentarie si avvieranno ad una disposizione per affari che provocò la necessità di una organizzazione preventiva secondo un piano degli atti ed una categorizzazione delle materie trattate dagli uffici.

L’uso del registro di protocollo divenne sempre piú indispensabile per avere il controllo dei documenti ricevuti o prodotti e dalla Germania si diffuse in tutta Europa specie quando ad esso fu abbinata la classificazione degli atti da parte dei funzionari napoleonici. È significativo che questa evoluzione sia andata di pari passo con l’affermazione del concetto d’archivio come specchio del diritto pubblico dello Stato.

Si può dunque parlare di archivi moderni dalla fine del secolo XVIII in quanto essi nascono con un’architettura precisa, una configurazione predeterminata, definita secondo un quadro di classificazione o titolario.

Le operazioni di protocollo e della registratura sono ormai dal punto di vista dell’archivistica un’attività preliminare di comprensione cui si connette consequenzialmente un ordinamento sistematico. L’archivio cioè si sviluppa, cresce organicamente, secondo una tassonomia connaturata all’istituto produttore, alle sue esigenze, alle sue funzioni, alle sue specifiche attività ed ai suoi interessi.

La registrazione cronologica del protocollo e la classificazione sono gli strumenti primari di un archivio moderno. Ad essi si affiancano non solo come mezzi di correndo, ma anche come strumenti di gestione, rubriche, schedari, indici, repertori, scadenzari, registri della posta, registri di movimento interno ed esterno degli atti, etc.

Tuttavia la maggior parte degli strumenti tradizionali appartiene ormai alla storia degli archivi. L’informatizzazione degli uffici di protocollo e la stessa gestione elettronica degli archivi portano infatti ad inserire gran parte degli strumenti nello stesso sistema, nel software rendendo obsolete le precedenti procedure.

Con l’introduzione dei computer e soprattutto con l’avvento dei documenti elettronici si può parlare di archivi postmoderni.

Occorre riformulare il quadro concettuale e stabilire nuove procedure adeguate alle trasformazioni verificatesi ma in linea con le esigenze di garanzia del valore documentario, giuridico, pratico, amministrativo e storico culturale degli archivi anche nelle nuove forme, nei nuovi supporti, nelle nuove configurazioni e connessioni, come hanno mostrato studi recenti, come quelli che hanno reintrodotto aggiornati concetti propri della diplomatica per salvaguardare l’integrità dei documenti elettronici.

Ma sono sempre i principi fondamentali dell’archivistica, come studio dei complessi documentari, legati da vincoli originari nelle diverse componenti, connessi in reti di relazioni reciproche e riflettenti una precisa specifica realtà burocratica nel suo diacronico svolgersi a dettare il quadro d’insieme e le regole procedurali anche nella gestione informatica degli archivi.

È quindi essenziale mantenere sempre, anche se in nuove forme, nelle applicazioni elettroniche la logica e la finalità di quegli strumenti di gestione e di organizzazione che sono stati elaborati in passato sia per l’ordinato sviluppo degli archivi che per fornire indispensabili elementi probatori. Va inoltre sempre tenuto presente che l’ordinamento dell’archivio in sede storica e quindi il mantenimento del suo significato in tutte le sue componenti, hanno le radici nell’organizzazione originale dei documenti presso gli uffici produttori, che è ormai strettamente connessa al protocollo e alla classificazione.

Infatti il sistema del protocollo e della classificazione si sono combinati insieme partendo da un’esigenza di certificazione e di controllo dei complessi documentari, ma hanno rivelato col passar del tempo di essere veri e propri strumenti archivistici, strettamente connessi alla teoria archivistica, poiché permettono non solo la visione d’insieme di tutta l’attività di un ufficio e quindi danno la stratigrafia dell’archivio, ma pongono in essere e rendono evidente il nesso fra le scritture, con una funzione, secondo alcuni, negli archivi pubblici, di vera e propria demanializzazione attraverso la registrazione di protocollo.

La classificazione poi intesa come concettualizzazione istituzionale dà una precisa configurazione agli archivi come preciso riflesso dell’ente produttore.

Titolario e classificazione sistematica di competenza dunque non sono solo tecniche di organizzazione degli archivi, ma strumenti giuridici e procedure formative degli archivi che ne consentono con la puntuale decodifica, l’uso probatorio, la comprensione storica, il controllo intellettuale.



Augusto Antoniella

Attualità degli strumenti dell’archivio e del protocollo

Riprendendo alcuni spunti teorici dell’archivistica tedesca (Brenneke, in particolare) che in Italia, eccettuato Elio Lodolini, non hanno mai incontrato il favore della dottrina, si tenta di ribadire la distinzione tra registratura e archivio, evidenziando anche gli aspetti pratici che tale distinzione comporta nel lavoro d’archivio.

Per quanto riguarda il protocollo, va detto che esistono due aspetti che lo contraddistinguono: uno riguardante la certificazione giuridica, l’altro quello "classificatorio-ordinativo" (già presente in Bautier, con riferimento al sec. XVI).

Questi due aspetti insiti nel protocollo non sono mai stati concepiti uniti, ma hanno rappresentato due esigenze parallele almeno fino all’Illuminismo ed alla riforma napoleonica del protocollo. Dalla fine del sec. XIX i due aspetti, infatti, si intersecano, in modo tale che il protocollo diventa sia registratura che gestione dei documenti.

Pur non distinguendo tra registratura e archivio, nel Regolamento per la gestione, tenuta e tutela dei documenti dell’Università degli Studi di Padova (G.U. n. 301 del 29.12.1997) i due aspetti sono ben enucleati.

Infine va evidenziato come l’attualità degli strumenti dell’archivio e del protocollo oggi sembrano essere percepiti dalla Pubblica Amministrazione piú come un adempimento formale, che come un vero e proprio volano per l’organizzazione della propria memoria. Si tratta quindi di una gestione "teorica", sulla carta, del protocollo, visto che nella Pubblica Amministrazione è maggiormente percepito l’aspetto giuridico rispetto a quello gestionale. La riprova sta nel fatto che mentre tutte le Pubbliche amministrazioni sono dotate di un protocollo per la registrazione degli atti, pochissime sono quelle che utilizzano sistemi di classificazione e di archiviazione funzionali all’efficienza e all’efficacia dell’azione amministrativa.
 
 


Teresa Torricini

Workflow e archivistica

La stretta relazione tra archivistica e gestione dei flussi documentari nasce, almeno per quanto riguarda gli enti pubblici, come conseguenza della Legge 241 del 1990; legge che si presenta come punto di partenza per radicali cambiamenti e trasformazioni all’interno delle amministrazioni pubbliche.

Pochi enti pubblici, fino ad ora, hanno scelto di intraprendere la strada che porta alla sua attuazione e di investire in essa denaro, tempo e soprattutto energie; questo si è verificato non a caso dato che la Legge 241/90 porta con sé notevoli problemi di tipo organizzativo aggravati, per lo più, dalla tradizionale inerzia che caratterizza le pubbliche amministrazioni.

A questo proposito si cercherà di dimostrare come la corretta gestione dei procedimenti amministrativi prevista dalla 241/90 è ormai un’esigenza irrinunciabile per ogni ente e come essa può diventare realizzabile concretamente attraverso un sistema di workflow.

Le principali difficoltà relative a questa trasformazione, che coinvolge le pubbliche amministrazioni, risiedono nel fatto che essa non consiste "semplicemente" nell’informatizzare; il cambiamento si prospetta molto piú complicato e radicale. Perché esso incida realmente e positivamente sull’organizzazione e sulla struttura dell’ente (vale a dire lo renda piú agile ed efficiente) è necessario che sia condotto rigorosamente attraverso fasi successive e ben distinte.

La prima operazione da svolgere consiste nell’effettuare un’analisi attenta e approfondita dei procedimenti amministrativi caratterizzanti l’ente medesimo (censimento) cui deve seguire l’emanazione di un regolamento in grado di stabilire e di frazionare con precisione tutti procedimenti presi in esame. A questo punto è attuabile la standardizzazione delle procedure amministrative stabilendo itinera comuni per i procedimenti della stessa natura; seguirà, quindi, come ultimo elemento l’introduzione dell’informatica con lo scopo di semplificare il lavoro e di consentire il controllo di gestione dei flussi documentari (workflow).

L’informatizzazione diventa il punto di arrivo del processo di cambiamento e non potrebbe avvenire diversamente in quanto può esse efficace solamente se coinvolge in modo globale l’intera macchina amministrativa. Lo stretto legame che esiste tra la sopradescritta trasformazione e l’archivistica è ancora piú evidente se puntiamo la nostra attenzione su come si attua la gestione dei procedimenti di un ente. Essa trova infatti il suo punto di partenza, inevitabilmente, dal documento (che dà origine alla pratica) e dall’Ufficio di protocollo che, attraverso la registrazione, inserisce la pratica all’interno dell’iter che le compete. Una volta terminato il proprio iter il documento in questione torna all’Ufficio protocollo e viene archiviato.

Il protocollo diventa, quindi, il nodo centrale della gestione dei documenti. Perché la trasformazione sia effettiva, il protocollo deve essere perfettamente strutturato e organizzato (da qui l’esigenza di stabilire da parte dell’AIPA regole precise ed uniformi in materia di protocollazione ed archiviazione). Si cercherà, inoltre, di chiarire nel dettaglio compito, scopo, funzionamento, vantaggi e problemi legati all’applicazione di un sistema di workflow.
 
 


Camilla Occhionorelli

Aspetti pratici della gestione di un archivio corrente

Parlare di archivio corrente significa innanzitutto partire dal sistema di protocollo degli atti; la protocollazione nel sistema camerale vede una situazione molto differenziata: si passa da Camere di Commercio che gestiscono ancora un protocollo esclusivamente cartaceo a Camere con sistemi informatizzati avanzati. Il piú diffuso è quello realizzato dalla Cerved ora Infocamere.

La Camera di Commercio di Milano ha introdotto il protocollo informatizzato fin dal 1985, utilizzando un programma sviluppato appositamente dall’azienda speciale Ced (ora Cedcamera). Tale software è quello tuttora in uso sia per la tenuta del protocollo generale dell’Ente milanese che per quello di alcune sue aziende speciali.

L’archivio corrente per lo piú cartaceo, si trova collocato presso i diversi servizi sino ad esaurimento della pratica e successivamente inviato al servizio Protocollo e Archivi che, dopo verifica della classificazione, provvede alla definitiva collocazione, che è in parte informatizzata. L’archivio corrente vede la presenza di due tipologie di fondi ben distinti:

Le modalità di gestione e di consultazione di questi fondi sono completamente diverse in quanto la protocollazione avviene in modo diverso: per le pratiche di archivio anagrafico la protocollazione automatizzata viene effettuata direttamente allo sportello nel salone di ricevimento delle pratiche, per le pratiche dell’archivio generale il protocollo è invece dato utilizzando un programma apposito. Ciò crea qualche problema in quanto le pratiche anagrafiche inviate tramite posta, ovvero non consegnate direttamente al salone anagrafico, ricevono il numero di protocollo generale e successivamente anche il protocollo anagrafico di settore (Registro Imprese, Albo Artigiani, Commercianti ed altro).

Altra problematica: da qualche anno l’Ente camerale ha avviato gradualmente la memorizzazione su cd di tutta la documentazione anagrafica ricevuta e ciò doveva portare alla contestuale eliminazione del cartaceo; in realtà ciò non è stato possibile in quanto è necessario un periodo transitorio di verifica degli standard di qualità di memorizzazione che devono essere in grado di fornire all’utenza una completezza delle informazioni richieste.

È in fase avanzata di realizzazione un nuovo programma di protocollazione, in ambiente Windows, anch’esso sviluppato su misura per la Camera di Commercio di Milano, che prevede la possibilità di procedere contestualmente all’atto della protocollazione alla scansione ottica dei documenti che si intende mettere a disposizione tramite la rete interna (intranet). In questo modo tutta la documentazione cartacea ricevuta dovrebbe essere via via eliminata e quindi la fascicolazione e la successiva archiviazione elettronica, avvenire contestualmente. I due archivi correnti quindi si avviano ad avere modalità di gestione simili, già l’archivio anagrafico è collegato in rete tra la sede centrale e le sedi periferiche ed il prelievo e la movimentazione avvengono tramite personal computer tanto che sul programma è possibile rilevare "la storia" del singolo fascicolo e delle movimentazioni che ha avuto anche in termini di responsabilità e quindi di risposta all’utenza. Un notevole passo avanti rispetto alla situazione precedente che si basava unicamente su un archiviazione corrente manuale affidata alla responsabilità degli archivisti addetti.

La Camera di Commercio di Milano proprio per affrontare la complessa problematica degli archivi correnti ha realizzato un progetto generale di interventi denominato GIDA (Gestione Integrata Degli Archivi), di cui parlerò nel dettaglio e che prevede l’organizzazione degli spazi, la scelta delle infrastrutture nonché la progettazione e l’omogenizzazione di tutti gli interventi di informatizzazione realizzati e da realizzarsi, e ciò nella considerazione che gestire otto milioni di fascicoli di archivio corrente — tale è attualmente la dimensione degli archivi correnti della Camera milanese — è un impegno consistente e prioritario in quanto il buon funzionamento dell’archivio corrente è condizione indispensabile per l’efficienza e l’efficacia di tutta l’attività dell’Ente.
 
 


Michela Sessa

Gli archivi e la gestione dei documenti
nelle università della Campania

Il territorio regionale campano ospita 4 università statali (l’Università degli Studi "Federico II" e la "Seconda Università degli Studi di Napoli", l’Università degli Studi di Salerno, l’Università degli Studi del Sannio con sede a Benevento), 2 istituti universitari statali (Istituto Universitario Navale ed Istituto Universitario Orientale), 1 Istituto Universitario non statale ("Suor Orsola Benincasa").

Il consolidato prestigio della "Federico II" — con la sua utenza svincolata dalla territorialità regionale ed estesa a molte regioni limitrofe (Molise, Abruzzo, Basilicata, Calabria) — ha determinato una grande concentrazione metropolitana di strutture amministrative e didattiche (12 facoltà, 42 corsi di laurea, 25 corsi di diploma,1 scuola diretta a fini speciali).

Negli ultimi venti anni si è operata una inversione di tendenza rispetto al gigantismo dell’ateneo federiciano: il decentramento ha permesso in primo luogo lo sviluppo del polo universitario salernitano (9 facoltà, 20 corsi di laurea, 10 corsi di diploma con sedi a Fisciano, Baronissi ed Avellino); poi la nascita della "Seconda Università degli Studi di Napoli" (8 facoltà, 16 corsi di laurea, 13 corsi di diploma con sedi a Caserta, Aversa, S. Maria Capua Vetere e Capua), che conserva però la sede a Napoli per le funzioni centrali amministrative e per molti corsi di laurea. In ultimo, l’Università degli Studi di Salerno ha gemmato l’Università del Sannio (3 facoltà, 5 corsi di laurea,, 2 corsi di diploma).

I due istituti universitari statali sono collocati entrambi nella città di Napoli: l’Istituto Universitario Navale consta di 2 facoltà, 7 corsi di laurea, 4 corsi di diploma universitario; l’Istituto Universitario Orientale dispone di 3 facoltà, 8 corsi di laurea, 1 scuola di studi islamici con relativo corso di laurea "Filologie, storia e culture dei paesi islamici".

L’istituto universitario non statale "Suor Orsola Benincasa" ha anch’esso sede a Napoli (con 2 sedi distaccate per 2 corsi di diploma) e consta di 2 facoltà e 4 corsi di laurea.

I dati quantitativi su esposti costituiranno la base di alcune riflessioni sulla gestione informativa ed archivistica negli atenei campani, ripercorrendo brevemente le tappe della vigilanza esercitata dalla Soprintendenza.

Pur se diversi per storia, dimensione, utenza, collocazione, gli archivi delle università campane rappresentano la cartina al tornasole di nodi, problemi, difficoltà comuni.
 
 


Marina Messina

La gestione degli archivi correnti nelle università lombarde

Gli archivi correnti delle università lombarde presentano situazioni molto diverse fra loro e determinate per lo piú dalla differente ampiezza dell’istituzione, dal numero dei dipartimenti e degli istituti, dall’organizzazione amministrativa.

Ogni ente produce nello svolgimento della propria attività istituzionale un archivio e necessita perciò di un apposito ufficio che svolga tutte le operazioni necessarie per organizzare razionalmente il processo di produzione, sedimentazione e conservazione, nonché di gestione dei documenti: l’ufficio di protocollo e archivio. A seconda del modello organizzativo e delle dimensioni dell’ente, l’ufficio protocollo e archivio può occuparsi solo dell’archivio corrente oppure tanto dell’archivio corrente che dell’archivio di deposito.

Esiste la necessità di adottare un titolario flessibile nell’applicazione, ma aderente al modello organizzativo dell’università, all’attività che in essa si esplica, alle procedure adottate ed all’evoluzione storica della singola istituzione. Il che tuttavia non significa che sia possibile elaborare un titolario valido per tutte le università o per tutte le università di un certo tipo e di una determinata dimensione.

Gli strumenti tradizionali elaborati nel corso dell’evoluzione teorica e pratica dell’archivistica (protocollo, titolario, massimario di conservazione e di scarto), ci permettono ancora oggi di organizzare e gestire correttamente l’archivio ed anzi diventano requisiti indispensabili alla luce dell’odierna normativa, tesa a modernizzare l’amministrazione ed a garantire nuovi diritti al cittadino.

L’applicazione dell’automazione alla gestione del protocollo funziona ottimamente se vengono rispettati i criteri di classificazione e di registrazione propri del protocollo cartaceo: un programma ben congegnato che preveda, in appositi campi e con le relative connessioni, tutti gli elementi della protocollazione consente, con un’unica immissione di dati, di dar vita simultaneamente al protocollo, al repertorio dei fascicoli e alle molteplici chiavi di ricerca.

Ovviamente se la classificazione è insufficiente o addirittura assente e se le registrazioni di protocollo sono troppo approssimative, il reperimento dei fascicoli sarà difficile ed incerto. L’insieme delle funzioni e delle operazioni necessarie a gestire i documenti di un ente, dalla loro formazione al momento della selezione per l’eventuale scarto o per la conservazione perenne si indica ora con l’espressione americana records management. Espressione usata soprattutto in ambienti diversi dall’amministrazione archivistica dello Stato, nei quali, essendo recente l’interesse per i problemi inerenti la gestione degli archivi, trova un maggior credito la letteratura anglosassone.

Nella gestione elettronica dei documenti diventa essenziale connettere ed integrare i criteri e le procedure per la formazione e conservazione dei documenti con le procedure amministrative ed il modello di organizzazione della singola università.

Occorre far fronte, tenendo conto della dottrina e della normativa archivistica, a scelte di natura tecnica, le cui implicazioni non sono ancora avvertite appieno; occorre mantenere la riconoscibilità dei documenti d’archivio ed i nessi inerenti al processo della loro formazione; occorre investire a favore di un efficiente funzionamento dell’ufficio protocollo ed archivio, perché la sua importanza è strategica. Negli ultimi anni, invece, si è privilegiata l’informatizzazione del protocollo, senza preoccuparsi di consolidare la gestione di questo servizio unitamente alla gestione dei documenti quale fulcro di tutta la gestione amministrativa.

Si può presumere che gli sviluppi dell’automazione, permettendo di collegare i documenti d’archivio con altre fonti di informazioni in un unico sistema informativo, possano contribuire a far comprendere come una corretta gestione dei documenti e delle informazioni può diventare un momento strategico nell’organizzazione e nel coordinamento del lavoro.
 
 


Grazia Tatò

Gli archivi e la gestione dei documenti
nelle università del Friuli Venezia Giulia

1. Premessa

La Sezione Friuli Venezia Giulia dell’Associazione Nazionale Archivistica Italiana ha organizzato nel novembre del 1995, in collaborazione con gli Archivi di Stato di Trieste e Udine e la Soprintendenza Archivistica per il Friuli Venezia Giulia, un convegno sulle fonti per la storia dell’istruzione nella regione, dal titolo La lavagna nera, del quale sono stati pubblicati gli atti l’anno successivo.

Gli scopi principali erano:

Questo intervento fa riferimento, dunque, a quanto emerso in quella occasione, oltre che a quanto risulta dai fascicoli relativi all’attività di vigilanza svolta dalla Soprintendenza archivistica.

Prima di tutto qualche considerazione di carattere generale.

L’attività della scuola non si manifesta attraverso atti formali e, di conseguenza l’archivio scolastico, se pure ci parla dell’istituzione, ci dirà solo in forma mediata e parziale dell’attività da questo svolta, perché l’insegnamento si svolge essenzialmente per via orale e il rapporto tra discente e docente sfugge all’indagine documentaria. Storia dell’istituzione e storia dell’istruzione, dunque, ma di questa ultima non resta (e solo nel migliore dei casi!) che l’organizzazione formale dell’insegnamento, il movimento della popolazione scolastica, i sistemi di valutazione, la scelta dei libri di testo, ecc.

Tutto ciò pone seri problemi al momento degli scarti.

2. L’Università degli Studi di Trieste

Il caso dell’Università di Trieste è quello tipico di molti, anzi troppi, Enti pubblici:

Ne risulta un quadro poco rassicurante: L’archivio generale era ordinato fino al 1975 secondo un titolario per "posizioni", modificato via via secondo le esigenze emergenti; nel 1990, a cura della Ripartizione affari generali e patrimoniali, ne è stato predisposto un altro, articolato in 20 classi contrassegnate da un numero progressivo e suddivise a loro volta in sottoclassi, all’interno delle quali è stato inserito un indice alfabetico di argomenti, privo di numero identificativo.

Attualmente, come si è detto sopra, ogni Ripartizione organizza l’archiviazione degli atti in modo autonomo.

3. L’Università degli Studi di Udine

L’Università degli Studi di Udine è di molto recente istituzione, tanto che fu istituita nel 1977.

Data questa istituzione così recente, i problemi archivistici da affrontare restano per ora solo quelli relativi all’archivio corrente e di deposito.

La situazione nel 1995 è la seguente: la protocollazione viene eseguita in modo corretto tramite un sistema informatico elaborato in proprio che non consente manipolazioni successive sui dati immessi; la registrazione e la conservazione in armadi a cartelle sospese.

Tali armadi vengono poi trasportati, così come si trovano, nell’archivio di deposito.

Fino al 31 dicembre 1991 era in uso un titolario che classificava gli atti in base al mittente; dal 1° gennaio 1992 è stato adottato un nuovo titolario che tiene conto dell’articolazione di uffici, delle competenze e delle fasi procedurali. Lo stato di ordinamento e di conservazione è ottimo; gli ambienti destinati ad accogliere l’archivio sono dotati di tutta l’impiantistica prevista dalla normativa in materia. Stesso discorso per quanto riguarda l’archivio di deposito.
 
 


Luigi Previti

Gli Archivi e la gestione dei documenti
nelle Università della Toscana

Le indagini svolte a supporto di queste note confermano l’esistenza di uno straordinario patrimonio archivistico conservato presso i sei istituti di istruzione universitaria presenti in Toscana, ancora non del tutto conosciuto e valorizzato. Esso è costituito, oltre che dagli archivi storici di Ateneo, dagli archivi prodotti dalle strutture periferiche, e da quei fondi e carteggi, di ex docenti e studiosi, acquisiti a seguito di lasciti, doni, acquisti, ed anche, seppur piú raramente, a titolo di deposito.

Nella nostra Regione, un contributo importante alla conoscenza e alla valorizzazione dei numerosi fondi privati conservati nelle strutture universitarie, sta venendo dall’attuazione del progetto di censimento degli archivi delle personalità della cultura in Toscana tra ‘800 e ‘900, di cui la guida dedicata all’area fiorentina, pubblicata nel 1996, costituisce la prima importante tappa.

Le ricognizioni svolte hanno confermato tuttavia anche il persistere dei problemi di gestione degli archivi universitari già segnalati al precedente Convegno di Padova, dell’ottobre 1994.

L’insufficienza e/o la non idoneità di talune sedi di deposito, la sostanziale mancanza di strutture ed uffici appositamente incaricati della gestione centralizzata degli archivi, congiuntamente all’assenza e di strumenti normativi adeguati, rendono molto difficile la gestione, la tenuta e la tutela dei documenti e dei depositi documentari.

Le commissioni costituite per occuparsi degli archivi, esistenti presso alcune Università, svolgono un ruolo essenziale per la salvaguardia del patrimonio archivistico universitario, contribuendo talvolta in modo rilevante alla sua valorizzazione. Tuttavia, tali commissioni, cui tradizionalmente non partecipano i vertici amministrativi, e che sono composte prevalentemente da docenti, rappresentano anche, in qualche modo, la sanzione formale di quello scollamento tra apparato amministrativo e mondo scientifico, di cui ha parlato Giorgetta Bonfiglio Dosio, che è indispensabile superare.

La riorganizzazione ed il miglioramento dei sistemi di gestione degli archivi universitari toscani richiede dunque, a mio parere:


 
 

Bianca Lanfranchi Strina

La situazione archivistica nelle Università del Veneto

I compiti dell’Amministrazione archivistica in merito agli archivi delle Università sono, come è noto, quelli che la legge vigente (D.P.R. 30 settembre 1963, n. 1409) definisce come compiti di vigilanza (e non di conservazione). L’organo cui fanno capo tali compiti è quindi la Soprintendenza archivistica.

In merito erano sorti dei dubbi interpretativi che vennero risolti dalla Circolare del Ministero dell’Interno (n. 32/66 in data 16 maggio 1966, prot. n. 4.1151/8764.1.16) (per un commento alla circolare v. Rita Collavo Baggio, Archivi delle Università: sorveglianza o vigilanza? in "Rassegna degli Archivi di Stato", XXX, 3, sett. – dic. 1970), nel senso sopra indicato.

Esporrò quindi i dati sulla situazione archivistica nelle Università del Veneto che sono ricavabili dai fascicoli d’ufficio della Soprintendenza archivistica per il Veneto che ho l’onore di dirigere dal febbraio 1978 (dopo avervi lavorato anche dal 1968 al 1973). E come spesso accade in casi del genere, la prima reazione è di terrore ("ahimè, non abbiamo fatto niente"); la seconda, piú meditata e confortata da qualche documento "agli atti", si può sintetizzare nella formula "avremmo certamente potuto fare di più". Aggiungo (e non sembri una excusatio non petita) che non sempre alle sollecitazioni della Soprintendenza corrisponde una sollecita risposta da parte degli Enti vigilati, nel caso appunto le Università.

Dal canto suo, l’Ufficio Centrale Beni Archivistici (ne accenno solo di sfuggita, essendo qui presenti i Rappresentanti di tale Ufficio) nella primavera del 1994, d’intesa con il prof. Elio Lodolini (che, essendo anch’egli presente, ne potrà parlare con piú ampia competenza), invitava le Soprintendenze archivistiche ad occuparsi degli archivi universitari. I risultati della rilevazione furono poi pubblicati (insieme con altri importanti contributi) in Centro per la storia dell’Università degli Studi di Padova, La storia delle Università italiane. Archivi, fonti, indirizzi di ricerca, Atti del Convegno di Padova 27-29 ottobre 1994, a cura di Luciana Sitran Rea, Trieste 1996.

Anche sulla scia di tale sollecitazione, la Soprintendenza inviava alle Università del Veneto una lettera in cui, oltre ad offrire collaborazione come di consueto, chiedeva in particolare se le Università non avessero potuto inserire nei propri organici la figura dell’archivista diplomato, anche se non obbligatorio in base alla legge. La proposta scaturiva dalla constatazione (ovvia, anche se assai raramente recepita) che anche la piú attiva delle Soprintendenze non riesce ad ottenere risultati significativi per l’archivio vigilato se non è presente nell’ente un referente qualificato.

Le risposte (quelle pervenute!) mettevano in luce con gran chiarezza l’equivoco assai diffuso (su questo v. Giorgetta Bonfiglio Dosio, Un’inchiesta sugli archivi delle Università italiane, negli atti del Convegno sopra citato) che "archivio" degno di considerazione è solo quello "antico", che la gestione dell’archivio corrente è funzione meramente "amministrativa" che può essere svolta da chiunque, che il problema dell’archivio "non si pone" perché l’Ente produttore è di recente costituzione, etc.: quella serie, cioè, di stereotipi che gli archivisti si sforzano di combattere. Possiamo peraltro anche dire (per dare a ciascuno il suo) che l’equazione archivista = carte vecchie può trovare qualche giustificazione nella struttura delle scuole d’archivio degli Archivi di Stato tuttora di impronta fortemente medievistica.

Passo ora a qualche breve considerazione sulle singole Università del Veneto, specificando che non darò tanto dei dati quantitativi o organizzativi quanto piuttosto cercherò di evidenziare qualche spunto di riflessione.

Università degli Studi di Padova

Comincio dalla Università degli Studi di Padova la piú antica del Veneto, sul cui archivio esiste una copiosa bibliografia che non è il caso io ricordi in questa sede e nella mia veste, ma di cui metterò in rilievo soltanto gli elementi piú importanti dal punto di vista della vigilanza.

L’archivio fu inventariato già nel 1893 (v. G. Giomo, L’archivio antico della Università di Padova, in "Nuovo archivio veneto", VI, 1893) ed ha ottenuto il riconoscimento di particolare importanza con D.M. Beni Culturali 16 marzo 1992. Presso l’Università esisteva (ne ho i dati per l’anno accademico 1976-77, ma certamente anche prima) una "Commissione per la vigilanza sugli archivi dell’Università" (definizione impropria, poi piú propriamente commissione "esclusivamente consultiva", come risulta da un carteggio con Paolo Selmi, allora Direttore dell’Archivio di Stato di Padova). Dopo un’ispezione compiuta nel 1989, parte nel 1991 una richiesta di collaborazione globale da parte dell’Università alla Soprintendenza, che si sviluppa attraverso l’attività di Giorgetta Bonfiglio Dosio (allora funzionario della Soprintendenza medesima) e porta, attraverso la partecipazione di molti che qui non posso ricordare, alla realizzazione di tutto ciò che qui ci vede oggi riuniti, che parte essenzialmente dalla istituzione, avvenuta nel 1996, dell’Archivio Generale di Ateneo.
 
 

Università degli Studi di Venezia Ca’ Foscari

È certo da deplorare che al suo archivio non siano state riservate le cure assidue che, pur non avendo carte antiche come altre Università italiane, avrebbe certo meritato, non fosse altro che le particolari motivazioni che portarono alla sua nascita (v. Marino Berengo, La fondazione della Scuola Superiore di commercio di Venezia, Venezia 1989). Limitandomi anche qui ai dati relativi ai compiti di vigilanza, fu compiuta una visita semi informale nell’estate del 1996 all’archivio conservato nel deposito della Celestia e fu consegnata una relazione, anch’essa informale, da parte di uno studente in vista dell’esame che doveva sostenere con la scrivente, allora professore a contratto di Archivistica presso la Facoltà di Lettere e Filosofia.

La situazione riscontrata non è ottimale (ma forse nessun archivio è davvero in situazione "ottimale") ma neppure tale da escludere che, stimolata dal nostro incontro di oggi, l’Università di Venezia voglia recuperare il tempo perduto e forse ritrovare anche i documenti piú antichi.

Università degli Studi di Verona

Nata nel 1962 come sede staccata dell’Università degli Studi di Padova e divenuta autonoma nel 1982, fu destinataria della lettera della Soprintendenza nel 1994 sopra citata. Non è stata soggetto di visita. Un carteggio del 1989 su una specifica questione (donazione alla Facoltà di Economia e Commercio di un archivio di famiglia) ha messo in rilievo una cordiale disponibilità ai problemi culturali degli archivi.

La nascita come sede staccata e la successiva autonomia pongono un problema che in questa sede potrà forse essere risolto (o almeno posto): come è stato affrontato il caso (certamente non unico) del trasferimento delle carte da Padova a Verona? Trasferimento totale o parziale; trasferimento di originali o di copie; collegamento informatico; altro?

Istituto Universitario di Lingue Moderne di Feltre

È un’Università "libera" (= privata?) facente capo alla sede principale dell’Università Cattolica di Milano.

È stata anch’essa destinataria della lettera del 1994 non per un eccesso di zelo ma non aver saputo sciogliere un dubbio che qui pongo anch’esso. Il caso di sedi universitarie in altra regione rispetto alla casa madre (non è l’unico caso quello di Feltre) pone il quesito di quale sia la Soprintendenza competente. Nel diritto internazionale per decidere sulla cittadinanza si parla di "ius sanguinis" e di "ius soli": si dovrà decidere in tal senso, di concerto evidentemente fra gli interessati, anche nel caso qui proposto.

Istituto Universitario di Architettura di Venezia

Fondato nel 1926 come istituto superiore di architettura (dopo un triennio di corso speciale in architettura presso l’Accademia di belle arti di Venezia), condivide con Ca’ Foscari questa nascita "anomala" e di estremo interesse nell’ottica della storia della cultura. Anch’esso destinatario della lettera del 1994, non è stato oggetto di ispezione.

Nel medesimo anno 1994 si sono sviluppati contatti di cordiale collaborazione per iniziativa dell’"Archivio progetti Angelo Masieri" (ora "Centro di servizi interdipartimentali archivio progetti"; v. Istituto universitario di architettura di Venezia, Il progetto di architettura. Conservazione catalogazione informazione, Atti del Seminario Venezia 20-21 gennaio 1995, Venezia 1995).

L’interesse dimostrato ad acquisire e a valorizzare archivi di figure eminenti di architetti e progettisti (e qui ritorna la tematica dell’Università come collettore privilegiato delle carte di studiosi, professori, etc.), che è in buona sostanza la piena consapevolezza del valore culturale degli archivi fa ben sperare per una altrettanto consapevole presa di coscienza nei riguardi delle "carte amministrative", supporto indispensabile per (anche se meno stimolante) per ogni indagine storica.
 
 


Francesca Spanedda

L’archivio e la gestione dei documenti
nell’Università degli Studi di Sassari

Questo lavoro vuole descrivere, sinteticamente la strada intrapresa per l’organizzazione dell’Archivio dell’Università di Sassari.

L’Archivio, nato contestualmente all’Ateneo sassarese (dapprima Collegio gesuitico e dal 1617 eletto Università di diritto regio da Filippo III) nel corso dei secoli si è arricchito fino a raggiungere l’attuale consistenza complessiva di 2.544 metri lineari.

Tre sono le sedi nelle quali è distribuito il patrimonio documentario dell’Archivio Generale dell’Università sassarese: nella prima è situato l’Archivio storico, nella seconda una piccolissima parte dell’Archivio di deposito e nella terza la restante parte dell’Archivio di deposito e parte di quello corrente. Esso è in ogni modo considerato un complesso unitario.

L’Archivio storico che ha già subito parziali interventi di riordino nel 1973 e nel 1990 non è tuttavia ancora agevolmente consultabile. Anzi, questi interventi — se pur meritori dal punto di vista della tutela dei documenti — hanno però, per alcuni casi, cristallizzato arbitrari smembramenti e hanno impedito l’ordinamento cronologico all’interno delle unità, rendendo talvolta difficili le ricerche da parte dei conservatori e pressoché impossibili quelle degli studiosi.

Va rilevato che una parte consistente della documentazione degli anni ‘50 è andata dispersa in seguito al crollo dell’edificio nel quale era custodita.

La seconda sede contiene quella parte dell’Archivio di deposito che risulta fortemente danneggiata e che dovrà necessariamente essere oggetto di restauro.

La terza sede conserva l’Archivio di deposito e parte di quello corrente. La sua documentazione non appare priva di valore se consideriamo che uomini che hanno ricoperto ruoli di primo piano nella vita politica della Repubblica italiana si sono formati nell’Ateneo sassarese.

Oggi l’Università di Sassari conta 10 Facoltà, 18 Dipartimenti, 32 Istituti, 12 Centri, 19 Corsi di Laurea, 42 Scuole di Specializzazione e 17.000 studenti iscritti.

I pochi numeri appena esposti danno un’idea, sia pure approssimativa del volume cartaceo da trattare.

L’Ateneo con la partecipazione al progetto Titulus 97 promosso dall’Università degli Studi di Padova ha pertanto voluto dare un chiaro segnale di cambiamento e di adeguamento alle nuove ipotesi di gestione degli archivi.
 
 


Donatella Mazzetto

La sperimentazione di Titulus 97
e le ricadute dell’organizzazione archivistica
in un Dipartimento universitario
(Dipartimento di Ingegneria Meccanica)

Il Dipartimento di Ingegneria Meccanica (DIM) ha eseguito la prima sperimentazione di Titulus 97 presso l’Università degli Studi di Padova. Il motivo di questa scelta deriva, tra l’altro, dalle caratteristiche del DIM: si tratta infatti di una struttura complessa sotto il profilo organizzativo, in quanto vi si svolgono tutti i tipi di attività che coinvolgono le procedure amministrative di un dipartimento: attività didattica con presidenza di due corsi di studio e gestione di molte aule a servizio di piú corsi di laurea; attività scientifica finanziata sia dai tradizionali canali universitari (MURST, CNR), sia da contratti con aziende pubbliche e private, sia da fondi europei; prove e certificazioni per conto terzi; servizio di biblioteca di dimensioni rilevanti; collaborazioni didattiche e scientifiche con organismi internazionali; collaborazioni a vario titolo con il rettorato e con l’amministrazione centrale. Era logico, quindi, attendersi che la sperimentazione fatta presso il DIM costituisse un test importante per il funzionamento del progetto.

Dopo 9 mesi impegnati nella redazione del titolario di classificazione, che ha visto coinvolte circa 50 persone tra Amministrazione centrale e strutture "periferiche", nel luglio 1997 è iniziata la sperimentazione vera e propria.

In prima battuta furono soppressi i 4 protocolli che aveva il Dipartimento, tenuti da un dipendente per ogni settore, ed eliminato anche il vecchio "titolario": un elenco di affari e procedimenti amministrativi che, in assenza di norme e indicazioni precise, avevamo compilato qualche anno prima.

La difficoltà incontrata nel disbrigo della corrispondenza è stata quella di riuscire a classificare i documenti sulla base delle funzioni alle quali essi si riferivano e non sulla base di un elenco di fascicoli già predisposti all’inizio dell’anno. Gli affari e i procedimenti amministrativi, cioè, ora avrebbero dovuto essere classificati in base ad una funzione logica (il titolo e la classe) alla quale sarebbe stata attribuita contestualmente una posizione fisica all’interno della classe e, a sua volta, all’interno del titolo (cioè il numero del fascicolo).

Grazie anche alla collaborazione della Presidenza di Ingegneria, il nuovo titolario è stato affinato prima della sua definitiva approvazione da parte del Magnifico Rettore anche attraverso la compilazione di un indice dei documenti che ha raggiunto oggi oltre 6.000 parole e che verrà presentato nella nuova versione entro il dicembre 1998.

La sperimentazione ha avuto risultati positivi per la razionalità dei criteri di classificazione ed archiviazione (basati sul concetto di unicità dell’archivio). Dopo alcuni mesi di lavoro ci si è potuti convincere che l’uso di Titulus 97 consente non soltanto una semplificazione delle procedure correnti, con conseguente economia di risorse, ma anche una piú efficace tutela dei documenti sul lungo periodo, con impatto decisivo sulla conservazione di quelli veramente importanti, che costituiranno le fonti di ricerca storica nel futuro; si ottiene anche un servizio migliore nei confronti degli utenti.

La sperimentazione si è conclusa nel novembre 1997 quando sono stati approvati in via definitiva il regolamento e il titolario. Si è trattato di una sperimentazione cartacea, senza cioè l’ausilio dei sistemi informatici. I benefici che si attendono ora con l’introduzione anche dell’archiviazione elettronica dei documenti sono facilmente intuibili.
 
 


Carla Tonin

La sperimentazione di Titulus 97
e le ricadute dell’organizzazione archivistica
in un dipartimento universitario
(Dipartimento di Geografia)

Il Dipartimento di Geografia è stato coinvolto nel Progetto Archivi fin dalle fasi iniziali della sua attivazione con la presenza di un proprio componente nella relativa commissione (prof. Tessari).

Tale Commissione ha concluso i lavori nel 1995 con la redazione di uno studio sulla individuazione, conservazione e classificazione dei documenti dell’Università degli Studi di Padova a partire dal XV secolo ai giorni nostri.

Nello specifico è stato organizzato — nell’autunno del 1996 — un corso di Archivistica che ha consentito un primo approccio alla materia fornendo, accanto alla conoscenza degli strumenti normativi di base, pure alcuni concetti fondamentali fra i quali quello della differenza fra archivio e biblioteca, quello dell’unicità dell’archivio, del titolario di classificazione, dello scarto (o, meglio, della selezione).

Un corso di formazione sulla Gestione, tenuta e tutela dei documenti amministrativi è seguito poi nel dicembre 1997, destinato alle strutture che rientravano nel primo gruppo del calendario di attivazione del progetto stesso.

Quella del Dipartimento di Ingegneria Meccanica, a suo tempo individuato come struttura pilota, si è proposta come un’esperienza positiva, pur non essendo tuttavia mancati dubbi, perplessità e timori da parte dei corsisti, soprattutto per quanto riguardava una paventata complicazione o burocratizzazione delle procedure. Ma anzi, i dubbi e le perplessità che derivavano dall’applicazione quotidiana del titolario e del regolamento hanno finito con risultare un ottimo banco di prova e di affinamento del nuovo sistema informativo documentario introdotto dall’Università degli Studi di Padova.

Infatti, il Dipartimento di Geografia, quale sede logisticamente adeguata, durante la sperimentazione ha ospitato alcuni incontri durante i quali le persone coinvolte hanno potuto condividere sia tra loro che con i responsabili del Progetto Archivi dubbi e incertezze applicative, trovando le chiavi di lettura dei problemi che di volta in volta potevano insorgere nell’applicazione del Regolamento per la gestione, tenuta e tutela dei documenti amministrativi dal protocollo all’archivio storico per le strutture didattiche, di ricerca e di servizio come pure nell’utilizzazione sistematica degli indici del titolario di classificazione per le strutture, frutto della professionalità e dell’esperienza dei colleghi "pionieri". L’utilità futura di tali indici sarà direttamente proporzionale al grado di collaborazione di tutti i fruitori attraverso un costante lavoro di aggiornamento.

Questo intervento si propone pertanto di illustrare un esempio di coinvolgimento di una struttura periferica in Titulus 97 dopo il primo periodo di rodaggio presso il citato Dipartimento di Ingegneria Meccanica.

Per parte sua quello di Geografia è un Dipartimento plurifacoltà dove convivono le problematiche attinenti sia all’area umanistica che all’area scientifica ed è stato quindi interessante e stimolante verificare sul campo, in un’ottica propositiva e costruttiva, l’ipotesi precedentemente sperimentata di riorganizzazione del protocollo, dell’archivio e del titolario di classificazione.
 
 


Anna Maria Cremonese

La sperimentazione di Titulus 97
e le ricadute dell’organizzazione archivistica
nell’Amministrazione centrale

Il Progetto archivi, nato nel 1996 con l’obiettivo di predisporre un sistema informativo uniforme per tutto l’Ateneo per la gestione, la tenuta e la tutela dei documenti amministrativi, dal protocollo all’archivio storico, ha costituito un punto di svolta nella gestione degli archivi dell’Amministrazione centrale dell’Università degli Studi di Padova.

Il sistema precedentemente utilizzato per la classificazione dei documenti si basava sulla destinazione ad ogni ufficio di circa 50 posizioni il cui contenuto veniva definito a cura dell’ufficio stesso, per un totale di oltre 1000 posizioni (cioè classi d’archivio) per tutta l’Amministrazione centrale nelle quali almeno potenzialmente ogni documento avrebbe potuto essere archiviato. Il numero pletorico delle posizioni e la mancanza di una gestione coordinata del protocollo ha generato, nel corso del tempo e complice il succedersi del personale e dei mutamenti organizzativi, la creazione di posizioni con contenuti troppo simili perché fosse possibile identificare chiaramente la tipologia dei documenti archiviati nella singola posizione. A ciò va aggiunto la scarsa considerazione archivistica verso l’attività pratica svolta dai diversi uffici nell’arco temporale di riferimento, con la conseguenza di un accavallamento delle posizioni di archivio tra piú uffici.

Molti uffici poi, in alternativa o in aggiunta al protocollo centralizzato, ne utilizzavano uno interno o, pur utilizzando il sistema centralizzato, non utilizzavano le posizioni. Il risultato complessivo era che le codifiche del protocollo rispecchiavano, in modo non organizzato, solo una parte dell’attività dell’Amministrazione centrale e che l’archiviazione dei documenti veniva gestita autonomamente dai singoli uffici senza una visione di insieme, senza cioè tener conto di uno dei principi fondamentali dell’archivistica: l’archivio è unico.

La legge 241/90 sul procedimento amministrativo, introducendo i principi dell’unitarietà del procedimento, della necessaria individuazione dell’unità organizzativa responsabile e del responsabile del procedimento, nonché la nuova cultura organizzativa, espressione del D.L.vo 29/93, hanno dato origine ad una visione nuova nella trattazione delle pratiche; visione che non trovava piú corrispondenza nelle vecchie codifiche.

La mancanza di un sistema chiaro, codificato ed uniforme rendeva prezioso il personale dotato di "memoria storica". "Come posso ritrovare la pratica dato che è stata trattata prima che io venissi a lavorare in questo ufficio?" è una frase che risuonava con una certa frequenza.

Il nuovo titolario di classificazione dell’Amministrazione centrale ricomprende tutta l’attività ripartita per funzioni per cui, oggi, ogni ufficio codifica i documenti sulla base del rispettivo contenuto contribuendo, così, alla nascita di un archivio unitario.

Alla redazione del nuovo titolario di classificazione e dell’indice hanno contribuito due gruppi di lavoro formati da personale proveniente da diversi uffici.

Per portare a termine il loro compito i componenti del gruppo hanno lavorato su due fronti. Il primo ha riguardato l’analisi dell’attività dei propri uffici e, per quanto riguarda l’indice, l’elencazione di tutti i tipi di documenti trattati.

Il secondo è stato prettamente lessicale ed è stato il momento dialettico di confronto in quanto era importante l’utilizzo di termini chiari e dal significato univoco.

L’attività di ricerca svolta all’interno degli uffici ha aiutato a diffondere la conoscenza del nuovo sistema prima che lo stesso entrasse in uso e, costringendo il personale ad elencare tutte le attività svolte e tutte le tipologie di documenti trattati, ha fornito un importante momento di riflessione sull’organizzazione e distribuzione del lavoro.

Ci sono due date da ricordare e che, pur recenti, fanno già parte della storia dell’Università degli Studi di Padova, a dimostrazione che gli eventi, per divenire Storia possono anche non avere secoli alle spalle:

L’avvio non è stato facile. Nei primi tempi, dubbi ed incertezze erano frequenti ma, nel frangente, l’indice ha svolto un’importante funzione nella diffusione e nell’applicazione uniforme del nuovo sistema in quanto aiuta ad attribuire correttamente il titolo e la classe alle pratiche trattate e, nei limiti consentiti dall’errore umano, dimostra che non vi sono documenti ai quali non possa essere attribuita una classificazione.

Non è mai facile modificare uno schema di lavoro specie quando si tratta di un sistema rigido e ripetitivo che, venendo interiorizzato dal personale, fornisce sicurezza; comunque, non bisogna dimenticare che è nella natura umana mitizzare il passato e temere i cambiamenti.
 
 


Alberto Mirandola

Dal "Progetto Archivi" a "Titulus 97"
Obiettivi, linee guida, problemi e sperimentazione

L’obiettivo iniziale che l’Università degli Studi di Padova si prefiggeva nel promuovere il Progetto Archivi era essenzialmente legato alla esigenza di razionalizzare la gestione dell’enorme quantità di documenti esistenti ed in via di continua produzione. Ben presto, con il procedere del progetto, risultò chiaro che esso coinvolgeva tutta l’organizzazione delle attività amministrative e legava in modo indissolubile la gestione dei procedimenti amministrativi correnti con quella dei documenti che costituiscono il patrimonio storico dell’ente.

Un progetto di così vasta portata non poteva che essere basato su presupposti scientifici: pertanto la sua concezione fu affidata ad una persona particolarmente competente, individuata in un archivista in possesso dei titoli previsti dal D.P.R. 1409 del 30 settembre 1963.

Le linee guida del progetto possono essere così riassunte:

Una tale concezione è rivoluzionaria e comporta ricadute molto rilevanti sull’organizzazione dell’ateneo e sui metodi di lavoro degli impiegati. Il nuovo sistema, supportato da un adeguato regolamento, consente non soltanto di introdurre delle certezze nella classificazione dei documenti, sottraendola alle interpretazioni personali e alla "memoria storica" degli addetti al protocollo, ma anche di facilitare la ricerca dei documenti stessi e, ancora, di rendere i singoli operatori responsabili del proprio operato (infatti in qualunque momento del suo iter amministrativo il documento è affidato ad un responsabile del procedimento, che è noto per la natura stessa del sistema).

Un periodo di sperimentazione di alcuni mesi ci ha convinti dell’opportunità di condividere con altri atenei questa esperienza. Dal Progetto Archivi si è così passati a Titulus 97, che consiste essenzialmente nel tentativo di far "parlare" uno stesso linguaggio a tutti gli atenei italiani. Il sostegno datoci dal Ministero per i Beni Culturali ed Ambientali e dalle Soprintendenze archivistiche è stato di fondamentale importanza, perché ha fornito al progetto l’imprimatur delle massime autorità in materia archivistica.

La sperimentazione a Padova è ormai in fase avanzata, con risultati positivi, pur avendo richiesto un radicale cambiamento di mentalità da parte degli operatori, i quali erano abituati a ragionare "per oggetti" anziché "per funzioni". Tali risultati saranno potenziati nel prossimo futuro dall’impiego dell’informatica. L’estendersi della sperimentazione ad altri atenei apporterà preziosi contributi aggiuntivi e consentirà ulteriori approfondimenti.
 
 


Gianni Penzo Doria

L’archivio come servizio integrato:
dal protocollo all’archivio storico

L’autentica rivoluzione introdotta nell’Università degli Studi di Padova dal 1996 al 1997 si basa soltanto sull’applicazione della scienza archivistica all’archivio. Nulla di straordinario, quindi, ma l’elementare e soprattutto concreta applicazione dei criteri scientifici che devono governare l’archivio concepito come servizio per l’ente che lo produce.

Per progettare una casa, inoltre, si chiamano gli architetti, per redigere un piano regolatore ci si rivolge agli urbanisti, per curarsi i denti si va dal dentista, ma per organizzare un archivio, invece, ci si rivolge a chiunque. Questa situazione — con risvolti addirittura catastrofici per la Pubblica Amministrazione — è a volte avallata da chi, in casi non isolati, ha perso il gusto del proprio mestiere e si rivolge sempre piú alla pubblicazione di saggi di storia, o all’edizione critica di fonti primarie, dimenticando di redigere e di pubblicare i mezzi di corredo: guide e inventari per l’archivio storico; titolari di classificazione e massimari di selezione per l’archivio corrente. Su questo pesa come un macigno l’equivoco che l’archivio serva solo agli storici e che il protocollo (cioè, come amiamo chiamarla qui a Padova, la registratura) sia solo una delle tante e inutili incombenze cui è chiamata la Pubblica Amministrazione nel disbrigo dei suoi affari e non (com’è in realtà) il volano per il raggiungimento dei traguardi dell’efficienza, dell’efficacia e della trasparenza dell’azione amministrativa.

Gli effetti di questa barbara, ma ben diffusa, opinione sui servizi d’archivio sono rappresentati per l’archivio corrente dalla frammentazione del protocollo e dalla nascita dei protocolli interni con diversi e autonomi sistemi di classificazione, a volte anche notevolmente diversi all’interno di un medesimo ufficio; per l’archivio storico, invece, si può parlare di una sua musealizzazione, o addirittura di sua una bibliotecarizzazione, cioè di quanto piú antiarchivistico esista nell’ambito degli istituti culturali. L’archivio, in questo caso, non è piú percepito come un complesso di documenti o una universitas rerum che, partendo dalla registratura e passando per l’archivio di deposito, giunge all’archivio storico; esso è purtroppo destinato a diventare nella percezione collettiva una raccolta "antica" slegata dal resto dei documenti meno antichi.

Invece, il primo assunto fondamentale che deve reggere la progettazione di un sistema informativo documentario (SID) è l’unicità dell’archivio. Non esiste quindi alcuna differenza concettuale tra l’archivio storico e l’archivio corrente, anche se a livello pratico risulta ben evidente la distinzione tra gestione e conservazione. Ma anche in questo caso si tenga ben fermo che quello che oggi è corrente domani sarà storico e ciò che muta non è l’archivio, ma l’interesse verso di esso. Il records management dei paesi anglosassoni, cioè la gestione dei documenti, non è infatti separato dal sistema informativo, ma fa parte del recordkeeping system, cioè del sistema di tenuta e di selezione dei documenti, che è concepito, realizzato e mantenuto come sistema unitario.

Sono queste le premesse sulle quali il Consiglio di Amministrazione dell’Università degli Studi di Padova ha approvato nel 1996 il Progetto Archivi ed ha contestualmente avviato le procedure per la definizione del sistema informativo documentario di Ateneo. Tale sistema è stato approvato nel dicembre 1997 con l’emanazione dei due Regolamenti per la gestione, tenuta e tutela dei documenti dal protocollo all’archivio storico (pubblicati sulla Gazz. Uff. n. 301 del 29.12.1997): uno per l’Amministrazione centrale e l’altro per le strutture "periferiche" (facoltà, dipartimenti, centri, osservatori, etc.). Nei due regolamenti le parole gestione, tenuta, e tutela fanno rispettivamente riferimento all’archivio corrente, all’archivio di deposito e all’archivio storico, ma trovano la loro unitarietà nella istituzione di una direzione archivistica generale e nell’applicazione di un unico titolario di classificazione e di un unico massimario di selezione per tutta l’Amministrazione centrale da una parte e per tutte le strutture dall’altra. In questo contesto è stato possibile approntare i mezzi di corredo nell’arco di soli 14 mesi (ottobre 1996 – dicembre 1997) solo grazie all’ausilio di una cinquantina di colleghi, provenienti praticamente da tutti gli uffici, che hanno condiviso e sperimentato con la direzione archivistica ogni piú piccola parte del sistema informativo documentario. A ciò va aggiunto che il regolamento è stato scritto tenendo presente le norme per la semplificazione del linguaggio amministrativo grazie all’opera del prof. M.A. Cortelazzo e, dopo una prima stesura, è stato affinato con la collaborazione dell’Ufficio centrale per i beni archivistici (M.G. Pastura e G. Pesiri), della Soprintendenza archivistica per il Veneto (B. Lanfranchi Strina) e dell’Anai (G. Bonfiglio Dosio e A. Kolega). Infine, ogni piú piccolo dettaglio, ogni comma del regolamento, ogni classe del titolario e ciascuna delle 12.000 parole dell’indice, insomma qualsiasi evento di Titulus 97 è stato deciso insieme al prof. A. Mirandola, presidente della Commissione Archivi. Il vero merito di Titulus 97 è quindi quello di aver attribuito all’archivio una logica archivistica, progettando i mezzi di corredo con una concezione unitaria e affrontando il passaggio cruciale dall’archivio corrente all’archivio di deposito, e da questo allo storico, con una serie di interventi normalizzati e omogenei. È stato cioè creato uno standard archivistico di Ateneo, mirando ad offrire soprattutto un servizio sia per il personale tecnico amministrativo che per gli studiosi. Il risultato ottenuto si evince anche dalle due figure che seguono: un prima e un dopo nella gestione, tenuta e tutela dell’archivio dell’Università degli Studi di Padova.
 
 

Fig. 1 - Situazione archivistica dell’Università degli Studi di Padova prima di Titulus 97


 
 
 
 

Fig. 2 - Situazione archivistica dell’Università degli Studi di Padova dopo Titulus 97



Stefano Pigliapoco

Dal sistema informativo al sistema informatico

Prima di passare alla descrizione delle componenti hardware e software di un moderno sistema informativo documentale è opportuno fare alcune riflessioni. Innanzitutto, si deve prendere coscienza che la maggior parte dei documenti che circolano negli Uffici sono in realtà prodotti su computer e poi "copiati" su carta. Normalmente, infatti, per la stesura dei documenti vengono utilizzati sistemi di word processor, fogli elettronici e altri applicativi di office automation. I fax altro non sono che oggetti elettronici ricevuti per via telematica e riprodotti su carta. I mandati di pagamento, i cedolini stipendio, i bilanci e altri report similari sono il risultato di elaborazioni effettuate con il computer. I disegni sono prodotti con sistemi CAD e poi stampati su carta in formato A3 o A0.

I nostri documenti, in definitiva, nascono su supporto informatico, ma poi vengono gestiti e trasmessi su supporto cartaceo.

In secondo luogo, l’evoluzione delle tecnologie per l’acquisizione dei documenti cartacei in formato elettronico, la disponibilità di reti locali e geografiche sempre piú efficienti, la possibilità di registrare nelle memorie del computer enormi quantità di dati a costi contenuti, l’uso generalizzato della posta elettronica, rendono oggi possibili soluzioni avanzate per la produzione, la trasmissione telematica e l’archiviazione dei documenti informatici.

In ultimo, proprio in questo periodo si sta completando il complesso delle norme che attribuiscono al documento elettronico sottoscritto con la firma digitale piena validità e rilevanza a tutti gli effetti di legge.

Alla base di questo dispositivo c’è il comma 2 dell’articolo 15 della legge 15 marzo 1997, n. 59, il quale stabilisce che gli atti, dati e documenti formati dalla pubblica amministrazione e dai privati con strumenti informatici e telematici, i contratti stipulati nelle medesime forme, nonché la loro archiviazione e trasmissione con strumenti informatici, sono validi e rilevanti a tutti gli effetti di legge.

Il DPR 10 novembre 1997, n° 513, recante criteri e modalità per la formazione, l’archiviazione, e la trasmissione di documenti con strumenti informatici e telematici, rappresenta il primo regolamento di attuazione dell’articolo citato. Ad esso si è aggiunta la Deliberazione AIPA 30 luglio 1998, n° 24, concernente le regole tecniche per l’uso dei supporti ottici e ben presto saranno emanate le regole tecniche per la formazione, la trasmissione, la conservazione, la duplicazione, la riproduzione e la validazione, anche temporale, dei documenti informatici.

Alla luce di queste considerazioni appare evidente che un sistema informativo documentale di nuova generazione non debba limitarsi alla gestione dei dati del protocollo e dei fascicoli, ma puntare decisamente alla gestione degli atti in formato elettronico, al controllo dei flussi documentali e al monitoraggio dei procedimenti amministrativi.

L’infrastruttura tecnologica di base

Per la gestione e trasmissione dei documenti in formato elettronico è indispensabile un’infrastruttura di rete efficiente, sicura, veloce ed estesa su tutte le sedi dell’ente.

D’altra parte, quando la documentazione sarà ricevuta e prodotta in forma elettronica, quando le Unità Organizzative si coordineranno utilizzando messaggi di posta elettronica e si trasmetteranno fascicoli digitali, una frequente e prolungata indisponibilità della rete, così come l’impossibilità di raggiungere alcuni Uffici perché non collegati, inciderà molto negativamente sull’operatività dell’ente e potrà causare il fallimento del progetto.

Oltre ad una infrastruttura di rete efficiente, nell’ottica di dare al personale degli Uffici la possibilità di visualizzare i documenti elettronici e stampare i relativi fascicoli, è necessario che tale personale sia dotato di stazioni di lavoro sufficientemente potenti per una rapida visualizzazione delle immagini.

L’ambiente applicativo di Groupware

Oltre ad un’infrastruttura di rete, per la gestione elettronica dei documenti è necessario un ambiente applicativo di Groupware, cioè un insieme di prodotti con i quali gli utenti possano comunicare, condividere documenti, pianificare riunioni, coordinare e sincronizzare le attività di gruppo.

Alla base di un ambiente di Groupware ci sono i prodotti di office automation. Al livello immediatamente superiore c’è il software di posta elettronica.

Un’altra importante applicazione da prevedere nell’ambiente di Groupware è quella che realizza la gestione automatica dei fax, consentendo agli utenti di riceverli e trasmetterli via rete come allegati a messaggi di posta elettronica.

Il sistema di Imaging

Il Sistema di Imaging è quel componente software che permette di trattare i documenti cartacei acquisendoli su computer in formato immagine attraverso un dispositivo di scanner.

Gli scanner specificamente concepiti per i sistemi di gestione elettronica dei documenti sono in grado di catturare gli originali cartacei molto rapidamente. Esistono modelli che possono acquisire una sola faccia, altri entrambe, in tempi che vanno da 0,8 a 2 secondi per pagina. Altri sono stati progettati per acquisire decine di migliaia di documenti al giorno e sono quindi equipaggiati con alimentatori automatici di grande capacità e dispositivi di controllo della lunghezza dei documenti.

Il sistema I.R.S.

Nella prospettiva della gestione dei documenti in formato elettronico è particolarmente utile la disponibilità di un Sistema di Information Retrieval (I.R.S.) per la ricercarli attraverso una o piú parole contenute nel testo.

Considerato, inoltre, che un sistema informativo documentale dovrà gestire milioni di documenti e una enorme quantità di fascicoli, è indispensabile che il sistema I.R.S. abbia la capacità di agire non solo sul testo dei documenti, ma anche sui dati di protocollo e su quelli che identificano i fascicoli.

Il sistema di archiviazione ottica

Per l’archiviazione dei documenti in formato elettronico l’AIPA, con deliberazione 24/98, ha definito le regole tecniche.

Le indicazioni piú significative contenute nella delibera citata sono riassunte nei punti di seguito elencati.

  1. Per l’archiviazione dei documenti possono essere utilizzati i supporti per i quali l’operazione di scrittura comporta una modifica permanente ed irreversibile delle caratteristiche del supporto stesso.
  2. Il tipo di supporto e la organizzazione dei dati devono essere conformi alle norme nazionali ed internazionali, stabilite da organismi di normazione ufficialmente riconosciuti e pubblicate al momento dell’acquisizione. Il sistema deve comunque garantire il riversamento dei documenti su supporti conformi alla norma ISO 9660 ed almeno nei formati CGM e TIFF.
Per le applicazioni che devono gestire milioni di documenti, esiste una vasta offerta di Jukebox. A seconda del modello, queste periferiche possono contenere da 10 a 1440 dischi e sono attrezzate con una robotica per la movimentazione dei supporti tra alloggiamenti e drive. Un CD-R ha una capacità di memorizzazione di 650 Mb, ovvero di circa 30.000 documenti in formato A4.

Il sistema di Workflow

Con il termine "Workflow" si fa riferimento al software che gestisce la circolazione di documenti in forma elettronica e la conseguente assegnazione di attività amministrative

I software di Workflow formano con i software di gestione elettronica dei documenti un’accoppiata vincente per tutte quelle applicazioni di gestione di pratiche dove è richiesto l’intervento di piú persone.

Gli elementi costitutivi di un sistema di Workflow sono:

Il descrittore delle procedure consente di: Il gestore degli stati di avanzamento consente di: Il generatore di report e statistiche consente di: La firma digitale

La firma digitale è il risultato di una funzione di crittografia C a chiavi asimmetriche (algoritmo RSA) applicata all’impronta I di un documento informatico M e alla chiave segreta del sottoscrittore Ks. L’impronta viene ottenuta applicando al documento una funzione di Hash H

I = H (M)

X = C (I, Ks)

L’autenticazione di una firma digitale è il risultato di una funzione di decodifica D, anch’essa basata sull’algoritmo RSA a chiavi asimmetriche, applicata alla firma X e alla chiave pubblica del sottoscrittore Kp.

A = D (X, Kp)

Per impiantare un sistema di firma digitale è necessario che un ente, denominato Certification Authority, associ, in modo inequivocabile, le chiavi pubbliche di sottoscrizione ai rispettivi titolari.
 
 


Alexandra Kolega

Aspetti critici e innovativi del regolamento
dell’Università degli Studi di Padova

I due Regolamenti per la gestione, tenuta e tutela dei documenti dal protocollo all’archivio storico, emanati dall’Università degli Studi di Padova alla fine del 1997, hanno rappresentato e continuano a rappresentare senz’altro un positivo riferimento per la creazione di un sistema archivistico universitario nazionale.

Va però chiarito che ogni regolamento non deve essere un blocco immobile, un insieme di norme monolitiche, ma va aggiornato, modificato e integrato a seconda delle esigenze dell’ente produttore, tenendo sempre come riferimento la dottrina archivistica. Dev’essere quindi un complesso di norme flessibile al mutare delle esigenze dell’ente e all’introduzione delle nuove tecnologie.

Il lavoro di limatura che l’Anai ha svolto nel collaborare alla fase finale della stesura del regolamento è andato proprio in questa direzione.

Si tenga infine presente che il regolamento di Padova è mutuabile dagli altri Atenei con i necessari aggiustamenti derivati dalla propria organizzazione. Ciò che invece va mantenuto in toto è il titolario di classificazione, cioè il vero volano per l’archiviazione dei documenti e per la creazione del sistema archivistico universitario nazionale cui mira Titulus 97.
 
 


Michele A. Cortelazzo

La semplificazione del linguaggio amministrativo
e il regolamento dell’Università degli Studi di Padova

Da qualche anno si sta affermando anche in Italia la cultura della trasparenza linguistica come condizione imprescindibile per la trasparenza degli atti della Pubblica amministrazione. È vano, infatti, che i cittadini abbiano diritto ad accedere ai documenti amministrativi che li riguardano, o agli strumenti normativi che regolano il loro comportamento, se questi sono scritti in una lingua da loro difficilmente dominata. Soprattutto per impulso di Sabino Cassese, e ora di Franco Bassanini, il Dipartimento della funzione pubblica ha elaborato strumenti per la semplificazione dei testi amministrativi.

Il problema riguarda anche le Università, per quanto in una prospettiva diversa da quella di altre amministrazioni. Il fatto di rivolgersi a un pubblico in gran parte ad alta scolarizzazione riduce la necessità di produrre testi con un’alta soglia di leggibilità (anche se deve essere raggiunto il massimo di chiarezza possibile); ma d’altro canto evidenti ragioni di immagine di un’istituzione di alta cultura quale è un’Università obbligano a raggiungere un buon livello stilistico.

Il punto di incontro tra leggibilità e stile non è facile da raggiungere. Studenti e dipendenti di qualunque Università hanno certamente, e piú volte, fatto esperienza di testi che non raggiungono l’equilibrio richiesto o addirittura che sono manchevoli sia sul piano della chiarezza sia su quello dello stile.

In questo senso è opportuno discutere delle esperienze positive realizzate nell’Università degli Studi di Padova. Sul piano delle comunicazioni al pubblico, va citata la riscrittura del bando per le borse di studio Socrates-Erasmus, avvenuta su sollecitazione e con la collaborazione dei miei studenti del corso di Teoria e storia della retorica e grazie alla sensibilità dell’Ufficio preposto. Sul piano dei testi normativi, che pongono un orizzonte di problemi diverso da quello delle comunicazioni al pubblico, va citata la redazione del Regolamento per la gestione del protocollo.

Nel corso della relazione mi occuperò in dettaglio di quest’ultimo testo. Esaminerò, anche nella loro evoluzione tra la redazione provvisoria e quella definitiva, alcuni problemi sorti e alcune soluzioni adottate ai diversi piani di organizzazione del testo:

a) ordine e articolazione delle informazioni;

b) scelte sintattiche;

c) scelte lessicali.

[L’indice di leggibilità di questo testo è di 46,31, secondo il modello Gulpease: cfr. www.eulogos.it]

Bibliografia:

Ainis, Michele. 1997. La legge oscura. Come e perché non funziona, Bari-Roma. Laterza.

Codice di stile. 1993. Codice di stile delle comunicazioni scritte ad uso delle amministrazioni pubbliche. Proposta e materiali di studio, Roma, Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per la Funzione Pubblica.

Fioritto, Alfredo (a cura di). 1997. Manuale di stile. Strumenti per semplificare il linguaggio delle amministrazioni pubbliche. Proposta e materiali di studio, a cura di Alfredo Fioritto, Bologna, Il Mulino.

Piemontese, Maria Emanuela. 1996. Capire e farsi capire. Teorie e tecniche della scrittura controllata, Napoli, Tecnodid.
 
 


Giovanna Granata - Zanetta Pistelli

Una proposta per l’indicizzazione
del titolario di classificazione delle università italiane

L’adozione del nuovo titolario d’archivio da parte dell’Università degli Studi di Padova ha portato immediatamente con sé la necessità di approntare uno strumento agile ed efficace di orientamento nello schema di classificazione, che permettesse di ricondurre facilmente ciascun documento alla sua esatta posizione.

I colleghi dell’Università degli Studi di Padova hanno, pertanto, proceduto all’ordinamento alfabetico delle "denominazioni" con cui nella prassi quotidiana sono contrassegnati i documenti e a ciascuna hanno aggiunto il riferimento al titolo ed alla classe specifica: insomma, è stato approntato un indice alfabetico del titolario che, come tutti i sistemi indicali, fin dalle sue prime elaborazioni risalenti a quasi 2 anni fa, ha presentato problematiche simili a quelle che si pongono correntemente nella pratica bibliotecaria.

Le "denominazioni" individuate a partire dai documenti sono state ordinate in base al primo termine, ma nel tentativo di aumentare le possibilità di ricerca, sono stati moltiplicati gli accessi attraverso una rotazione degli altri elementi ritenuti significativi; in mancanza di una regola precisa, ciò ha sconvolto l’ordine sintattico, causando spesso problemi di illeggibilità. Costruite sulla base del linguaggio naturale, pur trattandosi di quello già abbastanza standardizzato in uso negli uffici, le stringhe ne riproducevano, d’altra parte, tutta la complessità e la variabilità per quanto riguarda sia i costrutti che i termini impiegati. Di qui incongruenze lessicali, ordine di citazione differente da caso a caso, ridondanza semantica.

L’esigenza di uno strumento piú coerente e piú controllato è, d’altra parte, divenuta sempre piú evidente dal momento che il titolario, e quindi il suo indice di riferimento, è destinato a diventare uno strumento valido per tutte le università italiane che aderiscono al progetto Titulus 97: la cooperazione, infatti, necessita di strumenti molto standardizzati, controllabili, aggiornabili secondo criteri trasparenti e predittivi.

Si è così reso necessario per noi non solo riformulare le "denominazioni", trasformandole in vere e proprie stringhe di indicizzazione, con una sintassi corretta e coerente secondo principi teorici certi, ma anche provvedere ad un vocabolario di controllo dei termini adottati nelle stringhe per consentire alle varie università di parlare davvero uno stesso linguaggio, anche se piú artificiale delle strutture linguistiche naturali.

Lavorare sulle stringhe ha comportato tutta una serie di problemi: non potendo esaminare i documenti e quindi partendo da un’analisi concettuale già fatta, su stringhe già costruite, si è trattato spesso di riuscire a capire bene il contesto di riferimento; spesso l’interpretazione non agevole delle stringhe ha comportato il ricorso a continue spiegazioni da parte dei colleghi padovani. Si aveva poi ben presente il problema che uno strumento diverso da quello già predisposto e già padroneggiato dai colleghi poneva in termini di praticità d’uso e di facilità di applicazione: certo il linguaggio naturale, anche se sottoposto a contorcimenti per permettere un recupero dell’informazione piú probabile, è molto piú efficace di un linguaggio controllato e molto formalizzato. Inoltre, l’impiego di tecnologie informatizzate per la costruzione delle stringhe e del relativo thesaurus, se da una parte permette un piú agevole recupero dell’informazione, dall’altra può comportare una minore funzionalità e familiarità rispetto ad uno strumento cartaceo che ha già prodotto risultati apprezzabili.

A questi problemi se ne aggiungevano altri di tipo metodologico bibliografico: il riferimento consueto per la costruzione di stringhe di soggetto è stato ed è tuttora il soggettario della BCNF, che però, specialmente in quest’epoca di informatizzazione delle biblioteche e dei loro strumenti di lavoro, è stato sottoposto a diverse critiche. La principale fra queste è che, trattandosi di uno strumento tipico dell’epoca cartacea, si affidava l’efficacia del recupero dell’informazione alla significatività del concetto principale di un documento, che occupava la prima posizione in una lista alfabetica di soggetti. Un’alternativa è, invece, costituita ormai da qualche anno, sia pure ancora in fase di sperimentazione e revisione, da un metodo di analisi categoriale elaborata dal GRIS. I vantaggi di un’analisi per soggetto secondo le indicazione del GRIS sono le seguenti:

Per quanto riguarda la costruzione del thesaurus, ci si è innanzitutto posto il problema se utilizzare strumenti già esistenti. Abbiamo, pertanto, esaminato alcune note realizzazioni in ambito educativo, che tuttavia si sono rivelate inadatte per la peculiare tipologia di documentazione che, come è ovvio trattandosi dell’indice di un titolario d’archivio, aveva piuttosto un forte connotato di tipo amministrativo. Si è pertanto deciso di procedere alla costruzione "dal basso" di uno strumento ad hoc con le seguenti caratteristiche: la adesione alla norma internazionale ISO 2788, come recepita dalla guida GRIS per quanto riguarda le scelte morfologiche (scomposizione dei termini, uso di singolare e plurale) e la adozione di una categorizzazione a faccette, anch’essa fatta propria e suggerita dal GRIS, in quanto in grado di offrire un criterio piú astratto ed oggettivo di organizzazione.

Nel corso del lavoro, un modello importante è stato a quello rappresentato dal Thesaurus della Regione Toscana, improntato agli stessi criteri e particolarmente vicino alla nostra esperienza per il taglio giuridico-amministrativo. Alcune scelte del Thesaurus toscano sono state condivise, mentre ci siamo dovute impegnare nella costruzione ex novo dei legami thesaurali per quelle parti che costituiscono la specificità dell’ente università: gli studenti, il personale docente, il personale tecnico amministrativo.

Al fine, poi, di creare uno strumento di lavoro agile ed efficace nel reperimento dell’informazione, senza tuttavia ricorrere alla rotazione dei termini per garantire la molteplicità dell’accesso, abbiamo operato la scelta di inserire per ciascun termine, nell’output alfabetico del thesaurus, oltre all’insieme delle sue relazioni gerarchiche, anche il riferimento alle stringhe dell’indice, in cui il termine stesso compare. A loro volta, le stringhe portano il riferimento al titolo ed alla classe in cui devono essere incluse. Questo espediente permette di collegare in automatico, attraverso un programma ad hoc, i termini thesaurali con le stringhe di partenza in cui questi termini compaiono e di costituire per gli operatori quasi una guida all’immissione, per analogia, di nuove stringhe.

Certo, come tutti gli strumenti di questo tipo, anche l’indice e il thesaurus dovranno essere periodicamente aggiornati, se non vogliono perdere il legame di funzionalità loro proprio, e ciò comporterà l’esigenza di predisporre un’équipe di persone in grado di gestire la costruzione delle nuove stringhe secondo la metodologia del GRIS e di aggiornare il thesaurus sulla base delle nuove esigenze.
 
 


Roberto Cerri

La soggettazione in archivistica: uno strumento di ricerca

Nella spazio di 15 minuti intendo affrontare un aspetto specifico collegato con la problematica piú generale della "ricerca in archivio" e della semplificazione e velocizzazione dell’accesso alle fonti primarie.

L’obiettivo dichiarato è quello di facilitare e di allargare la ricerca anche a utenti meno scientificamente preparati per il recupero dei documenti d’archivio.

La comunicazione conterrà qualche riferimento essenziale (ma rapido) al dibattito internazionale su questo argomento.

La comunicazione cerca di rispondere alle seguenti domande:

(1) è possibile fare ricerca in archivio mediante un approccio sistematico per materie o per soggetti, che integri e non annulli il paradigma della ricerca per istituzioni e per competenze?

(2) è possibile facilitare e velocizzare la ricerca utilizzando oltre che un approccio di tipo probabilistico anche un approccio di tipo puntuale?

Gli altri tre momenti che intendo inoltre mettere a fuoco sono costituiti da:

Intendo inoltre affrontare sia pure sinteticamente:
  1. il rapporto tra "ricerca per argomenti e bisogni informativi degli utenti";
  2. la relazione che sta tra la facilitazione della ricerca, la promozione dell’uso dell’archivio e la tutela delle carte;
  3. la distinzione tra sfera operativa e teorica dell’Ordinamento e quella della "ricerca";
  4. come e cosa si ricerca in un archivio (con particolare riferimento agli archivi degli enti locali);
  5. le attuali risposte date alla ricerca con gli strumenti di corredo storico-istituzionali: analisi dei limiti dell’approccio probabilistico;
  6. l’ambito di applicabilità delle tecniche di soggettazione;
  7. I vantaggi collegati con l’accesso basato anche sulla ricerca per argomenti, materie e "soggetti".
  8. i costi di produzione di strumenti che consentono la ricerca per soggetto o argomento (inclusi i problemi connessi con la formazione professionale).
  9. la non obbligatorietà, ma la soggettività istituzionale della scelta di costruzione di punti di accesso per argomento, la quale si collega strettamente con le politiche archivistiche di ciascun istituto di conservazione.
Intendo infine descrivere sinteticamente la proposta del metodo GRIS per l’estrazione degli indici per soggetto e illustrare brevemente la portata ed il significato del documento programmatico sull’indicizzazione elaborato nel corso dello stage di San Miniato del febbraio 1998.
 
 


Caterina Isabella

Per una Carta della qualità nei servizi archivistici e documentari

Sappiamo che l’argomento qualità è di grande attualità, ma spesso non viene capito nelle sue profonde implicazioni e ci si limita a fornire semplici metodologie presentate sotto forma di concretezza ed operatività.

A noi non piacciono le ricette americane e giapponesi né tanto meno quella confusione che accompagna il concetto di qualità: è molto diffuso il concetto di qualità dei prodotti, ma è molto più difficile capire quello di qualità dei servizi o di qualità dei processi tecnico-organizzativi.

Dopo questa breve e necessaria premessa, ricordiamo che in altre sedi abbiamo affermato che per avviare un programma di qualità anche nelle strutture in cui l’attività principale è la gestione e la conservazione dei documenti, come ad esempio negli archivi, risulta oggi una iniziativa altamente innovativa per il contesto culturale in cui viviamo, ma forse anche in ritardo rispetto ad altre realtà europee in cui già da tempo lavorano con sistemi qualità.

Pertanto, realizzare un sistema qualità così come indicato nelle ISO 9004 (punto 5) significa soprattutto affermare i seguenti principi generali:

  1. cambiamento culturale all’interno degli archivi dal punto di vista delle modalità organizzative (passare da quanto si fa a come si fa)
  2. centralità dell’utente (a volte cliente) cioè pensare a nuovi stili di comunicazione con i cittadini fruitori di documenti dal valore amministrativo e probatorio e sia con i ricercatori quali fruitori di documenti che hanno raggiunto una maturità archivistica
  3. l’impegno dei top management la cui assenza in tale progetto provoca il fallimento di un sistema di qualità
  4. il coinvolgimento dei personale ai diversi livelli (dall’archivista all’usciere) che non sia passivo, ma attivo nella "mission" e soprattutto cambiamenti inerenti le funzioni
  5. il miglioramento continuo è il vero fattore di successo perché dal concetto di livello di qualità accettabile (LQA) a "zero" difetti, riducendo gli errori presenti nelle vari fasi di vita dei documento (dal corrente allo storico), adottando secondo le opportunità sia con la logica dei piccoli passi che le profonde trasformazioni
  6. la formazione dei personale entrata nei meriti della formazione degli archivisti attualmente carente nel settore della gestione della documentazione moderna e contemporanea, fornire nuovi strumenti, piani di formazione interna, avvio di gruppi di lavoro (mi vengono in mente le varie esperienze realizzate in realtà diverse con i "circoli di qualità")
  7. la prevenzione che deve essere pensata a monte dell’organizzazione utilizzando tutte le metodologie per evitare errori
  8. il controllo, la valutazione e la certificazione questi tre momenti sono fondamentali in quanto:
Quanto detto fino ad ora è presupposto fondamentale per parlare di qualità e della prédisposizione di una carta della qualità e qui si rende opportuno sottolineare che quello della qualità è un concetto classico sempre presente nelle attività e nella cultura dell’uomo (fin dall’epoca dei baratto), ma è comunque "concetto unitario" in cui la qualità tecnica, relazionale, ambientale ed organizzativa ruotano insieme.

Per tutto questo è ormai maturo il tempo anche per gli archivi (pubblici e privati) di intraprendere la via di un "sistema qualità" dopo averne valutato costi/benefici, rischi/vantaggi attraverso una strategia di base che porti a concretizzare un "programma ed un piano operativo per la qualità".

Il Gruppo di lavoro Anai ha individuato almeno tre obiettivi fondamentali da raggiungere all’interno di tale programma e da diffondere nel mondo archivistico e relative strutture:

  1. studio e redazione di una carta dei servizi di cui dirò dettagliatamente in seguito
  2. studio e redazione di un Manuale di qualità per l’area archivistica
  3. progetto formazione
Dovendomi occupare in questa sede in particolare del primo punto, tralascerò l’esame del terzo, ma è obbligatorio, relativamente al secondo punto (manuale), precisare che la sua redazione sarà a cura degli archivisti in team con gli informatici, ma è fondamentale ricordare che esso è lo strumento che discende direttamente dalla programmazione e testimonia l’impegno che ogni struttura documentale assume per il miglioramento dei processi e dei propri servizi.

Il manuale dovrà essere solo una guida alla programmazione, un riesame di alcuni punti della teoria e della pratica archivistica ed in linea di massima dovrà contenere:

Il manuale può essere elemento comune e diversificato nelle varie realtà archivistiche: storico, corrente, deposito. Ma questo studio è rinviato in altre sedi.

Parliamo, dunque, della carta di qualità nei servizi archivistici e, nel percorso personale di studio, quando ho affrontato tale questione la mia mente è andata ad un ricordo storico lontanissimo: alla Magna Charta, documento rilasciato nel 1215 in Inghilterra dal re Giovanni Senza Terra e che, al di là dei suo originario significato (sanciva i diritti dei feudatari), nel corso dei secoli divenne la base per sancire i diritti degli uomini liberi e l’uguaglianza deicittadini: Mi sembra un antecedente di tutto rispetto.

Ma anche la nostra Carta, detta anche "Cassese" (Ministro che ne ha promosso l’elaborazione), dovrà contenere dei principi fondamentali le cui finalità sono quelle di elevare e migliorare il livello dei servizi offerti negli archivi (pubblici e privati) e questo presuppone un confronto ed un rapporto continuo con i fruitori dei servizio medesimo.

Oltre a questi principi generali, che di fatto si concretizzano con l’imparzialità, continuità, diritto di scelta, efficacia ed efficienza, ecc. è necessario definire gli strumenti per l’attuazione di tali principi sia tramite l’adozione di standard, la semplificazione delle procedure, informazione e rapporti con gli utenti, la valutazione, ecc. e sia attraverso meccanismi di tutela e di garanzia per la corretta applicazione della Carta.

Per quanto ci riguarda la Carta si applica alle seguenti fasi della vita di un archivio:

Quindi, una Carta che, in linea di massima, è stata così strutturata: Ma è chiaro che la normativa di riferimento non fornisce indicazioni precise, ma generali e, quindi, risulta evidente come l’attuazione della Carta debba avvenire attraverso il sistema qualità ossia una struttura organizzativa, le procedure, i processi e le risorse necessarie per attuare la gestione per la qualità.

Lo scopo di questa relazione è stato solo quello di formulare alcune riflessioni quali:

Nel concludere si rammenta che Paul Valery diceva: "nell’economia dell’intelligenza, il risparmio è rovinoso"; e la cultura della qualità è certamente parte dell’economia dell’intelligenza.
 
 


Ferruccio Ferruzzi

Thesis 99:
alcuni spunti per la creazione
di un gruppo di lavoro sulle tesi di laurea

Obiettivi

Thesis 99 è un progetto dell’Università degli Studi di Padova, scritto in collaborazione con l’Anai, che ha come obiettivo la creazione di un sistema per la gestione, tenuta e tutela delle tesi di laurea basato innanzitutto sulla corretta individuazione delle competenze scientifiche e amministrative sulle tesi stesse.

Oggi, infatti, esiste diversa e contrastante giurisprudenza, tanto che a volte il giudice ha riconosciuto alla tesi la dignità di opera letteraria, altre volte invece l’ha considerata come atto pubblico, pur di elevato valore scientifico, ma di norma non soggetto a tutela.

Risultati attesi

Due in particolare:

Dovrà quindi essere costituito un gruppo di lavoro che, coordinato dall’Università degli Studi di Padova, realizzi un seminario di primo approccio al problema verso la prossima primavera (marzo–aprile 1999) e poi divulghi i risultati alla comunità scientifica nel corso della 2ª Conferenza organizzativa degli archivi delle università italiane - Thesis 99, già prevista per l’ottobre 1999.

Il Gruppo di lavoro, oltre che da rappresentanti nominati dalle università che aderiranno al progetto firmando una lettera di intenti come già è accaduto con il progetto Titulus 97, dovrebbe essere composto anche da rappresentanti dei seguenti enti e associazioni:

Ministero per i Beni culturali e ambientali

Ufficio centrale per i beni archivistici

Ufficio centrale per i beni librari e gli istituti culturali

Soprintendenza archivistica per il Veneto

Soprintendenza ai beni librari del Veneto

Ministero per l’Università e la ricerca scientifica e tecnologica

Conferenza dei Rettori delle Università Italiane

Autorità per l’Informatica nella Pubblica Amministrazione

Associazione Nazionale Archivistica Italiana

Associazione Italiana Biblioteche
 
 


Giovanni Pesiri

Studium 2000:
per una politica di salvaguardia
degli archivi "storici" delle Università italiane

I positivi risultati del primo stadio del progetto Titulus 97 hanno innescato, anche nel settore universitario, dinamiche nuove, i cui effetti sono percepibili nel concreto interesse che molte Università stanno dimostrando verso i problemi dell’organizzazione e della gestione degli archivi correnti. A questa fase ha dato un consistente apporto l’Amministrazione archivistica, che ha attivamente partecipato alle riunioni di Padova, Palermo e Bologna, ed ha svolto anche in altri incontri un ruolo propositivo, nello spirito dell’ormai consolidata filosofia dell’impegno sul fronte degli archivi correnti, finalizzato ad un’efficace tutela delle fonti storiche.

Certamente, il progetto Titulus 97 non può dirsi "archiviato": restano, ad esempio, da definire e discutere i contenuti del massimario di selezione e si sta tuttora sperimentando il titolario presso le Università che lo hanno adottato in prima istanza.

Con questo intervento si vuole riportare l’attenzione, proprio nella sessione dedicata alle prospettive e ai progetti di collaborazione in materia di archivi, sul tema non marginale della salvaguardia degli archivi storici universitari, argomento di cui si è parlato nel 1994 a Padova in un convegno dedicato alla storia delle Università italiane. È un problema da affrontare con tempestività, dato che gli Atenei, nati come centri propulsori di formazione e ricerca, sono chiamati, ancor piú di molti altri produttori di carte, al dovere di creare le condizioni per la conservazione, l’ordinamento e la consultazione dei propri archivi storici. Altrimenti saremmo di fronte al paradosso di soggetti preposti alla promozione culturale, che di fatto non sono in grado di assicurare l’accesso a un patrimonio documentario, sulla cui utilità per gli studi storici non sembra il caso di spendere parole.

Ciò non significa che la condizione degli archivi storici universitari sia del tutto insoddisfacente in relazione alle aspettative degli studiosi e degli altri potenziali utenti. Disponiamo di notizie recenti, anche se parziali, sugli archivi universitari, rilevate da Elio Lodolini, con il supporto di questo Ufficio Centrale e delle Soprintendenze archivistiche, e illustrate nel già citato convegno di Padova. Da questa e da altre indagini condotte in seguito emerge che una parte consistente degli archivi universitari antichi si trova presso gli Archivi di Stato, ma che sono in atto, presso singoli Atenei, iniziative di recupero della propria memoria storica, spesso con la consulenza e lo stimolo delle Soprintendenze archivistiche.

L’opportunità di una operazione generale di censimento non investe soltanto le Università di antica fondazione o che non abbiano depositato tutta la documentazione ultraquarantennale presso il locale Archivio di Stato. Infatti, gli Atenei rientrano a buon diritto tra gli istituti di conservazione archivistica: è ormai antica consuetudine che docenti e personalità della cultura scientifica o letteraria, per diversi motivi, donino o affidino in deposito le proprie carte alle Università, quando non sono gli stessi enti ad effettuare acquisti di documenti nel mercato antiquario; e molto spesso l’interesse degli universitari negli ultimi decenni si è rivolto proprio verso queste tipologie di fondi, di interesse piú immediato per i programmi di ricerca elaborati dalle facoltà.

Casi tipici sono il Centro creato dall’Università degli Studi di Pavia per la raccolta delle carte degli scrittori moderni e contemporanei, e l’analoga iniziativa intrapresa nel 1997 dall’Università di Roma. L’Istituto universitario di architettura di Venezia ha da tempo istituito l’Archivio progetti Masieri, per le fonti dell’architettura, e partecipa a un piano generale di censimento degli archivi degli architetti.

In Toscana il progetto "Archivi del ’900", vede impegnate Soprintendenza archivistica e l’Accademia "La Colombaria", in accordo con la Regione Toscana, nel censimento e riordinamento delle carte di personalità operanti nell’ambiente culturale toscano tra ‘800 e ‘900: si è già realizzata l’inventariazione delle carte di numerosi intellettuali, tra cui quelle conservate presso la Facoltà di Lettere dell’Università degli Studi di Firenze; il lavoro sta ora interessando la provincia di Pisa e se ne prevede il finanziamento anche con fondi dell’Amministrazione archivistica.

Esistono quindi le condizioni per pensare seriamente a un progetto di censimento e per giungere alla creazione di una banca dati del rilevante patrimonio archivistico universitario, che consenta l’identificazione dei beni a rischio di degrado e dispersione e la conseguente programmazione degli interventi necessari.

Il progetto potrebbe articolarsi nelle seguenti fasi :

La 1ª Conferenza organizzativa degli archivi delle Università italiane è anche un’occasione per riflettere sui problemi della tutela del patrimonio storico degli Atenei e da essa si auspica che scaturiscano le premesse per una serie di incontri operativi tra Ministero per i beni culturali, MURST, Conferenza dei rettori, Università. Solo con una intesa di collaborazione sarà possibile reperire tutte le risorse finanziarie occorrenti per un impegno di portata non indifferente e canalizzare in un disegno organico le iniziative già avviate, raggiungendo l’obiettivo di un rapporto ottimale tra costi e benefici.
 
 

 


COMUNICAZIONI
 
 

Michela Maniassi

Titulus 97: una nuova realtà nell’Ateneo udinese

Da sempre l’elemento che spinge un ente a costituire un archivio è la necessità di conservare la propria memoria. Questa è una costante che accomuna enti grandi e piccoli, pubblici e privati; anche le Università dunque, che nel variegato panorama della realtà italiana finora avevano gestito la produzione documentale e la conservazione degli atti in modo non univoco. Contrariamente ai comuni, alle camere di commercio e ad altre istituzioni, gli atenei si trovavano sforniti di un mezzo semplice nel suo uso, ma efficace nei suoi effetti: il titolario.

Grazie al progetto Titulus 97, avviato dall’Università degli Studi di Padova, ora anche le Università italiane si accingono ad adottare un sistema comune per la classificazione dei documenti, attraverso l’uso di un titolario unico a livello nazionale.

La creazione di uno strumento che stabilisca in anticipo il modo in cui dovranno essere formati i fascicoli, che poi giungeranno in archivio, stravolge completamente l’attuale prassi, poiché la costituzione degli stessi all’interno dei vari uffici non è mai stata regolata da una normativa precisa, ma solo dal buon senso di chi opera.

L’uso del titolario contribuisce a dare un ruolo centrale all’archivio, facendolo diventare il fulcro del sistema informativo, vero e proprio misuratore di risorse, e togliendolo dalla sua funzione di "magazzino dove depositare carte".

L’Università degli Studi di Udine, che quest’anno festeggia vent’anni di vita, è stata la prima in Italia ad aderire al progetto Titulus 97. Certamente essa rappresenta una realtà più piccola e più giovane rispetto a molte Università italiane; tuttavia l’Ateneo è in continua espansione e di anno in anno vi si vengono ad aggiungere nuovi Centri e nuove Facoltà.

Il progetto Titulus 97 è senza dubbio una delle iniziative più complesse che l’Università udinese si accinge a sperimentare, poiché coinvolge sia l’amministrazione centrale che le strutture periferiche, rivelandosi particolarmente utile per la normalizzazione e gestione dei documenti, dal protocollo all’archivio storico, tanto nelle strutture già esistenti, quanto nelle nuove strutture che si verranno a creare. Bisogna inoltre sottolineare che questa rappresenta una buona occasione per riorganizzare i processi lavorativi e per riordinare l’archivio di deposito, compito che sarà facilitato dalle "modeste" dimensioni dello stesso.

Il 30 giugno 1998 è stato approvato il Regolamento per la gestione, tenuta e tutela dei documenti amministrativi dal protocollo all’archivio storico per l’amministrazione centrale ed entro breve dovrebbero essere approvati il Regolamento per la gestione, tenuta e tutela dei documenti amministrativi dal protocollo all’archivio storico per le strutture didattiche, scientifiche e di ricerca ed il relativo Titolario di classificazione.

La sperimentazione del progetto verrà avviata ufficialmente il 1 gennaio 1999, ma già da tempo l’Ateneo si sta adoperando affinché la sua realizzazione venga attuata al più presto.

Il lavoro finora svolto si è sviluppato lungo due direttrici: è stata data la massima pubblicità all’iniziativa, al fine di rendere tutti consapevoli dei molti cambiamenti che tale piano comporta e sono state esaminate le specifiche informatiche che consentiranno di affrontare i problemi relativi all’utilizzo di un software avanzato che preveda l’utilizzo della firma digitale, della visualizzazione in rete dei documenti ed altro ancora.

Una fase di lavoro particolarmente complessa, che è stata intrapresa, è quella relativa alla concentrazione dei documenti, attualmente dislocati in tre diverse sedi, all’interno di un’unica struttura, al fine di poter creare l’Archivio generale d’Ateneo e garantirne il principio di unicità.

Anche l’Università degli Studi di Udine sta cercando di dare il suo modesto contributo alla creazione di uno standard universitario nazionale, guardando con ammirazione ai traguardi già raggiunti dall’Università patavina, il cui indiscutibile merito è stato quello di saper conciliare i principi della moderna dottrina archivistica con le esigenze di trasparenza e snellimento dei procedimenti amministrativi indicate dalla legge 241/90; nonché la capacità di individuare, nel titolario e nella condivisione in rete del software, solitamente utilizzato solo dall’ufficio protocollo, i mezzi fondamentali per la concreta attuazione del progetto.

La semplificazione del lavoro di protocollazione, la gestione elettronica dei documenti e l’ottimizzazione dei tempi di ricerca degli atti in archivio, sono gli obbiettivi che l’Ateneo udinese si propone di raggiungere, sperando di poter fruire in tempi brevi dei molteplici benefici di cui già gode l’Università degli Studi di Padova.



Giovanna Giubbini

Il progetto per l’archivio storico
dell’Università degli Studi di Perugia e Studium 2000

La Soprintendenza archivistica per l’Umbria ha elaborato, in accordo con l’Università degli Studi di Perugia, un progetto per la gestione, tutela e valorizzazione del patrimonio archivistico dell’Università.

Il patrimonio documentario dell’Ateneo perugino, che nel 2008 festeggerà i settecento anni della sua fondazione, comprende documentazione che data dal XIV secolo e può essere annoverato tra più significativi archivi universitari italiani.

Purtroppo la mancanza di una sede idonea, unitamente alla incompletezza degli strumenti di corredo, rendono difficile una efficace azione di salvaguardia delle carte e la loro piena fruibilità da parte degli studiosi.

Il progetto si articola in tre parti che possono essere così sintetizzate:

  1. riorganizzazione dell’archivio corrente;
  2. istituzione di un archivio generale di deposito;
  3. istituzione di un archivio storico.
La terza parte si inserisce nel progetto Studium 2000 coordinato dall’Università degli Studi di Padova e prevede una serie di interventi tesi a garantire la conservazione, la tutela e la valorizzazione dell’archivio storico.

Il primo obiettivo è la individuazione di una sede idonea. In tal senso l’Università si è già attivata per reperire una struttura dotata dei requisiti previsti per ospitare l’archivio, che è di notevolissima consistenza, e i servizi aggiuntivi, al fine di attivare un pubblico servizio archivistico.

La documentazione, ad eccezione di una parte più antica (1428-1850) descritta da O. Scalvanti nell’Inventario-registro dell’Archivio universitario di Perugia, Perugia, 1898, ma bisognosa di scrupolose verifiche, non è riordinata. Si ritiene anche necessario sottolineare il fatto che non tutta la documentazione prodotta dall’Università nel periodo 1428-1850 è stata descritta nel sopra menzionato inventario.

Esistono inoltre importanti fondi aggregati che sono di notevole rilevanza per quantità e interesse storico.

La direzione scientifica dei lavori di riordinamento e inventariazione sarà affidata ai funzionari della Soprintendenza archivistica che, di concerto con il personale designato dall’Università, elaboreranno piani di lavoro per l’attuazione del progetto, che sarà realizzato con l’assunzione temporanea di personale specializzato in possesso dei titoli culturali e professionali previsti.
 
 


Guglielmo Costanzo, Claudia Salmini, Sandro Salvatori, Gianni Zanlorenzi

Archivi: un progetto, anzi due

L’automazione delle procedure amministrative è un obiettivo che il MBCA è impegnato da tempo a raggiungere. Una prima fase di sperimentazione è stata condotta già nel 1996 da un gruppo di lavoro (Servizio per la Tecnologia e l’Informatica) interno all’Ufficio Centrale per i Beni Ambientali e Paesaggistici (UCBAP). Il modello organizzativo ed applicativo lì realizzato, opportunamente integrato, ha costituito la base di una generalizzazione ad altre realtà del Ministero, centrali e periferiche.

WOAG (Workflow Office Automation Globale) ha l’obiettivo di fornire all’Amministrazione uno strumento efficiente di automazione delle procedure amministrative (mediante una definizione standard e una formalizzazione degli iter di ogni processo); consente un completo controllo del ciclo di vita dei documenti (il sistema prevede, attraverso il software applicativo GP241, "di avere il documento sempre immediatamente disponibile, sempre integrato con tutti gli altri ad esso correlati, con la facoltà di effettuare ricerche su chiavi multiple; … possibilità di visualizzazione in ogni istante in formato originale"); permette attraverso un’analisi della produttività di verificare la redistribuzione dei carichi di lavoro e dunque di ottimizzare al meglio le risorse disponibili.

WOAG è uno dei cinque progetti, presentati all’AIPA dal ministro Veltroni in occasione del piano triennale 1999-2001, che mirano in sostanza alla "trasformazione dell’Amministrazione in un’organizzazione piú efficiente ed indirizzata a produrre servizi di qualità per il cittadino."

Parallelamente alla nascita di WOAG e segnatamente nel corso degli ultimi tre, quattro anni, presso la Soprintendenza BB.AA.AA. del Veneto si è verificata la necessità (originata in primo luogo da concretissimi problemi di spazio e da una gestione dei documenti non strutturata in modo coerente, divenuta ormai insostenibile di fronte all’aumentata produzione di atti) di una radicale risistemazione dell’archivio dei documenti (da intendersi allo stesso tempo come archivio storico e corrente - forse non a tutti è noto che le Soprintendenze, ove possibile, non versano agli Archivi di Stato il proprio archivio, ma concordano di trattenerlo in sede, in quanto esso rappresenta di continuo una fonte essenziale per ricostruire la storia degli interventi e delle misure adottate nel corso della propria attività), il piú consistente tra quelli che compongono la "dotazione archivistica" dell’Ufficio.

Dopo i primi incontri avuti, attraverso la Commissione Sorveglianza Archivi, con un funzionario dell’Archivio di Stato, messo a fuoco il livello dei problemi da affrontare, ci è sembrato opportuno procedere con la definizione di un progetto specifico di risistemazione per il quale chiedere apposito finanziamento al Ministero.

Si può dire che contemporaneamente all’accettazione del finanziamento del progetto siamo venuti a conoscenza dell’esistenza del WOAG in corso di sperimentazione presso l’UCBAP.

Ci è apparso fin dal principio evidente il legame tra l’automatizzazione delle procedure di lavoro alla base del WOAG (la gestione del protocollo, la classificazione dei documenti, la ricerca e la gestione delle pratiche) e la corretta definizione di un titolario accompagnata ad una altrettanto corretta sistemazione materiale delle pratiche stesse.

In contatto diretto con l’UCBAP, inizialmente con la collaborazione di qualche altra soprintendenza (in particolare con la soprintendenza BB.AA.AA. di Venezia), si è proceduto all’elaborazione di un titolario per le soprintendenze BB.AA.AA. la cui caratterizzazione logica ne consentisse la facile implementazione nel programma GP241.

Da incontri successivi presso l’UCBAP, analizzate alcune bozze di lavoro emerse sulla base del modello applicativo del GP241 lì sperimentato, tenuto conto di due titolari già predisposti (per la Soprintendenza BB.AA.AA. dell’Emilia Romagna a cura di Claudia Salterini dell’Archivio di Stato di Bologna, messo gentilmente a disposizione da quell’ufficio, e per la Soprintendenza BB.AA.SS. di Roma a cura di Vera Vita Spagnuolo dell’Archivio di Stato di Roma pubblicato in "Rassegna degli Archivi di Stato" 2/1994), verificato il lavoro eseguito con Claudia Salmini dell’Archivio di Stato di Venezia, la nostra proposta è stata ritenuta ottimale dalla ditta Intersistemi, fornitrice del software.

Al programma, già acquistato da questa Soprintendenza, sono in corso di inserimento gli iter che ogni atto amministrativo prevede.

Tali adattamenti sono stati rispecchiati via via dall’aggiornamento del software curato dalla Ditta.

Rispetto all’intento originale di riorganizzazione dell’archivio dei documenti dell’Ufficio sono state tenute presenti come esigenze di fondo: la necessità di rintracciare con facilità i documenti (non solo per via informatica, ma anche fisicamente); di fornire uno strumento d’uso e di lavoro semplice e intuitivo che accompagni l’operatore in ogni fase dell’istruttoria; di sottolineare i passaggi di responsabilità che la complessa gestione delle pratiche comporta.

Tra le modifiche principali apportate al programma originario, vanno segnalate in modo particolare alcune, quali l’aggiunta di una stringa di testo descrittiva dell’oggetto della pratica comunemente inteso, secondo forme di sintassi suggerita; tale modifica risulta di grande aiuto all’atto della visualizzazione della struttura ad albero che evidenzia la composizione dei fascicoli informatici e permette così la ricostruzione del percorso storico di una pratica; un’altra aggiunta da segnalare è quella di un campo specifico per l’indicazione della collocazione.

Il lavoro piú impegnativo, ora in via di ultimazione, è stato quello di individuare e dare struttura rigorosa agli iter del procedimento amministrativo. È questo un risultato assolutamente originale di standardizzazione delle procedure utilizzate in un ufficio periferico della pubblica amministrazione qual è la Soprintendenza BB.AA.AA., rivelatesi ben piú complesse di quelle seguite in un Ufficio Centrale. Tale definizione, che può servire da paradigma, immediato per le realtà omogenee, e sicuramente di riferimento per gli altri uffici locali del Ministero, consentirà oltre tutto di stabilire parametri sufficientemente oggettivi di quantificazione del lavoro.

Il progetto di recupero dell’archivio storico si è saldato con quello della riorganizzazione informatica dell’archivio corrente. La soluzione dei problemi legati al programma GP241 ci ha consentito, in parallelo, di giungere dopo ripetuti tentativi alla definizione di un cosiddetto ‘GP241 Storico’che svincolato dall’assegnazione automatica il campo relativo al numero di protocollo, ci consentisse di riprendere semplicemente quello registrato nelle pratiche ormai depositate agli atti.

Ambedue i programmi sono già stati acquistati da questa Soprintendenza. Per il GP241 sarà avviata, per la prima volta in Italia in un ufficio locale del Ministero, la sperimentazione proprio in questi giorni: l’intenzione è quella di partire a regime con il 1 gennaio 1999. Il lavoro legato al GP241 Storico è anch’esso avviato: si è già conclusa la fase preliminare del censimento delle serie e dell’esame delle differenti tipologie organizzative dei fascicoli, ed è in procinto di partire l’inventariazione analitica delle singole pratiche, grazie a contratti stipulati con archivisti liberi professionisti, in possesso del diploma della Scuola di Paleografia, Archivistica e Diplomatica di Venezia. La conclusione di questo progetto di recupero, prevista tra un paio d’anni, dovrebbe consentire all’Ufficio di disporre di un’unica base dati, integrata alla fine anche della parte immagini dei documenti e, allo stesso tempo, di altre basi di dati relative all’archivio fotografico e all’archivio disegni.



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